Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 210 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 210 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15880/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 1090/2016 depositata il 05/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento per il 2008 recante l’accertamento di maggiori ricavi e il recupero di costi ritenuti indeducibili con determinazione di un reddito di impresa pari ad euro 315.474,00, a fronte di quello
dichiarato pari ad euro 85.879,00, e conseguenti maggiori imposte IRES, IRAP e IVA.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli ha rigettato il ricorso, ritenendo sussistenti ragioni d’urgenza che giustificavano l’emissione dell’atto prima del decorso del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12 comma 7 l. n. 212/2000 e osservando, nel merito, che l’accertamento induttivo era stato correttamente motivato, in quanto attraverso la verifica incrociata tra la documentazione rinvenuta e le dichiarazioni rese dai clienti della società, scelti a campione, era emerso che al l’importo indicato in ricevuta, pagato con assegni, si aggiungeva una differenza pagata in contanti; oltre a ciò erano state rinvenute fatture con l’importo precompilato ma senza indicazione del destinatario e della data. .
Anche il gravame del contribuente è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio che, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la ricorrenza delle gravi ragioni d’urgenza e ha ritenuto raggiunta la prova dei maggiori ricavi desunta dagli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza che, pur di natura indiziaria, erano precisi e concordanti e comunque tali da giustificare l’accertamento svolto.
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza fondato su quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo la società deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c, violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in quanto la CTR aveva statuito la legittimità dell’atto, nonostante l’inosservanza del termine di cui all’art.12 comma 7 legge n. 212/2000, sulla base di un motivo diverso da quello indicato nel corso del giudizio
dall’Ufficio , che aveva dedotto, quale ragione d’ urgenza, la scadenza prossima del termine di decadenza.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000 in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto che le contestazioni mosse per accertare il maggior imponibile costituissero ragioni d’urgenza giustificatrici del mancato rispetto del termine perché «la causa di urgenza non potrà consistere nei medesimi fatti che giustificano i recuperi di imposta».
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e devono essere disattesi.
3.1. Deve premettersi che in tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la legittimità dell’emissione dell’avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio, di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, richiede specifiche ragioni di urgenza, a tutela dal pericolo di compromissione del credito erariale, secondo un giudizio prognostico ex ante , relazionato cioè ad elementi o fatti emergenti in epoca anteriore e non posteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento, la cui sussistenza deve essere dimostrata dall’amministrazione finanziaria e vagliata dall’organo giudicante (Cass. n. 29987 del 2022); le ragioni d’urgenza devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa (Cass. n. 11110 del 2022).
3.2. Tanto premesso, il primo motivo è infondato perché la CTR ha accertato la ricorrenza dei motivi d’urgenza su elementi desunti dal verbale della Guardia di Finanza (« circostanze accertate e riportate nel verbale della G.d.F…. »), cui rinviava lo stesso avviso di accertamento , cosicché non risulta violazione dell’art. 112 c.p.c. . In particolare, la CTR ha ritenuto che l’Amministrazione, una volta
ricevuto il verbale della Guardia di Finanza, dovesse procedere «senza indugio» alla notifica dell’avviso di accertamento « onde evitare iniziative che potessero eluderne il contenuto, tenuto conto che le somme fatturate coincidevano con i benefici fiscali che i parenti dei defunti conseguivano e che avrebbero potuto indurre costoro -ai fini di mantenere il vantaggio fiscale -di elidere gli accertamenti così come ipotizzato dalla G.d.F. ». Vi è, quindi, un preciso riferimento al contenuto degli atti posti a corredo dell’avviso di accertamento o, comunque, da esso richiamati che, quand’anche non facci ano parte della motivazione dell’atto impugnato, sono utilizzabili, anche ai fini della prova della pretesa impositiva (Cass. n. 24417 del 2018). Invero, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, è all’atto impugnato, integrato dagli atti eventualmente richiamati o allegati, che deve aversi riguardo per individuare ragioni di fatto e presupposti di diritto della pretesa (v. Cass. n. 10806 del 2012; Cass. n. 17231 del 2019).
3.3. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto prettamente meritale e valutativo, e comunque è infondato, perché la ragione d’urgenza non viene ravvisata nei medesimi fatti accertati su cui si fonda la contestazione ma è rintracciata, come sopra evidenziato, in ulteriori vicende riguardanti soggetti terzi («i parenti dei defunti») e la tempestiva iniziativa dell’Ufficio tende va ad evitare ulteriori violazioni fiscali.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 111 comma 6 cost. e dell’art. 36 comma 2 n. 4 c.p.c. perché la motivazione era per talune parti apparente e per altre abnorme e/o perplessa.
Il motivo è infondato.
5.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; v. anche Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
5.2. In questo caso, nonostante la sinteticità della ‘ parte motiva ‘ della sentenza impugnata, la motivazione esiste e
raggiunge il minimo costituzionale, consentendo il controllo sul percorso logico -giuridico svolto: infatti, ritenuti «precisi e concordanti» gli elementi raccolti dai verificatori che «giustificano ampiamente l’accertamento operato», la CTR ha osservato che quei dati «non risultano smentiti dalla pur ampia documentazione versata in atti dalla appellata», aggiungendo, con riferimento alle specifiche doglianze mosse dalla contribuente, che il dato della bassa percentuale delle interviste ai clienti rispetto al totale delle prestazioni andava comunque comparato e considerato alla luce delle «estremamente ingenti» movimentazioni in entrata e in uscita sui conti dei due soci e che la percentuale media di sottofatturazione calcolata dall’Ufficio era congrua , tenuto conto del gran numero di fatture riscontrate e non consegnate ai parenti dei defunti e di quelle senza indicazione del nominativo.
5.3. La ricorrente contesta pertinenza e logicità di queste osservazioni, il che peraltro non determina una apparenza motivazionale della sentenza. Non incide sulla intelligibilità della motivazione il fatto che l’Ufficio non abbia mosso alcuna contestazione in ordine alle movimentazioni bancarie sui conti dei soci, che risultavano, comunque, dal PVC della Guardia di Finanza, la quale si era riservata «approfondimenti sulla posizione reddituale» dei soci, che non avevano «fornito alcuna giustificazione» in ordine a quei movimenti. Allo stesso modo, i dubbi sulla pertinenza del rilievo relativo al gran numero di fatture in bianco o non consegnate riguardano aspetti valutativi e meritali ma non inficiano la motivazione che, complessivamente considerata, raggiunge comunque il minimo costituzionale.
Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 39 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 600/1973 perché la determinazione induttiva dei ricavi è basata sull’applicazione di una percentuale media errata di sottofatturazione, in quanto aritmetica e non ponderale, ed è fondata su un limitatissimo campione di clienti intervistati (n. 6 su
472 prestazioni), che avevano dichiarato di aver pagato più di quanto fatturato ma si riferivano ad un periodo di imposta diverso (2010) da quello oggetto di accertamento (2008).
Il motivo è inammissibile perché tende in realtà a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito , riguardando aspetti fattuali e meritali rimessi al suo prudente apprezzamento. Il motivo è comunque infondato in quanto nelle ragioni di censura non si colgono violazioni delle regole in materia: il metodo analitico-induttivo, ex art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, consente di accertare, anche attraverso presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. (Cass. n. 6861 del 2019), maggiori ricavi che possono essere determinati calcolando la media aritmetica o quella ponderata dei ricarichi sulle vendite (Cass. n. 18695 del 2018); non è precluso all’Amministrazione finanziaria di avvalersi, nell’accertamento del reddito (o del maggior reddito), di dati o notizie comunque raccolti (Cass. n. 5049 del 2011) e la giurisprudenza prevalente di questa Corte ammette pure la traslazione dell’accertamento induttivo basato sulle risultanze relative ad un anno di imposta ad altri e antecedenti anni di imposta (v. Cass. n. 11717 del 2022 e la giurisprudenza ivi citata); il convincimento del giudice, che può fondarsi anche su un elemento unico, purché preciso e grave (Cass. n. 22184 del 2020), in questo caso, è confortato, oltre che dalle dichiarazioni dei clienti, dalle «estremamente ingenti» movimentazioni in entrata e in uscita sui conti correnti dei due soci e dal gran numero di irregolarità relative alla fatturazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 03/10/2023.