Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15522 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15522 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11127/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE nonché dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 4518/2020 depositata il 06/10/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito l’ Avv. NOME COGNOME per parte resistente, ha concluso per il rigetto del ricorso;
Sentito il P.G. che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La CTR Campania, con la sentenza n. 4518/14/2020, depositata in data 6.10.2020 e non notificata, rigettava l’appello proposto dalla società contribuente RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza di primo grado con la quale era stato annullato l’avv iso di accertamento n. 16751/427 del 7.11.2017, emesso dal R.T.I., costituito da Agenzia delle Entrate – Riscossione (già RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE per TARSU limitatamente all’annualità 2011, ritenendosi legittimo l’a vviso relativamente all’annualità 2012.
I giudici di appello osservavano che l’accertamento, poichè affidato per la spedizione in data 22/12/2017, era da ritenere tempestivo quanto all’annualità 2012, non essendo spirato, a quella data, il termine di decadenza previsto ex lege ; che l’iscrizione all’Albo di cui al D.M. 289/2000 di due dei tre soggetti componenti il R.T.I. (Equitalia RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) era sufficiente per far configurare in capo allo stesso la capacità impositiva e ciò in ragione del fatto che trattasi di raggruppamento di tipo misto per il quale le attività principali erano svolte dalle sole RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e solo per esse sarebbe richiesta l’iscrizione; che trattandosi di TARSU non vi era un obbligo del contraddittorio preventivo endoprocedimentale in quanto tributo non armonizzato e in assenza di specifica previsione di tale obbligo.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Il R.T.I., costituito da Agenzia delle Entrate – Riscossione (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo accogliersi il ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla censurata violazione dell’art. 1, comma 87, della legge n. 549/1995, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’ art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006, in relazione alla questione del difetto di sottoscrizione dell’atto impositivo in quanto proveniente da soggetto privo del potere di esternare la volontà dell’ente impositore, sia perché non risultava il suo ruolo nell’ambito del R.T.I. sia, soprattutto, perché non risultava che gli era stato delegato il potere di firma dall’ente impositore. In via gradata, in ipotesi di ritenuto rigetto implicito di detta eccezione, lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 1, comma 87, della legge n. 549/1995, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’ art. 1, co mma 162, della legge n. 296/2006, in relazione al mancato rilievo della carenza del potere di sottoscrizione del funzionario indicato che non era il legale rappresentante né risultava che lo stesso aveva ricevuto alcuna valida delega.
1.1. Il primo motivo è infondato in quanto trattasi, pur a fronte di una omessa pronunzia, di censura in diritto infondata. Va richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale
art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010). La questione posta con il primo motivo dell’odierno ricorso va, quindi, esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi non esaminati dal Giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinché il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità.
Nella specie, la questione va risolta nel primo dei due sensi sulla base delle considerazioni che seguono.
Come rilevato dal P.G. nella memoria scritta in atti e come precisato dalla controricorrente con contratto tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE sono stati affidati al concessionario la gestione ordinaria e straordinaria (tra cui rientrano gli accertamenti), la riscossione volontaria e coattiva della TARSU e della TIA nel Territorio della Provincia di Napoli per gli anni 2010-2013, con conseguente trasferimento della piena ed esclusiva titolarità del potere impositivo, per gli anni in questione, in capo al Concessionario che è subentrato, in tutto e per tutto all’Ente Pubblico e, dunque, per l’effetto ha provveduto a sottoscrive anche i relativi atti impositivi, come più volte confermato dalla questa Corte (v. fra tante Cass. n.15079/2004 e Cass 6772/2010). Gli atti in questione sono, invero, sottoscritti dal dott. NOME COGNOME quale legale
rappresentante della RAGIONE_SOCIALE che nel raggruppamento è deputato a svolgere le ‘Attività Principali’ tra cui gli accertamenti, così come puntualmente indicato nella Domanda di partecipazione alla Gara ed espressamente delegato, pure, da Equitalia Sud spa in virtù di procura notarile n. 27543 del 28/10/2013, poi rinnovata con il subentro di RAGIONE_SOCIALE con procura rep. 43.250 raccolta 24.654 del 9.11.2017 versata in atti.
La sottoscrizione è, quindi, esercizio diretto di poteri che discendono dalla carica ricoperta nell’ambito dell’organigramma della società, nella specie, quella di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, la cui verifica non richiede provvedimenti di sorta, ma è agevolmente effettuabile tramite il Registro delle Imprese, previsto dall’art. 2188 c.c., e tenuto da apposito ufficio istituito presso le Camere di Commercio.
Va pure precisato che l’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 157 del 1995, nella parte in cui dispone che le imprese facenti parte di un raggruppamento temporaneo di imprese aggiudicatario di un appalto di lavori pubblici conferiscono “mandato speciale con rappresentanza ad una di esse, designata quale capogruppo”, e procura “al rappresentante legale dell’impresa capogruppo”, non impedisce a quest’ultimo di nominare un procuratore per farsi rappresentare in determinati affari del raggruppamento, né di sceglierlo tra i partecipanti al raggruppamento stesso, derivando il potere gestorio dell’impresa mandataria e quello rappresentativo del suo legale rappresentante non direttamente dalla legge ma dalla designazione, libera e volontaria, delle imprese raggruppate che, pur obbligate a nominare una capogruppo ed a conferire procura al legale rappresentante della stessa, sono libere di scegliere quale debba essere designata come mandataria e, in caso di capogruppo con pluralità di legali rappresentanti, a quali di essi conferire la procura.
Questa Corte ha avuto modo di rilevare che le disposizioni secondo le quali le imprese in Raggruppamento Temporaneo devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza all’impresa mandataria, con conferimento di procura al legale rappresentante dell’operatore economico mandatario – così che al mandatario «spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto» (d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, art. 37, commi 14, 15 e 16) – sono finalizzate ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici ma non si estendono anche nei confronti dei terzi estranei a quel rapporto, atteso che la presenza di tale mandato collettivo non determina un centro autonomo di imputazione giuridica (art. 37, comma 17, cit.; v. Cass., 2 ottobre 2024, n. 25925, cit.; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29737; Cass., 20 maggio 2010, n. 12422; v., altresì, Consiglio di Stato, V, 5 aprile 2019, n. 2243; Consiglio di Stato, Ad. plen., 13 giugno 2012, n. 22).
E, in particolare, si è rimarcato che tanto il potere gestorio dell’impresa mandataria quanto il potere rappresentativo del legale rappresentate della stessa non derivano direttamente dalla legge, ma dalla designazione dell’impresa mandataria liberamente e volontariamente effettuata dalle imprese raggruppate, così che -non operando, in ambito negoziale di diritto privato, il principio delegatus delegare non potest -non sussistono ragioni per restringere l’operatività degli ordinari principi della rappresentanza negoziale con riferimento al rilascio di procure da parte del legale rappresentante dell’impresa mandataria (Cass., 27 aprile 2016, n. 8407).
In conclusione va rilevato che l’ avviso di accertamento de quo è stato sottoscritto validamente da un soggetto quale responsabile
della gestione il Dott. COGNOME legale rappresentate di una delle società affidatarie del servizio (la RAGIONE_SOCIALE) delegato tramite apposita procura notarile dalla società capofila RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo la società contribuente, lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 53, d.lgs. 446/1997, non avendo la CTR rilevato la carenza di legittimazione e la insussistenza di capacità impositiva del R.T.I. in quanto lo stesso e la società RAGIONE_SOCIALE non risultavano iscritti nell’albo speciale istituito presso il MEF dei soggetti privati abilitati all’accertamento, alla liquidazione e alla riscossione dei tributi per conto degli enti locali, come prescrit to obbligatoriamente dall’art. 53 d.lgs. 446/1997 citato.
2.1. Tal motivo è da ritenere privo di fondamento per le ragioni appresso specificate.
Va premesso che, ratione temporis , rileva, il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che disponeva nei seguenti termini:
-«…….. I regolamenti, per quanto attiene all’accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, sono informati ai seguenti criteri:
……..
qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, a:
i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53, comma 1;
……………» ;
«Presso il Ministero delle finanze è istituito l’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni» (art. 53, comma 1; v., altresì, il d.m. 11 settembre 2000, n. 289 recante il relativo regolamento).
2.2. Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che:
la disciplina del Raggruppamento Temporaneo di Imprese portata dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 37 (v. poi, negli stessi sostanziali termini, il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 48) distingue due tipi di raggruppamento, quello orizzontale (quando, per i servizi e le forniture tutte le imprese riunite eseguono la medesima prestazione) e quello verticale (quando, invece, per i servizi e le forniture, la mandataria esegue la prestazione principale e le mandanti eseguono le prestazioni secondarie), essendo, inoltre, consentito anche il raggruppamento c.d. misto, che è un raggruppamento verticale in cui l’esecuzione delle singole prestazioni (per i servizi e le forniture) viene assunta da sub-associazioni di tipo orizzontale;
«come ribadito anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. nn. 435/2005, 2294/2002, 2580/2002), in via generale, in caso di partecipazione alla gara – indetta per l’aggiudicazione di appalto di servizi -di imprese riunite in raggruppamento temporaneo, come nel caso di specie, occorre distinguere nettamente fra i requisiti tecnici di carattere oggettivo (afferenti in via immediata alla qualità del prodotto o servizio che vanno accertati mediante sommatoria di quelli posseduti dalle singole imprese), dai requisiti di carattere soggettivo (che devono essere posseduti singolarmente da ciascuna associata), tanto che può verificarsi l’ipotesi di un concorrente che, sebbene fornito di tutti i requisiti di qualificazione, non sia in grado di offrire uno specifico servizio per la cui erogazione avrebbe, in astratto, tutti i titoli in termini di capacità organizzativa, di controllo e di serietà imprenditoriale»;
«secondo un principio di fondo del sistema, tali certificazioni costituiscono, infatti, un requisito tecnico di carattere soggettivo e devono essere possedute da ciascuna delle imprese associate a meno che non risulti che esse siano incontestabilmente riferite unicamente ad una parte delle prestazioni eseguibili da alcune
soltanto delle imprese associate (cfr. Cons. St. nn. 1459/2004, 2569/2002)»;
«più volte, pertanto, è stato affermato che sul piano sostanziale la certificazione di qualità, diretta a garantire che un’impresa è in grado di svolgere la sua attività almeno secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto, è un requisito che deve essere posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili (cfr., ex plurimis , Cons. St., nn. 4668/2006, 2756/2005, 2569/2002, 5517/2001)»;
«il consolidato orientamento del Giudice amministrativo è stato peraltro costantemente condiviso e ribadito, per parte sua, anche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, ad esempio nel parere precontenzioso n. 254 del 10.12.2008, laddove la medesima Autorità ha chiarito come nei raggruppamenti “il requisito soggettivo” in parola debba essere “posseduto” da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili» (così Cass., 30 novembre 2022, n. 35338 cui adde Cass., 6 dicembre 2024, n. 31391; Cass., 8 giugno 2023, n. 16261).
2.3. Precisato, poi, che la nozione di concessione di un pubblico servizio, come rilevato dalle Sezioni Unite della Corte (Cass. Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9965), ha fondamento nel diritto dell’Unione Europea e si correla (come gli stessi dati normativi di fattispecie rendono evidente) ad «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo» , va, pure, chiarito che nella specie, secondo quanto desumibile dalle
complessive emergenze processuali si verte in ipotesi di una concessione di pubblico servizio e non di appalto
2.4. Orbene muovendo da tali premesse, relativamente alla contestata mancata iscrizione del R.T.I. occorre chiarire che l’Associazione temporanea di imprese (ATI o secondo altra denominazione, Raggruppamento temporaneo di imprese) -introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 20 della Legge 8 luglio 1977, n. 584 (Norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunità economica europea) successivamente abrogato dall’art. 256 d. lgs n. 163 del 2006 recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE” nel quale è confluita la disciplina dei raggruppamenti temporanei di imprese)- si colloca come istituto giuridico nell’ambito generale della contrattualistica pubblica e rappresenta una formula negoziale che consente un sistema di aggregazione, tra operatori economici, caratterizzato da occasionalità, temporaneità e limitatezza, finalizzato alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici. In concreto, quindi, la costituzione di una ATI mira a realizzare una forma di cooperazione tra le imprese che possono integrare capacità economico-finanziarie e tecnico organizzative in vista dell’ aggiudicazione o della esecuzione di un’opera. Lo strumento giuridico per la realizzazione di tale obiettivo è costituito da un accordo negoziale in base al quale più parti effettuano il conferimento di un mandato collettivo irrevocabile ad un soggetto terzo, prescelto come capogruppo, che dovrà agire in nome dei mandanti per effettuare un’offerta congiunta. La connotazione in termini di mera aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione, implica quindi che la costituzione dell’ATI non dia luogo ad un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono. A riguardo la dottrina maggioritaria ha
precisato che ciascuna impresa riunita non svolge attività in comune, ma, nell’ambito della propria parte dei lavori, agisce autonomamente e intrattiene direttamente i propri rapporti con terzi (banche, fornitori, personale ecc…) di fronte ai quali risponde singolarmente senza impegnare la responsabilità delle altre imprese costituenti la riunione. Il vincolo giuridico che nasce dall’ Associazione temporanea di imprese si esprime, infatti, nella responsabilità solidale dell’ATI e delle imprese associate nei confronti dei terzi per gli atti o fatti di gestione riferibili a ciascuna impresa. ( art. 13 , comma 2, Legge n. 104 del 1994, abrogato dal d. lgs n. 163 del 2006). Il rapporto di mandato non determina, di per sé, la nascita di un’organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia.
Questa Corte (vedi Cass. n. 30354/2018) ha avuto modo di precisare che «il raggruppamento temporaneo è volto alla collaborazione delle imprese raggruppate per ottenere l’aggiudicazione di un appalto mediante la presentazione di un’offerta unitaria da parte di soggetti che conservano la propria indipendenza giuridica; e, a tale scopo, è previsto il conferimento di un mandato collettivo speciale gratuito, a norma dell’art. 37, 14° co., del d.lgs. n. 163/06, secondo cui «Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario». Si tratta quindi di un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale. Il mandato collettivo, per di più con rappresentanza, non configura un centro autonomo d’imputazione giuridica, perché è finalizzato ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici (in termini, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2016, n. 3808). Il proprium dell’istituto sta appunto nella possibilità di associarsi
temporaneamente, senza obbligo di assumere vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto ad un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare. La costituzione dell’a.t.i. è affidata a un contratto associativo (così Cass. n. 15129/15) volto a realizzare un’aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione, il che di per sé esclude la formazione di un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono (in termini, Cass. 9 dicembre 2015, n. 24883)….».
2.4. Deve ritenersi, pertanto, che non era necessaria alcuna iscrizione del R.T.I., come condivisibilmente affermato dalla C.T.R., in ragione della natura giuridica dello stesso: la connotazione in termini di mera aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione implica che la costituzione del R.T.I. non dia luogo ad un’entità giuridica nuova che non costituisce un ente autonomo ed ha una durata limitata nel tempo. Va, poi, rimarcato che nulla escludeva, nella fattispecie, che l’affidamento d ei servizi in questione avvenisse dietro distinzione tra attività principali e attività secondarie (di cd. supporto) e che, per queste ultime, non risultasse necessaria l’iscrizione all’Albo.
2.5. Occorre, pervero, rilevare che la superfluità dell’iscrizione all’albo ministeriale di imprese associate per l’esclusivo svolgimento di attività secondarie o accessorie rispetto alle attività di accertamento e riscossione dei tributi trova positivo riscontro nella disciplina del diritto unionale.
Difatti, in base alle direttive n. 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (sull’aggiudicazione dei contratti di concessione) e n. 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (sugli appalti pubblici), di cui il c.d. ‘ codice dei contratti pubblici ‘ costituisce attuazione nel diritto interno, quelle forme di partecipazione aggregata, caratterizzate dal « raggruppamento » di persone fisiche, persone giuridiche o enti
pubblici, « compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o di un’opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi », che il diritto unionale riconduce alla soggettività di un unico « operatore economico » ex artt. 5, n. 2, della citata direttiva 2014/23/UE e 2, par. 1, n. 10, della citata direttiva n. 2014/24/UE, non escludono affatto, quand’anche sia effettivamente riscontrabile una permanente alterità soggettiva tra gli enti a vario titol o coinvolti nell’affidamento e nell’esecuzione del servizio pubblico, la possibilità che un soggetto faccia valere i requisiti, in materia tanto di capacità economica e finanziaria, quanto di capacità tecniche e professionali (requisiti di selezione di cui agli artt. 36, par. 1, 2 e 3, della citata direttiva 2014/23/UE e 58, par. 1, lett. a), b) e c), della citata direttiva n. 2014/24/UE), propri di altro soggetto, con il quale si correli appunto nell’ambito di un affidamento unitario e coordinato.
Così, l’art. 38 della citata direttiva 2014/23/UE (con riguardo alla ‘ Selezione e valutazione qualitativa dei candidati ‘) stabilisce che, « ove opportuno e nel caso di una particolare concessione, l’operatore economico può affidarsi alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei suoi rapporti con loro » (par. 2); e che « (s)e un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, deve dimostrare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che disporrà delle risorse necessarie per l’intera durata della concessione, per esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di detti soggetti », fermo restando che « l’amministrazione aggiudicatrice o l’ ente aggiudicatore può richiedere che l’operatore economico e i soggetti in questione siano responsabili in solido dell’esecuzione del contratto » (par. 2).
E tanto in linea con il predicato del precedente art. 26, che, con particolare riguardo ai « raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee », dispone che: « Ove
necessario, le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori possono precisare nei documenti di gara le modalità con cui gli operatori economici ottemperano ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 38, purché ciò sia giustificato da motivazioni obiettive e proporzionate. Gli Stati membri possono stabilire le condizioni generali relative all’ottemperanza a tali modalità da parte degli operatori economici. Eventuali condiz ioni per l’esecuzione di una concessione da parte di tali gruppi di operatori economici diverse da quelle imposte a singoli partecipanti sono giustificate da motivazioni obiettive e proporzionate » (par. 2).
Analogamente, l’art. 63 della citata direttiva n. 2014/24/UE (con riguardo all” Affidamento sulle capacità di altri soggetti ‘) prevede che « (…) un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi »; e che « se un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, dimostra all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno assunto da detti soggetti a tal fine », fermo restando che « se un operatore economico si affida alle capacità di altri soggetti per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria, l’amministrazione aggiudicatrice può esigere che l’operatore economico e i soggetti di cui sopra siano solidal mente responsabili dell’esecuzione del contratto » (par. 1); inoltre, che: « le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali s iano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 19, paragrafo 2, da un partecipante al raggruppamento » (par. 2). Queste disposizioni sono state interpretate in senso ampio dalla giurisprudenza unionale, cioè nel senso che l’art. 63, par. 1, della citata direttiva n. 2014/24/UE
« conferisce a qualsiasi operatore economico il diritto di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, al fine di soddisfare le varie categorie di criteri di selezione elencati all’articolo 58, paragrafo 1, di detta direttiva e riportati nei paragrafi da 2 a 4 di tale articolo » (Corte Giust., 26 gennaio 2023, causa C-403/21, RAGIONE_SOCIALE Timiş , par. 72 -in senso analogo: Corte Giust., 10 ottobre 2013, RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE vs. Provincia di Fermo , causa C-94/12, par. 29 e 33; Corte Giust., 7 settembre 2021, causa C-927/19, «Klaipėdos regiono atliekų tvarkymo centras» UAB , par. 150), e che il combinato disposto degli artt. 38, par. 1 e 2, e 26, par. 2, della citata direttiva 2014/23/UE « deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non può, senza violare il principio di proporzionalità garantito dall’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva, esigere che ciascuno dei membri di un’associazione temp oranea di imprese sia iscritto, in uno Stato membro, nel registro commerciale o nell’albo professionale ai fini dell’esercizio dell’attività di noleggio e leasing di automobili e autoveicoli leggeri » (Corte Giust., 10 novembre 2022, causa C486/21, Sharengo najem in zakup vozil d.o.o. vs. Mestna občina Ljubljana , par. 104).
In particolare, si è osservato (Corte Giust., 10 novembre 2022, causa C486/21, cit.), con riguardo all’art. 38 della citata direttiva 2014/23/UE, che « la disposizione in parola non può essere interpretata nel senso che impone a un operatore economico di fare unicamente ricorso al contributo di soggetti che possiedono ciascuno l’abilitazione all’esercizio della medesima attività professionale. Infatti, per ipotesi, un operatore economico che fa affidamento sulle capacità di altri soggetti cerca vuoi di potenziare capacità di cui già dispone ma, eventualmente, in quantità o qualità insufficienti, vuoi di dotarsi di capacità o di competenze di cui non dispone. (…)
Sarebbe pertanto sproporzionato, in particolare in quest’ultima ipotesi, esigere che tutti i membri di un’associazione temporanea di imprese siano abilitati all’esercizio dell’attività professionale oggetto della concessione. Infatti, il principio di proporzionalità, che è segnatamente garantito dall’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2014/23 e che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, impone che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicat rici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni di detta direttiva non vadano oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da quest’ultima » (par. 100-101), a meno che non ricorrano « motivazioni obiettive e proporzionate » (par. 102).
In definitiva, la disciplina unionale consente che il raggruppamento temporaneo, come unico « operatore economico », ai fini della partecipazione alla procedura di aggiudicazione, possa beneficiare delle capacità riferibili alle singole imprese associate e che ciascuna delle imprese associate possa usufruire delle capacità riferibili alle altre nell’ambito unitario de l raggruppamento temporaneo nei rapporti esterni con l’amministrazione aggiudicatrice.
In tal modo, si realizza un fenomeno di reciproca e vicendevole ‘ osmosi ‘ tra le singole imprese associate, da un lato, e tra queste e il raggruppamento temporaneo nel suo complesso, dall’altro lato, in modo che le capacità dell’una siano paritariamente condivise con le altre e siano cumulativamente imputate al raggruppamento temporaneo nella relazione corrente con l’amministrazione aggiudicatrice, fermi restando i poteri di verifica e di adeguamento che sono riservati a quest’ultima dall’art. 63 della citat a direttiva n. 2014/24/UE.
Né tale peculiarità è esclusa dall’istituzione di «elenchi ufficiali di imprenditori, di fornitori, o di prestatori di servizi riconosciuti » o dalla previsione di una « certificazione da parte di organismi di certificazione conformi alle norme europee in materia di
certificazione di cui all’allegato VII » (art. 64, par. 1), essendo stato contemplato dalla citata direttiva n. 2014/24/UE l” adeguamento ‘ delle « condizioni di iscrizione negli elenchi ufficiali » e di « quelle di rilascio di certificati da parte degli organismi di certificazione » « all’articolo 63 per le domande di iscrizione presentate da operatori economici facenti parte di un raggruppamento e che dispongono di mezzi forniti loro dalle altre società del raggruppamento » (art. 64, par. 2), obbligando « detti operatori (…) in tal caso dimostrare all’autorità che istituisce l’elenco ufficiale che disporranno di tali mezzi per tutta la durata di validità del certificato che attesta la loro iscrizione all’elenco ufficiale e che tali società continueranno a soddisfare, durante detta durata, i requisiti in materia di selezione qualitativa previsti dall’elenco ufficiale o dal certificato di cui gli operatori si avvalgono ai fini della loro iscrizione ».
Per cui, ciò che rileva in tale contesto è il legame associativo, con reciproca vincolatività, tra le imprese munite e le imprese sprovviste del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività qualificata, che viene in tal modo a concentrarsi -ai soli fini della partecipazione alla procedura selettiva – in capo al raggruppamento temporaneo nella veste di unico « operatore economico » « che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o di un’opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ».
2.6. Va, allora, ribadito il principio di diritto, pienamente condivisibile, secondo il quale, in tema di affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle entrate dei comuni ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese, il requisito soggettivo dell’iscrizione nell’apposito albo istituito presso il Ministero delle Finanze, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997 e del d.m. n. 289 del 2000, è richiesto solo per le imprese associate chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili; ne consegue che, quando il servizio è affidato ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese di tipo misto, la predetta qualifica soggettiva è necessaria solo per
le società del raggruppamento che svolgono le attività principali concernenti l’accertamento e la riscossione dei tributi, per le quali detto requisito formale è previsto, ma non anche per quelle che svolgono attività secondarie, di mero supporto e non in rapporto di fungibilità con la prestazione principale ma solo in funzione servente, il cui accertamento è riservato al giudice del merito (vedi Cass. n. 31391/2024).
2.7. Occorre, infine, precisare che alla luce delle superiori considerazioni devono ritenersi superate le considerazioni svolte da questa Corte, sul punto specifico dell’eccepito difetto di legittimazione attiva del R.T.I., con l’ordinanza n. 35388/2022, resa in un analogo giudizio, fondate su una non corretta individuazione delle clausole contenute nel bando di gara, come chiarito dalla parte ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c.
2.8. Non può, in conclusione, rilevare -contrariamente a quanto paventato da parte ricorrente la mancata iscrizione all’apposito Albo di RAGIONE_SOCIALE posto che la stessa svolgeva quelle attività prodromiche o, comunque, di ausilio alla riscossione che non comportano la delega al privato delle potestà pubblicistiche e neppure la riscossione diretta delle somme da parte dello stesso (come riscontrato dalla CTR), per la stessa, quindi, non occorreva alcuna iscrizione atteso che gli altri operatori risultano avere i requisiti di legge.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’ art. 360 n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 73, commi 1 e 2, del d.lgs. 15.11.1993 n. 507 nonchè dell’art. 12, comma 7, della legge 212/2000 non avendo la CTR, considerato, nel ritenere che il contraddittorio preventivo non era obbligatorio, che le norme in oggetto espressamente prevedono tale obbligatorietà anche per i tributi non armonizzati in caso di accessi, ispezioni o verifiche presso la sede del contribuente ed era pacifico, in quanto si evinceva dall’atto tributario impugnato ed era riconosciuto nella stessa
sentenza, che nella fattispecie in esame l’accertamento era stato effettuato tramite ‘rilevazione diretta’ e, quindi, tramite accesso e verifica presso la società.
3.1. Anche tali censure non colgono nel segno.
In ordine alla paventata nullità per violazione dell’art. 73 d.lgs. 507/1993 questa Corte ha condivisibilmente affermato che ai fini dell’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la prima fase della procedura di accertamento, disciplinata dall’art. 73, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, è caratterizzata dal dialogo fra comune e contribuente, per il consolidamento (mediante controllo in base a documenti, planimetrie, risposte a questionari, ecc.) dei dati contenuti nella denuncia presentata, ovvero acquisiti dall’ufficio tramite rilevazione diretta delle superfici. Pertanto, nel corso di questa fase interlocutoria e collaborativa, i dipendenti comunali o il personale operante a convenzione accedono all’immobile del contribuente col consenso espresso o tacito (supposto) del medesimo, con la conseguenza che essi non hanno bisogno di autorizzazione specifica da parte del sindaco, e l’eventuale preavviso corrisponde a ragioni di mera opportunità o cortesia, sicché la sua mancanza non determina l’invalidità della procedura tipizzata dal consenso dell’interessato. (vedi Cass. Sez. n. 13230/2009 ed in senso conforme Cass. n. 4568/2010 nonché Cass. n. 21062/2019).
Le cause di nullità dell’atto possono, del resto, essere solo quelle irregolarità così sanzionate dalla legge o, in difetto di una specifica comminatoria, quelle gravemente lesive di specifici diritti o garanzie nei confronti del contribuente da impedire qualsivoglia effetto da parte dell’atto cui sottostanno, nella specie esclusa dal Giudice regionale, in termini che vanno qui condivisi, posto che l’attività amministrativa di accertamento in tema di tributi non è retta dal principio del contraddittorio (cfr. Cass. n. 21062/2019). Difatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo
generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 24823/2015, Cass. nn. 11283, 11284, 11285 e 11286 del 2016; Cass. nn. 6757 e 6758 del 2017 ; Cass., Sez. nn. 21616 e 21618 del 2020; Cass. 27382/2020; Cass., Sez. 40482/2021; Cass. nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119/2021; n. 366/2022; n. 16481/2022,). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la
partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativ a per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. 11518/2023).
Con il quarto deduce, ai sensi dell’ art. 360 n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa in relazione all’art. 2948 c.c. in ordine al rigetto della eccezione di estinzione della pretesa per prescrizione quinquennale.
4.1. Pacifica risultando la natura dell’atto impugnato in termini di avviso di accertamento, va dato conto che l’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 prevede -per quanto ora rileva -che «Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono all’accertamento d’ufficio degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato a pena di decadenza, entro il 31 dicembre d el quinto anno successivo a quello in cui o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono
essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni». La norma ha così espressamente stabilito che si tratta di un termine di decadenza e di tanto questa Corte non ha mai dubitato (cfr., sulla natura decadenziale del termine vedi Cass. n. 31897/2022, Cass., n. 27578/2018; Cass. n. 17219/2018, 22900/2020). In tema di decadenza la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione eseguita tramite il servizio postale anche agli atti amministrativi di natura impositiva (Cass. n. 22320/2014 ed altre), come poi definitivamente chiarito, pur a fronte della natura recettizia degli atti di imposizione, anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 40543 del 17 dicembre 2021, secondo cui: «in materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti per gli atti tributari dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell’atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente» (così Cass. Sez. U, civ., 17 dicembre 2021, n. 40543).
4.2. Alla stregua di tale principio, (più volte ribadito vedi Cass. n. 33681/2020 e da Cass n. 24679/2022) deve, pertanto, reputarsi corretta la valutazione del Giudice dell’appello che ha considerato tempestiva la spedizione dell’atto impositivo effettuata (come detto, in data 22 dicembre 2017) prima dello spirare del termine di decadenza gravante sull’ufficio, non ponendosi quindi nel caso in esame alcun problema di prescrizione.
Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in favore del R.T.I. controricorrente come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere al R.T.I. controricorrente le spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.200,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione