Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18681 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18681 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
Avviso di accertamento -Irpef -termini di accertamento -raddoppio -vizio della sottoscrizione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31137/2018 R.G. proposto da: dall’Avv.
CONCILIETTI NOME COGNOME rappresentato e difeso NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato ,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LAZIO SEZIONE STACCATA LATINA, n. 2040/2018, depositata il 29/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 9 gennaio 2015 l’Agenzia delle Entrate notificava ad NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. TKQ017A015502014, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale recuperava a tassazione: 1) un reddito di capitale da partecipazione nella società RAGIONE_SOCIALE di € 27.818,00; 2) ritenute operate dalla RAGIONE_SOCIALE quale sostituto d’imposta per prestazioni per € 33.028,00 ritenute indetraibili, poiché operate, ma non versate, in relazione ad un falso contratto di lavoro.
Avverso detta sentenza il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Frosinone che lo rigettava con sentenza confermata in appello.
Avverso la sentenza di secondo grado il contribuente propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenz ia delle Entrate che resiste a mezzo tempestivo controricorso, valendosi della sospensione dei termini per la proposizione dell’impugnazione di cui all’art art. 11 d.l. n. 119 del 2018 convertito con modificazioni dalla legge n. 136 del 2018.
Il contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il contribuente propone tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art . 43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 cod. civ. cod. proc. civ. legge 27 luglio 2000, n. 212.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile all’accertamento il c.d. « raddoppio dei termini» sul presupposto che le violazioni contestate integrassero l’ipotesi di reato
di cui all’art. 4 legge n. 74 del 2000 , senza verificare la sussistenza dei presupposti del reato di dichiarazione infedele, nell’anno 2008 (in relazione ai redditi del 2007), atti a giustificare l’obbligo di denuncia e, quindi, la possibilità del raddoppio dei termini. Osserva sul punto che che gli importi contestati in evasione non superavano le soglie di punibilità previste dall’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 in vigore dal 15 aprile 2000 al 16 settembre 2011.
1.2. Con il secondo motivo denuncia , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 cit., dell’art. 57 d.P.R. 2 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall’art. 37, d.l. 4 luglio 2006, n. 223convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n. 248.
In via subordinata, con una prima critica censura la sentenza impugnata per aver negato l’applicazione del regime transitorio della disciplina sul raddoppio dei termini di accertamento stabilito dall’art. 1, comma 132, legge n. 208 del 2015 sull’assunto che l’avviso era relativo al periodo di imposta precedente a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 essendo stato già notificato.
Con una seconda critica, censura la sentenza per aver applicato il raddoppio dei termini anche agli accertamenti relativi alle addizionali regionali e comunali.
1.3. Con il terzo motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. , l’ omesso esame e/o l’ erronea valutazione di un fatto decisivo della controversia in relazione alla prova dei poteri e della qualifica ex art. 42 d.P.R n. 600 del 1973 cit. del sottoscrittore dell’avviso impugnato, ovvero in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 cit.
Censura la sentenza per aver omesso di verificare i poteri del firmatario dell ‘avviso impugnato atteso che l’A mministrazione non aveva assolto l’onere , sulla stessa incombente, di dimostrare, in caso
di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’Ufficio.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata in controricorso dall’A genzia delle entrate sul presupposto che il motivo prospetterebbe una questione nuova nella parte in cui rileva la non sussistenza delle soglie di punibilità di cui al d.lgs. n. 74 del 2000. Infatti è la stessa sentenza impugnata che ha ritenuto applicabili i termini raddoppiati in quanto la violazione contestata era riconducibile alle previsioni di cui alla citata normativa.
2.2. Il motivo, piuttosto, è infondato nel merito.
Il raddoppio dei termini -previsto per l’Irpef dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e per l’Iva e dall’art 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 – consegue alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen.
La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale e non dipende dal suo accertamento in concreto. L’istituto presupp one la sussistenza dell’obbligo di presentazione denuncia penale, a prescindere dall’esito del procedimento e nonostante l’eventuale estinzione del reato per archiviazione della denuncia, rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime c.d. del doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. 15/09/2022 n. 27250). Nello stesso senso si è aggiunto che il raddoppio dei termini, avendo rilievo solo la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, opera nonostante l’eventuale prescrizione del reato (Cass. 11/04/2017, n. 9322).
Questa Corte ha chiarito, altresì, che ciò non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine ordinario fissato dalla legge, dovendo, al contrario, essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Tuttavia, si è osservato, che la ratio sottesa all’istituto del raddoppio dei termini, di natura essenzialmente procedimentale, è quella di dare all’Ufficio un tempo maggiore per gli accertamenti nei casi più gravi in cui gli elementi emersi presentino rilievo penale; che la possibilità che, proprio ad esito di quegli accertamenti e del contraddittorio endoprocedimentale, le iniziali emergenze vengano ridimensionate e l’atto impositivo si fondi su elementi privi di rilievo penale non può certamente implicare, a posteriori, il venir meno dei presupposti di applicazione del termine più lungo, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un tempo più ampio (Cass. 14/07/2023, n. 20409).
2.3. La CTR si è uniformata a questi principi ed ha affermato che nella fattispecie operava il termine raddoppiato per l’accertamento atteso che la violazione contestata era riconducibile alle previsioni di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 e che era stata presentata denuncia penale. Resta, invece irrilevante che, a seguito delle indagini svolte, le contestazioni elevate si siano eventualmente collocate sotto la soglie di punibilità.
La prima censura di cui al secondo motivo è infondata.
1. L’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 (commi inseri ti dall’art. 37 commi 24, e 25 d.l.. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006), prevede che, in caso di violazione
che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, i termini di cui ai commi precedenti (cioè, in caso di presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nonché, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata) sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.
3.2. Su detta disciplina è intervenuto dapprima il d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128 e successivamente la legge 2 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità del 2016).
L’art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 128 del 2015, modificando le precedenti disposizioni di cui agli artt. 43 cit. e 57 cit., dispone -a decorrere dalla sua entrata in vigore e, quindi, dal 2 settembre 2015 -che il raddoppio dei termini può operare solo ove la denuncia sia stata presentata nei termini ordinari.
Il successivo comma 3 detta una disciplina transitoria in virtù della quale le nuove regole non si applicano 1) agli avvisi di accertamento (oltre che agli altri atti ivi contemplati) già notificati alla data di entrata in vigore (ovvero entro il 1° settembre 2015); 2) agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione notificati o formalmente conosciuti dal contribuente entro la medesima data, sempre che la notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria sia avvenuta entro il 31 dicembre 2015.
3 .3. Successivamente, l’art. 1, commi 130 e 131, legge n. 208 del 2015 ha sostituito integralmente le disposizioni di cui agli artt. 43 cit. e 57 cit. prevedendo un termine di accertamento più lungo rispetto a quello ordinario precedente ed eliminando la previsione del raddoppio in caso di denuncia penale. I nuovi termini di decadenza sono stati
rispettivamente fissati al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ed al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Il comma 132 dello stesso art. 1 legge n. 208 del 2015 ha previsto, anch’esso, un regime transitorio così articolato: «Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni.»
3.4. La questione del rapporto tra i due regimi transitori è stata già risolta da questa Corte la quale ha precisato, con giurisprudenza consolidata che: a) il conflitto tra le due norme è solo apparente e che il regime transitorio di cui alla legge n. 208 del 2015 (ovvero il secondo regime transitorio) per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016, riguarda solo le fattispecie non regolate dal regime transitorio dettato dal d.lgs. n. 128 del 2015 (primo regime transitorio); b) la funzione del regime transitorio di cui all’art. 1, comma 132 legge n. 208 del 2015 è solo quella di regolare le fattispecie della lex anterior in considerazione della successione di leggi nel tempo e, quindi, di disciplinare diversamente il precedente regime ordinario (non anche quello transitorio sopra esposto) del raddoppio dei termini di accertamento, previsto dal d.lgs. n. 128 del 2015 (regime ordinario in forza del quale il raddoppio dei termini ordinari (di 4 o 5 anni, a seconda che sia stata presentata o no la dichiarazione) opera solo se la denuncia penale da parte dell’Amministrazione finanziaria -espressione che, a tali fini, deve ritenersi comprensiva anche della Guardia di finanza -sia presentata o trasmessa entro la suddetta scadenza ordinaria dei termini (Cass.16/12/2016, n. 26037).
3.5. Nel caso in esame che come detto, ha ad oggetto l’anno di imposta 2007 , è pacifico che l’avviso di accertamento è stato notificato il 20 gennaio 2015. Lo stesso, rientrava, pertanto, nella prima disciplina transitoria di cui all’art 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 secondo la quale le nuove regole non si applicavano agli avvisi di accertamento già notificati alla data di entrata in vigore (ovvero entro il 1° settembre 2015).
La seconda censura di cui al secondo motivo è inammissibile come rilevato dalla controricorrente.
4.1. Il giudizio d’appello, per come ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la specifica questione
dedotta con la critica in esame, ovvero l’inapplicabilità del raddoppio dei termini per quanto riguarda l’accertamento delle addizionali.
E’ noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto (Cass. 24/01/2019, n. 2038).
Il terzo motivo è infondato.
5 .1. Il contribuente lamenta l’omessa pronuncia in ordine alla questione prospettata sia in primo che in secondo grado relativa all’invalidità dell’ avviso di accertamento per vizio della sottoscrizione.
5.2. Preliminarmente va disattesa l’ eccezione di inammissibilità solle vata dall’Agenzia delle entrate in ragione della errata qualificazione del motivo come violazione di legge.
Sebbene il vizio sia stato erroneamente qualificato come violazione di legge o omesso esame di fatti decisivi invece che come error in procedendo, censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod.
proc. civ., ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorché la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., anziché sotto il profilo dell’ error in procedendo di cui al numero 4 del citato art. 360 (Cass. 21/01/2013, n. 1370).
5.3. La CTR, sebbene la questione fosse stata proposta in appello ne ha effettivamente omesso l’esame.
Questa Corte, tuttavia, ha precisato che nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 16/06/2023 n. 17416).
5.3.1. A tal proposito, in via generale deve evidenziarsi che questa Corte ha modificato il proprio orientamento in tema di delega di firma (non delega di funzioni), ai sensi dell’art. 42 cit., ritenendo irrilevante la mancata indicazione del nominativo del soggetto delegato, o della durata della delega, essendo sufficiente l’indicazione della qualifica rivestita (Cass., 29 marzo 2019, n. 8814; Cass., 19 aprile 2019, n. 11013); ha però ribadito che, in caso di contestazione specifica da parte del contribuente in ordine ai requisiti di legittimazione del sottoscrittore dell’avviso, incombe sulla Amministrazione fornire la
prova della sussistenza degli stessi. L’Amministrazione finanziaria è tenuta, quindi, nell’ipotesi di contestazione, con onere della prova a suo carico (anche per il principio di vicinanza alla prova), a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale (Cass. n. 19190 del 2019 cit.).
Si è aggiunto, inoltre, che una volta che agli atti del giudizio risulti la delega di firma, l’appartenenza del delegato alla carriera direttiva si presume. Trattandosi, infatti, di delega di firma e non di funzioni, l’atto di delega del dirigente, pur necessario ai fini della validità dell’atto delegato, è un atto organizzativo interno all’ufficio, sicché se lo stesso apparato pubblico da cui promana l’atto n on ne disconosce gli effetti, deve presumersi la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo al funzionario sottoscrittore (Cass. 10/01/2025, n. 689).
Ulteriore questione, invece è quella relativa la sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti -capi di ufficio o delegati -la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente in relazione alla sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale.
Sul punto questa Corte, ha chiarito che, poiché l’art. 42, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 postula l’esistenza del vizio invalidante in relazione al non essere l’atto fiscale proveniente da chi abbia titolo per agire in nome e per conto dell’amministrazione, e poiché colui che vanta, in base al primo comma della norma, questo titolo è il funzionario di carriera direttiva che sia stato messo a capo dell’ufficio ovvero che sia stato da questi appositamente delegato, non anche il funzionario avente qualifica dirigenziale, la conseguenza è che rimane irrilevante, ai fini specifici, la sopravvenuta decisione n. 37 del 2015 della corte costituzionale. La decisione invero non può incidere sulla
validità degli atti tributari perché diverso è il suo oggetto (Cass. 09/11/2015, n. 22810).
Le due questioni sono, pertanto, tra loro differenti in quanto si fondano su diversi fatti costituivi e non sono confondibili l’una con l’altra.
5.3.2. Sempre in via generale va ribadito che, nelle ipotesi di invalidità degli atti impositivi, opera il generale principio di conversione dei vizi in motivi di gravame, in ragione della struttura impugnatoria del processo tributario, nel quale la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto, sicché le nullità, ove non dedotte con il ricorso originario, non possono essere rilevate d’ufficio né fatte valere per la prima volta nel giudizio di legittimità. (Cass. 18/05/2018, n. 12313).
5.3.3. Ciò posto e venendo alla fattispecie in esame, come eccepito in controricorso, deve rilevarsi che la questione posta in appello era inammissibile in quanto nuova. In primo grado, infatti, l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento in ragione d el vizio conseguente alla sua sottoscrizione, era stata posta in ragione della presumibile carenza del potere dirigenziale del delegante, ovvero di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento, in mancanza d ella sua qualifica di dirigente (cfr. lett. D del ricorso innanzi alla CTP di Frosinone allegato al controricorso). Anche nel corpo del motivo, poi, la questione era stata prospettata solo sul presupposto che l’atto fosse stato sottoscritto da soggetto incaricato di funzioni dirigenziali ma non nominato a seguito di concorso pubblico. In particolare, il contribuente sosteneva l’invalidità dell’atto impositivo in ragione di quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 2015 che ha dichiarato incostituzionali le norme che consentivano all’Agenzia delle Entrate di coprire le posizioni dirigenziali vacanti mediante il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine con funzionari interni. La parte, pertanto,
faceva valere un vizio legato alla qualifica dirigenziale del delegato o del delegante e, dunque, in ragione di fatti costitutivi diversi da quella successivamente allegati prima in appello, e poi, nel ricorso per cassazione, che invece riguardavano la diversa questione della sussistenza in capo al soggetto firmatario dei poteri di delega.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di merito seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2025.