Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22833 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22833 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2582/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
CONTRO
NOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Genova
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria n. 495/2/2023, depositata in data 3.7.2023, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della C.G.T. di secondo grado della Liguria indicata in epigrafe, con la quale, all’esito del giudizio di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 27755/2021, veniva rigettato l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza
IRPEF. Avviso di accertamento -raddoppio dei termini -accertamenti integrativi.
della C.T.P. di Genova che aveva accolto il ricorso di NOME avverso l’avviso di accertamento n. TL3012205156/2014, emesso in relazione all’anno di imposta 2007, sulla scorta delle risultanze contenute in un Processo Verbale di Constatazione (P.V.C.) redatto dalla Guardia di Finanza in data 17.12.2013 per difetto di prova dell’esperimento dell’azione penale.
2.Riteneva la C.T.R. che ‘ Il principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, cui si deve uniformare questa Corte, consiste nella valutazione dell’astratta configurabilità di reato, con obbligo di denuncia a norma dell’art. 331 c.p.p., ‘in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione’, che, ai sensi dell’art. 43 d.P.R. 633/1972, giustifica l’applicazione del raddoppio dei termini. L’indagine demandata al Collegio si risolve nel senso che l’avviso di accertamento, sulla scorta degli accertamenti effettuati nel 2013, e del contraddittorio con la contribuente, determina una presunta evasione per gli importi analiticamente indicati dalla ricorrente e non specificamente contestati dall’Ufficio -inferiori alla soglia penale. Sicché non sussiste il presupposto per il raddoppio dei termini indicato dalla Cassazione. In aggiunta, va sottolineato che l’indagine bancaria, richiamata dall’Ufficio, è fondata sul principio di inversione dell’onere della prova, e l’avviso non contesta alcuna attività fraudolenta idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, tale da imporre all’amministrazione di valutare se ricorra l’obbligo di denuncia. Né, in ragione dell’oggetto dell’avviso d’accertamento, rilevano fatti diversi rispetto a quelli inerenti all’atto impugnato ‘.
3.NOME resiste con controricorso
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale del 21.5.2025.
5.La controricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia « motivazione apparente. Nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e violazione degli artt. 132 e 384 comma 2 c.p.c., e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 .», assumendo che la C.T.R., senza prendere in considerazione le argomentazioni dell’Ufficio, si era limitata ad affermazioni generiche, omettendo di specificare anche quali sarebbero stati gli importi analiticamente indicati dalla ricorrente inferiori alla soglia penale. La motivazione si appalesava nel complesso vuota di contenuto sia fattuale che giuridico, lasciando completamente oscure le ragioni del rigetto delle doglianze della parte appellante. Il motivo è infondato.
1.1.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno
2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
1.2.Ciò posto, nel caso in esame la decisione soddisfa il minimo costituzionale, posto che, dalla pur sintetica motivazione si evince che il ragionamento del giudice di seconde cure è stato nel senso di ritenere rilevante esclusivamente l’atto impositivo oggetto del giudizio, dal quale non emergeva il superamento della soglia penale idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, senza che potessero assumere rilevanza fatti diversi da quelli oggetto dell’accertamento impugnato, con ciò intendendo implicitamente riferirsi alle precedenti attività di controllo, relative al medesimo anno di imposta, che avevano portato all’emissione di un primo avviso di accertamento, non impugnato.
2. Con il secondo motivo, l’Ufficio lamenta « violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», sostenendo che la sentenza emessa dai giudici del rinvio avrebbe, comunque, fatto malgoverno dei principi di diritto enunciati nell’ordinanza n. 27755/2021 a proposito dell’individuazione dei presupposti per l’operatività della disciplina sul raddoppio dei termini per l’esercizio dell’attività accertativa di cui all’art. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ed all’art. 57, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo vigente ratione temporis . Evidenzia, al riguardo, che sin dagli esiti del primo P.V.C. sussistevano i presupposti per configurare in capo ai militari verificatori l’obbligo di denuncia penale per il reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000. L’attività di verifica, poi, non si era esaurita con il P.V.C. del 24.09.2009, ma veniva proseguita mediante indagini di carattere finanziario, le cui risultanze venivano illustrate nel PVC integrativo del 17.12.2013, all’interno del quale,
con riferimento al medesimo periodo di imposta 2007, venivano contestati ulteriori ricavi (rispetto a quanto già contestato con il primo PVC) non contabilizzati e non dichiarati per un importo pari ad € 465.638,63. Anche il secondo P.V.C. veniva trasmesso all’Autorità Giudiziaria, la quale avviava il procedimento penale n. 228/14/21, come documentato con la nota della cancelleria della Procura presso il Tribunale di Genova trasmessa all’Ufficio, a mezzo mail, in data 5.08.2016, prodotta in grado di appello sub. 4, e che, per mero tuziorismo difensivo, era stata nuovamente prodotta nel giudizio di rinvio. Peraltro, i militari della Guardia di Finanza erano ben consapevoli dell’operatività del raddoppio dei termini accertativi, posto che, a pag. 20 del P.V.C. del 24.09.2009, veniva evidenziato che il Nucleo di Polizia Tributaria aveva avviato nei confronti della signora COGNOME la richiesta di autorizzazione per l’avvio di indagini finanziarie, con espressa ‘riserva di integrare il presente atto con le risultanze dell’esame della documentazione bancaria come sopra acquisita’. Per l’effetto, nel caso di specie il termine di decadenza per l’emissione di avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2007 veniva a scadere il 31.12.2016 e la notifica dell’avviso di accertamento integrativo n. TL3012205156/2014 oggetto della presente controversia era dunque da ritenersi tempestiva. Risulterebbe, pertanto, chiara la violazione delle norme richiamate, con conseguente erroneità della pronuncia resa all’esito del giudizio di rinvio, la quale aveva ritenuto determinante il mancato superamento della soglia di punibilità in ordine al solo atto impugnato, non ampliando il proprio oggetto di osservazione all’intera attività di controllo relativa all’anno di imposta 2007.
3.Con il terzo ed ultimo motivo, l’Agenzia deduce « violazione e illegittimità della sentenza, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione
temporis », osservando che la decisione violerebbe le norme riportate in rubrica che stabiliscono che, fino alla scadenza del termine indicato nei commi precedenti (ordinario o raddoppiato), gli accertamenti possono essere integrati o modificati mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi specificamente indicati nell’atto integrativo a pena di nullità. Il Giudice del rinvio non aveva dunque tenuto conto della natura di accertamento integrativo dell’atto impositivo oggetto di causa, in quanto emesso in conseguenza di una più ampia attività di controllo che aveva dato luogo, per la stessa annualità, ad un primo P.V.C. e ad un primo avviso di accertamento, nei quali veniva contestata alla contribuente una condotta integrante gli estremi soggettivi e oggettivi del reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000 .
4. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
La prima sentenza di appello, cassata con ordinanza n. 27755/2021, aveva respinto il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo inapplicabile il raddoppio dei termini di accertamento per mancata prova dell’esperimento dell’azione penale nei confronti della contribuente.
4.1.Questa Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso per cassazione, osservando che « In tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in I. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. n.
208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d. Igs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost..» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019; cfr. altresì Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019, secondo cui « In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011.»). Infatti in tale arresto giurisprudenziale si leggono le seguenti argomentazioni (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019, cit., in motivazione): «considerato che, secondo questa Corte, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per VIVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla I. 248 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass. 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali
disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, , essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c. (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27629); considerato inoltre che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in I. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commì da 130 a 132, della I. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. 14 maggio 2018, n. 11620); considerato infatti che, secondo l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza
entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015; ritenuto che dalla giurisprudenza citata si evince un favor del legislatore per il raddoppio dei termini in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa), in ossequio ai principio costituzionale di cui all’art. 53 Cost. (capacità contributiva) e 112 Cost. (obbligo di esercitare l’azione penale e interesse della collettività al perseguimento dei reati) tutte le volte in cui tale raddoppio del termine non incida su diritti fondamentali del contribuente, quali il diritto di difesa, diritto che nel caso di specie non appare compromesso; considerato che l’art. 2, comma 3, cit. va interpretato in maniera costituzionalmente orientata alla luce della suddetta ratio nonché alla luce di una interpretazione piana e lineare della norma, la quale consente senza alcun distinguo quanto al momento in cui sia sorto l’obbligo della denuncia -il raddoppio del termine ove l’avviso di accertamento sia stato comunque notificato entro la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2015 (ossia il 2 settembre 2015: nella specie la notifica è avvenuta il 4 settembre 2014);». In ordine all’accertamento dei presupposti dell’applicazione dei termini raddoppiati qui controversi, è stato altresì chiarito che « questa Corte (Cass. civ. Sez. V, 13 settembre 2018, n. 22337; Cass. civ., sez. V., 30 maggio 2016, n. 11171), sulla questione dei limiti di applicabilità del raddoppio dei termini per l’adozione dell’atto di accertamento ha precisato che il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di
condanna; infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga e dal suo adempimento, sicché “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”; con riferimento alla fattispecie, il giudice del gravame ha ritenuto che, ai fini dell’applicabilità del raddoppio dei termini, è sufficiente che sussista la violazione tributaria che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., ponendosi, quindi, in linea con l’interpretazione normativa sopra illustrata; non rileva, peraltro, la considerazione espressa dalla parte ricorrente in ordine alla mancata produzione in giudizio della documentazione su cui si è fondato il raddoppio dei termini; il raddoppio attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione, sicchè non vi è necessità di esternare le ragioni in base alle quali l’Ufficio ritiene operante il termine raddoppiato, in quanto l’applicazione dello stesso non dipende da una sua scelta discrezionale; pertanto, l’atto impositivo non deve contenere una specifica motivazione sul punto, in quanto il suddetto onere, previsto dalla legge n. 212 del 2000, art. 7, è finalizzato a mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della
pretesa tributaria, per approntare idonea difesa, e a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa (cfr. Cass. 7 maggio 2014, n. 9810; Cass. 10 giugno 2009, n. 13335);» (Cass., Sez. 5, Ord. 17 maggio 2019, n. 13339, in motivazione). E’ stato altresì specificato che «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario.» (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 13481 del 02/07/2020). Nel caso qui controverso la CTR non si è conformata a tali principi, perché – premessa la ritenuta insufficienza istruttoria delle indicazioni, da parte dell’Ufficio, in ordine all’effettiva pendenza di un procedimento penale relativo ai rilievi oggetto dell’accertamento impugnato dalla contribuente- ha ritenuto non doversi raddoppiare i termini per la mancata prova dell’instaurazione di un procedimento penale e dell’oggetto di quest’ultimo, senza farsi carico di verificare se, come sostenuto dall’Ufficio, sussistesse l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione. La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto .’
4.2.La C.T.R., nella pronuncia qui impugnata, appare aver travisato il principio di diritto contenuto nell’ordinanza sopra riportata,
avendo inteso che l’applicabilità dell’istituto del raddoppio dei termini dovesse essere valutata esclusivamente in relazione al secondo avviso di accertamento, oggetto di impugnazione, senza tener conto della vicenda complessiva, che, con riguardo all’anno di imposta 2007, aveva visto l’emissione di un primo avviso di accertamento, basato sul P.V.C. del 2009, cui la contribuente aveva prestato acquiescenza, e di un secondo avviso di accertamento integrativo, basato sul P.V.C. del 2013, relativo al medesimo anno di imposta, nonostante l’esistenza di una tale limitazione del tema di indagine non possa desumersi dal contenuto dell’ordinanza di questa Corte sopra riportata.
4.3.Ed invero, la C.T.R, limitando l’indagine ad una parte soltanto della complessiva attività di controllo, che si era appunto articolata in due fasi distinte, ciascuna delle quali aveva dato origine ad un autonomo avviso di accertamento – il secondo scaturito dalle indagini bancarie svolte dalla Guardia di Finanza -, si è posta in contrasto con quanto dispone l’art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis , secondo cui l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate entro il termine (ordinario o raddoppiato).
5.Da ciò consegue che, una volta ritenuto operante l’istituto del raddoppio dei termini in relazione ai fatti contestati con il P.V.C. del 2009, secondo i parametri interpretativi fissati da questa Corte nell’ordinanza n. 27755/2021, il medesimo termine raddoppiato dovrà valere anche per gli eventuali ulteriori accertamenti integrativi relativi al medesimo anno di imposta (cfr. Cass. n. 5501/2022), purchè notificati, come in effetti è stato nel caso in esame, entro il 31.12.2016, a prescindere dalla sussistenza o meno
di autonomi profili di responsabilità penale, poiché il termine raddoppiato si sostituisce una volta per tutte a quello originario.
6. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: in presenza dei presupposti per il raddoppio dei termini ex art. 43 del d.p.r. n. 600/73, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con Legge n. 208/2015, l’istituto opera anche in relazione agli eventuali accertamenti integrativi ex art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, relativi al medesimo anno di imposta, a prescindere dalla sussistenza o meno di autonomi profili di responsabilità penale.
7.Il ricorso va, dunque, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria affinchè, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.