Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4520 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4520 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE sedente in Milano, con avv. NOME COGNOME – controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 2354/2021 depositata il 23 giugno 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Società impugnava avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero di maggior imposta (anno d’imposta 2013) a seguito del disconoscimento di costi relativi ad operazioni asseritamente inesistenti.
La C.T.P. accoglieva il ricorso e la C.T.R. respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate , per cui quest’ultima propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, mentre la contribuente resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Ragionamento presuntivo
1.Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 19, 21,54 e 109 TUIR, 39, d.p.r. n. 600/73 e 2697, 2727 e 2729, c.c., ritenendosi che erroneamente la CTR abbia invertito l’onere della prova relativamente alla dimostrazione dei requisiti di deducibilità dei costi.
1.1. Il motivo è infondato.
Invero dal contenuto del motivo emerge non tanto che sia dedotta la contestazione dell’inversione dell’onere della prova, quanto che sia criticata la sentenza d’appello laddove la stessa fonda la propria decisione sul mancato riconoscimento dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. in capo alla presunzione operata dall’Agenzia.
Quest’ultima ha , come premesso, basato la ripresa deducendo l’inesistenza di determinati acquisti, recuperando così a tassazione i relativi costi, sulla base di una serie di elementi (genericità delle fatture, natura di evasori in capo ai fornitori, inoperatività di molti dei fornitori al momento dell’emissione delle relative fatture di vendita, pagamenti in contanti, schema delle fatture e mancata esibizione di ddt).
Dalla lettura della sentenza emerge dunque non tanto che i giudici d’appello abbiano invertito l’onere della prova, ritenendo gravante sull’ A mministrazione quello di dimostrare l’assenza dei presupposti per disconoscere i costi, quanto piuttosto che essi abbiano negato i requisiti di gravità, precisione e concordanza in capo agli elementi dedotti a suffragio dell’allegata inesistenza delle operazioni.
Orbene va ricordato in proposito che la critica della sentenza impugnata deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto dal giudice.
In particolare la critica deve concentrarsi sull’insussistenza della c.d. inferenza probabilistica rispetto al fatto noto, o quello della precisione, nel senso che la presunzione presenta inferenze probabilistiche plurime e non quella sola assunta dal giudice di merito, ovvero quello della concordanza, per avere il giudice
impiegato dati fattuali tra loro dissonanti rispetto alla presunzione stessa, ma non può consistere in argomentazioni dirette puramente e semplicemente a infirmare la plausibilità del ragionamento presuntivo condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi abbia operato ed evocando altri fatti che non risultino dalla motivazione, dal momento che ciò implicherebbe lo sconfinamento della censura dal paradigma della violazione di legge.
Nella specie la critica dell’Agenzia è in effetti basata su una differente valutazione degli elementi portati dalla stessa, ritenendo gli stessi -a differenza di quanto indicato dalla CTR, che ne aveva appunto escluso la rilevanza osservando in particolare la mancata contestazione dello svolgimento di un’attività che ha una consistenza economica e che non siano stati contestati i ricavi corrispondenti alle operazioni disconosciute, oltre ad osservare che taluni elementi risultano piuttosto supportare l’inesistenza soggettiva piuttosto che quella oggettiva delle operazioni, quest’ultima peraltro essendo quella concretamente contestata come invece fondanti la presunzione di inesistenza delle operazioni.
Col secondo motivo si deduce violazione degli artt. 112 c.p.c., 39 e 41, d.p.r. n. 600/73, 55 d.p.r. n. 633/7, 24 e 25, d.lgs, n. 446/1997, per aver la C.T.R., a fronte delle contestazioni della contribuente inerenti alle operazioni con soli sette fornitori, proceduto all’integrale annullamento dell’atto impositivo.
2.1. Anche tale motivo è infondato, perché oggetto della contestazione furono tutte le operazioni disconosciute dall’Agenzia, come ben si ricava dalla pag. 3 della sentenza impugnata, parte in fatto, e la C.T.R. ha motivato su tutte le riprese (cfr. in particolare la penultima pag. della sentenza impugnata).
Il ricorso merita dunque reiezione, con aggravio di spese in capo alla parte ricorrente.
Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente che liquida in € 8.000 per compensi, esborsi per € 200,00, rimborso spese forfetarie nella misura del 15%, oltre i.v.a. e c.p.a. se dovute.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2025