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Rapporto OLAF: piena prova per i dazi doganali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7848/2024, ha confermato la piena valenza probatoria del rapporto OLAF in un caso di recupero di dazi doganali. Una società importatrice aveva beneficiato di dazi ridotti dichiarando un’origine errata per le merci. A seguito di un’indagine OLAF, l’Agenzia delle Dogane ha recuperato le maggiori imposte. La Corte ha rigettato il ricorso della società, stabilendo che le risultanze OLAF costituiscono piena prova fino a prova contraria, che deve essere fornita dal contribuente. È stato inoltre chiarito che la buona fede dell’importatore non è sufficiente per l’esenzione dal pagamento, essendo necessario dimostrare un errore attivo e non rilevabile da parte dell’autorità doganale.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rapporto OLAF: Prova Insuperabile nel Contenzioso Doganale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7848/2024) ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto doganale: la piena valenza probatoria del rapporto OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode). La decisione chiarisce come le investigazioni di questo organo comunitario possano fondare legittimamente un avviso di accertamento per il recupero di maggiori dazi, ponendo a carico dell’importatore l’onere di fornire una prova contraria. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: L’Importazione di Lampade e l’Accertamento Doganale

Il caso trae origine da un’attività di accertamento dell’Agenzia delle Dogane su importazioni di lampade fluorescenti effettuate da una società italiana tra il 2007 e il 2008. La società aveva dichiarato che le merci provenivano dalla Tunisia o erano prodotte da una specifica azienda cinese, beneficiando così di un dazio agevolato del 20,2%. Tuttavia, le indagini condotte dall’OLAF hanno rivelato una realtà diversa: le merci provenivano in realtà dalla Cina ma erano state prodotte da altre aziende, per le quali era previsto un dazio doganale superiore.

Di conseguenza, l’Amministrazione doganale emetteva un atto di rettifica per recuperare i maggiori dazi non versati. La società importatrice ha impugnato l’atto, dando inizio a un contenzioso che, dopo vari gradi di giudizio, è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Valenza del rapporto OLAF

La società ricorrente ha basato il proprio ricorso su diversi motivi, tra cui la presunta nullità della sentenza di secondo grado per motivazione apparente e l’errata valutazione del rapporto OLAF. Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero attribuito al rapporto un valore di prova legale insuperabile, senza considerare gli elementi forniti dalla società che ne contestavano le conclusioni. In particolare, si lamentava che il tema del contendere non fosse la provenienza cinese delle merci (che era pacifica), ma l’identità dell’effettivo produttore cinese, da cui dipendeva l’applicazione del dazio corretto.

L’Esimente della Buona Fede: Un’Analisi delle Condizioni

Un altro punto cruciale del ricorso riguardava l’applicazione dell’esimente prevista dall’art. 220 del Codice Doganale Comunitario. La società sosteneva di aver agito in buona fede e che, in ogni caso, l’eventuale errore fosse imputabile a un comportamento passivo dell’autorità doganale, che non aveva sollevato obiezioni al momento dell’importazione.

Tuttavia, la normativa europea e la giurisprudenza costante richiedono tre condizioni cumulative per esentare l’importatore dalla contabilizzazione a posteriori dei dazi:
1. I dazi non sono stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti.
2. L’errore non poteva essere ragionevolmente rilevato da un operatore in buona fede.
3. L’operatore ha rispettato tutte le prescrizioni normative per la sua dichiarazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti. In primo luogo, ha confermato la linea giurisprudenziale secondo cui gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari. Spetta quindi al contribuente che ne contesta il fondamento fornire la prova contraria. Il rapporto OLAF non è un mero indizio, ma un elemento probatorio solido che può, anche da solo, fondare un avviso di accertamento. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata, seppur sintetica, fosse chiara e intelligibile nel riconoscere tale valore alle risultanze dell’indagine europea.

Per quanto riguarda l’esimente della buona fede, la Corte ha precisato che l'”errore” dell’autorità doganale, necessario per l’esenzione, deve essere un “errore attivo”. Non rientra in questa categoria un comportamento meramente passivo o un errore indotto da dichiarazioni inesatte fornite dallo stesso importatore o dai suoi fornitori. Il rischio commerciale derivante da comportamenti scorretti dei fornitori ricade sull’operatore economico, che può e deve premunirsi nell’ambito dei propri rapporti negoziali. La semplice buona fede soggettiva non è sufficiente se non si dimostrano tutti e tre i requisiti previsti dall’art. 220 CDC, compreso l’errore attivo dell’autorità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida due principi cardine del diritto doganale. Innanzitutto, il rapporto OLAF si conferma uno strumento investigativo di primaria importanza, le cui conclusioni hanno un peso probatorio determinante nei contenziosi tributari, invertendo di fatto l’onere della prova a carico dell’importatore. In secondo luogo, viene ribadita la nozione restrittiva dell’esimente per errore dell’autorità doganale: gli operatori non possono invocare la propria buona fede per sanare irregolarità documentali o dichiarazioni inesatte, a meno che non dimostrino un errore attivo e concreto commesso dall’autorità doganale, che un operatore diligente non avrebbe potuto rilevare. Questa decisione rappresenta un monito per le imprese importatrici sull’importanza di verificare con la massima diligenza la correttezza della documentazione doganale e l’affidabilità dei propri fornitori esteri.

Che valore ha un rapporto OLAF in un contenzioso doganale?
Secondo la Corte di Cassazione, un rapporto OLAF ha piena valenza probatoria. Le sue risultanze possono essere poste a fondamento di un avviso di accertamento e spetta al contribuente fornire la prova contraria per smentirne il contenuto.

La buona fede dell’importatore è sufficiente per evitare il pagamento dei dazi accertati a posteriori?
No. La sola buona fede non è sufficiente. Per beneficiare dell’esenzione dal pagamento a posteriori (art. 220 CDC), l’importatore deve dimostrare la presenza cumulativa di tre requisiti: un errore attivo dell’autorità doganale, la non rilevabilità di tale errore da parte di un operatore diligente e il rispetto di tutte le normative.

Su chi ricade l’onere di provare le condizioni per l’esenzione dal pagamento dei dazi?
L’onere di dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti per l’applicazione dell’esimente (incluso l’errore attivo dell’autorità) ricade interamente sull’importatore che intende beneficiarne. L’autorità doganale ha solo l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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