Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8017 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8017 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
Oggetto:
riscossione imposte
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7921/2016 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso il difensore;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio della quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4912/21/2015, depositata il 18 settembre 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del quarto motivo.
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME in sostituzione dell’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 382/20/13 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro le cartelle esattoriali per II.DD. ed IVA 2008/2009 nonché contro il parziale accoglimento della relativa richiesta di rateazione.
La CTR osservava in particolare:
-in via preliminare, che, contrariamente a quanto affermato dalla CTP, il ricorso contro il provvedimento di concessione della rateazione era ammissibile, trattandosi di un atto da considerarsi equipollente (al contrario) del diniego di dilazione, indicato come impugnabile ex art. 19, d.lgs 546/1992;
-che non potevasi accogliere l’impugnazione, per difetto di notifica, delle cartelle diverse da quella, unica, indicata nel provvedimento di rateazione, posto che appunto l’impugnazione di tale provvedimento ne dimostrava aliunde la conoscenza;
-che la mancata sottoscrizione della cartella notificata il 4 giugno 2012 non era causa di invalidità della medesima;
-che neppure la mancata sottoscrizione del ruolo poteva considerarsi causa di invalidità dello stesso, difettando il suo
concreto riferimento agli atti riscossivi in contesto e la prova della sua mancata sottoscrizione;
-che l’eccezione di vizio motivazionale delle cartelle esattoriali impugnate non era fondata;
-che nemmeno lo erano quelle relative alla mancata comunicazione di irregolarità e dell’indicazione del responsabile del procedimento riscossivo;
-che nessuna delle eccezioni relative alla validità del provvedimento di rateazione era fondata (allegazione delle cartelle esattoriali, interessi di mora, compensi di riscossione, calcolo degli interessi, piano di ammortamento, motivazione della dilazione).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo sette motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’agente della riscossione.
Il PG ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 19, dPR 602/1973, 21, d.lgs 546/1992, 156, cod. proc. civ. e di vizio motivazionale, poiché la CTR ha negato la fondatezza del suo specifico motivo di gravame in ordine alla notifica delle cartelle afferenti al piano di rateazione impugnato.
La censura ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. è inammissibile, in quanto non proponibile ex art. 348 ter, cod. proc. civ. (“doppia conforme”).
La censura di violazione di legge è infondata.
Risulta invero del tutto giuridicamente corretta l’affermazione del giudice tributario di appello circa la conoscenza, equipollente a notifica, delle cartelle esattoriali oggetto del piano di rateazione impugnato.
Altrimenti non si vede come la relativa istanza si sarebbe potuta proporre, costituendo evidentemente strumento alternativo all’impugnazione di detti atti riscossivi per difetto di notificazione. Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 4-3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta vizio motivazionale assoluto e violazione/falsa applicazione degli artt. 12, comma 4, dPR 602/1973, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha rigettato la sua eccezione (e motivo di appello) relativa alla mancata sottoscrizione del ruolo.
Entrambi i profili di censura sono manifestamente infondati.
Quanto al primo basti ribadire che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi invalidanti di cui al citato consolidato arresto giurisprudenziale, piuttosto contenendo una puntuale ed articolata argomentazione circa le statuizioni assunte, ben oltre il “minimo costituzionale” (v. Sez. U, 8053/2014).
Quanto al secondo, il Collegio ritiene dare seguito al principio di diritto secondo il quale «In tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione AVV_NOTAIO di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza
dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del AVV_NOTAIO principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990» (Sez. 5 – , Sentenza n. 27561 del 30/10/2018, Rv. 651066 – 03; conf. Sez. 5 – , Ordinanza n. 19405 del 08/07/2021, Rv. 661660 – 01).
Ne deriva che, comunque, dirimentemente, su tale punto decisionale la sentenza impugnata è del tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia un vizio motivazionale assoluto in relazione alla statuizione del giudice tributario di appello relativa al vizio motivazionale della cartella esattoriale specificamente impugnata.
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente reitera censura per vizio motivazionale assoluto in relazione alla reiezione della sua eccezione (e motivo di appello) concernente gli interessi di mora ed i compensi della riscossione.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Basti ribadire il citato principio di diritto formulato dalle SU di questa Corte in ordine all’esatta configurazione dei paradigmi invalidanti della motivazione delle sentenze impugnabili per cassazione in base al parametro evocato e constatare che sui punti decisionali de quibus la motivazione della sentenza impugnata non evidenzia la sussistenza di alcuno di tali paradigmi.
Con il quinto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.si lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 2697, cod. civ.
La censura è inammissibile e comunque infondata.
Per un verso infatti è palese la richiesta, appunto non consentita, di “revisione” del giudizio meritale sul punto decisionale de quo .
Per altro verso, risulta invero che il giudice tributario di appello abbia correttamente applicato il principio AVV_NOTAIO codicistico in questione, essendo onere della società contribuente dimostrare che il calcolo degli interessi applicati dall’agente della riscossione era errato, indicandone, specificamente, le ragioni.
Con il sesto motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione degli artt. 31, dPR 602/1973, 12, secondo comma, preleggi e vizio motivazionale assoluto, poiché la CTR ha sancito la legittimità del calcolo del piano di ammortamento del debito rateizzato con il criterio c.d. “alla francese”.
La censura è infondata.
In ordine al denunciato vizio motivazionale non vi è che da ribadire quanto sopra in ordine alla sussistenza del medesimo, certamente non riscontrabile nella sentenza impugnata relativamente al punto decisionale de quo .
Peraltro risulta corretta la valutazione in diritto del giudice tributario di appello, posto appunto che non vi sono precise regole normative di calcolo del piano di ammortamento, non essendo tali, neppure analogicamente, le disposizioni legislative che la società contribuente evoca con il mezzo in esame.
In ogni caso va ribadito che « In tema di rateizzazione dei debiti fiscali, è legittima l’applicazione del cd. “metodo di ammortamento alla francese” – con rate costanti in ciascuna delle quali la quota capitale aumenta progressivamente, mentre la quota degli interessi progressivamente decresce – non ravvisandosi alcuna violazione del principio di trasparenza, giacché tale criterio è predeterminato attraverso la Direttiva Nazionale di RAGIONE_SOCIALE DSR/NC/2008/012 del 27 marzo 2008, che trova supporto normativo nell’art. 19, comma 1 ter, d.P.R. n. 602 del 1973, applicabile in via estensiva, per
“eadem ratio”, a tutte le forme di rateizzazione fiscale» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 27823 del 02/10/2023, Rv. 669242 – 01).
Con il settimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 7, 17, legge 212/2000, poiché la CTR ha affermato non necessaria la motivazione del provvedimento di dilazione impugnato trattandosi di atto adottato su richiesta della società contribuente medesima.
La censura è infondata.
Come correttamente rilevato dalla controricorrente, la disposizione statutaria relativa all’obbligo di motivazione dell’agente della riscossione è l’art. 7, comma 2, legge 212/2000, la cui ottemperanza non risulta specificamente contestata dalla società contribuente.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.500 per onorari, euro 200 per esborsi oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma 6 dicembre 2023
Il presidente
Il consigliere est.