Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9001 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
Avviso di accertamento-ires irap iva -termini -raddoppio -costi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26069 del 2016 R.G. proposto da: COGNOME NOME E NOMECOGNOME nella dichiarata qualità di ex soci della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, n. 2059 del 2016, depositata l’11 /04/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5
marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 30 gennaio 2013 l’A genzia delle entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE e sercente l’attività di studi di promozione pubblicitaria -cancellata dal registro delle imprese in data 15 luglio 2014 -avviso di accertamento con il quale recuperava una maggiore Ires e una maggiore Irap.
L’ufficio rilevava la mancata dichiarazione, con riferimento all’ anno 2006, dei redditi derivanti dalla vendita di immobili ad uso ufficio avvenuta nelle date del 14 luglio 2006 e del 2 novembre 2006. Per l’effetto, con processo verbale di constatazione del 30 ottobre 2012, contestava l’omessa istituzione tenuta e conserva zione delle scritture contabili, l’ omessa presentazione della dichiarazione annuale delle imposte sui redditi per l’anno d’imposta 2006 , la mancata dichiarazione di ricavi per euro 570.000,00. Di conseguenza accertava una maggiore Ires di euro 188.100,00 ed una maggiore Irap di euro 24.225,00.
L’atto impositivo veniva impugnato innanzi alla C.RAGIONE_SOCIALE Milano dalla società in persona del liquidatore NOME COGNOME ed anche da quest’ultimo in proprio .
La C.t.p rigettava il ricorso.
Avverso detta sentenza spiegavano appello sia la società che NOME COGNOME in proprio. Il giudizio, dichiarato interrotto all’udienza del 13 Aprile 2015 in ragione della cancellazione della società dal registro delle imprese, veniva successivamente riassunto da NOME COGNOME e NOME COGNOME quali ex soci della società ormai estinta.
La C.t.r. rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza ricorrono entrambi i soci e l’Agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso.
Considerato che:
I contribuenti propongono cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo denunciano, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., v iolazione o falsa applicazione, dell’art. 43 , comma, 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dell’art. 57 , comma, 3 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, così come modificati dall’art. 1 , comma 132, legge 31 dicembre 2015 n. 207.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile per l’accertamento il c.d. termine raddoppiato, nonostante la mancata presentazione di denuncia di reato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
1.2. Con il secondo motivo denunciano, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., v iolazione o falsa applicazione, dell’art. 43 , comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile per l’accertamento il c.d. termine raddoppiato, senza accertare se sussistevano, almeno astrattamente, i presupposti per l’obbligo di presentazione di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per qualcuno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.
1.3. Con il terzo motivo denunciano violazione o falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza nella parte in cui , ai fini dell’applicazione del termine raddoppiato, ha ritenuto provata la presentazione di denuncia da parte dell’A mministrazione, circostanza meramente dedotta ex adverso.
1.4. Con il quarto motivo denunciano, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., v iolazione o falsa applicazione, dell’art. 43 , comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 , comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972.
Censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile il raddoppio dei termini anche all’accertamento relativo all’Irap .
1.5. Con il quinto motivo denunciano, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e, comunque, ex art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., , violazione dell’art. 39 , comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973.
Premesso che l’ Ufficio aveva fatto ricorso al metodo dell’accertamento induttivo puro in ragione della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, censurano la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare un fatto decisivo, ovvero la possibilità di dedurre i costi sostenuti dalla società, non documentati in fase di accertamento, ma comunque provati in corso di causa. Censurano, altresì, la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sulla possibilità di documentare i costi sostenuti in sede contenziosa laddove non fosse stato possibile farlo in fase di accertamento in quanto non vi era stata da parte degli organi accertatori alcuna richiesta di produzione documentale. Precisano, in particolare, che gli organi accertatori non avevano mai espressamente richiesto l’esibizione delle fatture d’acquisto e gli altri costi documentati relativi ai ricavi corrispondenti alle due fatture dalle quali era scaturito l’accertamento.
I primo tre motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto hanno ad oggetto la sussistenza dei presupposti per il c.d. raddoppio dei termini di accertamento.
I motivi sono infondati. se pure la motivazione va corretta ex art. art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
2.1. In ordine alla disciplina applicabile alla fattispecie, va evidenziato che l’avviso di accertamento è stato notificato il 30 dicembre 2013. Vigeva, pertanto, il regime transitorio di cui al d.lgs. n. 128 del 1015 che faceva salvi, quanto alla disciplina dei termini di accertamento, gli avvisi di accertamento già notificati alla data di sua entrata in vigore.
Si applica, pertanto, l ‘art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 57, comma 3, (commi inseriti dal l’art. 37 commi 24, e 25 d.l.. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006) i quali prevedono che, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, i termini di cui ai commi precedenti (cioè, in caso di presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nonché, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata) sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.
2.2. Il raddoppio dei termini -come detto previsto per l’Irpef dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e per l’Iva e dall’art 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 – consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche sopra citate, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen.
I termini, così detti, «raddoppiati» non si innestano su quelli ordinari, ma operano autonomamente allorché si riscontrino elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati
previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (tra le tante Cass. 20/12/2022, n. 37252, Cass. 03/05/2018, n. 10483, Cass. 16/12/2016, n. 26037). In particolare, come chiarito dalla Corte costituzionale, i termini ordinari operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000; mentre i termini raddoppiati operano in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia (Corte cost. 25/07/2011, n. 247). In altri termini, ciò che rileva è solo la sussistenza dell’obbligo di denuncia, perché essa soltanto connota obiettivamente, sin dall’origine, la fattispecie di illecito tributario alla quale è connessa l’applicabilità dei termini in misura doppia.
La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale e non dipende dal suo accertamento in concreto. L’istituto presupp one la sussistenza dell’obbligo di presentazione della denuncia penale, a prescindere dall’esito del procedimento e nonostante l’eventuale estinzione del reato per archiviazione, rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime c.d. del doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. 15/09/2022 n. 27250). Nello stesso senso si è aggiunto che il raddoppio dei termini, rilevando unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, op era nonostante l’eventuale prescrizione del reato (Cass. 11/04/2017, n. 9322)
2.3. Questa Corte ha chiarito, altresì, che ciò non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine ordinario fissato dalla legge, dovendo, al contrario, essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più
ampio termine di accertamento. Tuttavia, si è osservato, in proposito che la ratio sottesa all’istituto del raddoppio dei termini, di natura essenzialmente procedimentale, è quella di dare all’Ufficio un tempo maggiore per gli accertamenti nei casi più gravi in cui gli elementi emersi presentino rilievo penale; che la possibilità che, proprio ad esito di quegli accertamenti e del contraddittorio endoprocedimentale, le iniziali emergenze vengano ridimensionate e l’atto impositivo si fondi su elementi privi di rilievo penale non può certamente implicare, a posteriori, il venir meno dei presupposti di applicazione del termine più lungo, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un tempo più ampio (Cass. 14/07/2023, n. 20409).
2.4. Nella fattispecie in esame non è controverso che alla società fossero state contestate violazioni astrattamente idonee ad integrate uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000. In ragione di ciò i termini per l’accertamento erano soggetti al c.d. raddoppio restando irrilevante che fosse stata o meno presentata la denuncia di reato.
2.5. La C.t.r. nell’escludere la decadenza dal potere impositivo, se pure ha fatto riferimento alla effettiva presentazione della denuncia, che il ricorrente invece assume non essere stata documentata, ha comunque deciso conformemente alla giurisprudenza di legittimità.
Il quarto motivo , relativo ai termini per l’accertamento dell’Irap, è fondato.
3.1. In primo luogo va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente sul presupposto che si tratti di motivo nuovo. Il contribuente sin dal primo grado di giudizio ha sostenuto che l’U fficio era decaduto dal potere accertativo per decorso dei termini. Il motivo, pertanto, veniva formulato con riferimento ad entrambe le imposte oggetto di recupero e, come tale andava scrutinato.
3.2. Il c.d. «raddoppio dei termini» per la notifica, a pena di decadenza degli avvisi di accertamento, previsto dall’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia per reati tributari non può trovare applicazione per l’Irap, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass. 03/05/2018, n. 10483).
3.3. La C.t.r., nel ritenere che all’intero accertamento si applicasse il termine raddoppiato non si è attenuta a questi principi.
Il quinto motivo è inammissibile nella parte in cui si lamenta, ai sensi dell’art. 360 primo, comma, n. 5, cod. proc. civ. , l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in quanto la censura incorre nella preclusione derivante dalla c.d. «doppia conforme».
4.1. N ell’ipotesi di «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’ar t. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrand o che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430).
Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 201 4, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. doppia conforme), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario. La sentenza di secondo grado, infatti, non ha
fatto altro che esplicitare, per altro in maniera congrua e logica, il percorso motivazionale seguito dalla sentenza di primo grado per giungere, dai maggiori compensi accertati, rispetto a quelli dichiarati alla determinazione del maggiori reddito.
Il motivo è fondato, invece, nella parte in cui prospetta una violazione di legge.
5.1. Non è controverso tra le parti che l’accertamento è stato condotto con il metodo c.d. induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 stante l’omessa presentazione delle dichiarazione dei redditi.
5.2. Questa Corte ha chiarito che, in ossequio al principio di capacità contributiva -l’Amministrazione deve tener conto non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi (Corte cost. n. 225 del 2005). L’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.» (Cass. 23/10/2018, n. 26748).
5.3. Quanto, poi, alla documentazione prodotta in sede giudiziale -con riferimento alla quale il contribuente si duole del silenzio serbato dalla C.t.r. in sentenza e sulla cui utilizzabilità vi è contrasto tra le parti -viene in rilievo l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dall’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 quanto all’iva) il quale prevede che «le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere
presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile».
Non è pertinente, invece, l’art. 33 d.P.R. n. 600 del 1973 (di identico tenore dell’art. 52 c. 5 d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di iva) secondo il quale «i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione».
Detta ultima disposizione prevede chiaramente come elemento essenziale della condotta che origina la preclusione quello della intenzionalità di non consentire l’esame della documentazione e, infatti, trova applicazione ai soli casi di ispezione, con ciò intendendo l’attività di esame e controllo svolta dai verificatori in sede di accesso presso il contribuente o in luoghi a questi collegati, al di fuori dell’Ufficio, non nei casi in cui i documenti sono richiesti con l’invio di apposita comunicazione o questionario ma senza introduzione e stazionamento per quanto necessario di personale dell’Amministrazione presso il soggetto sottoposto a controllo (Cass. 14/06/2021 n. 16757).
5.4. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito, pertanto, che l’omessa o intempestiva risposta dei dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento fiscale comporta, ex art. 32, quarto
comma, d.P.R. n. 600 del 1973, l’automatica inutilizzabilità, amministrativa e processuale, della documentazione prodotta tardivamente, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita alla sussistenza di tale condotta, non essendo richiesto alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte; al contrario, l’eventuale deroga all’inutilizzabilità, deve essere fatta valere dal contribuente con le modalità ivi previste entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado (Cass. 22/07/2020, n. 15600, Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 23/3/2016, n. 5734). Corollario dell’automatica inutilizzabilità della documentazione richiesta dai verificatori e non esibita dal contribuente è quindi l’operatività della conseguente preclusione processuale, anche a prescindere dalla proposizione, da parte dell’Ufficio, di una tempestiva eccezione. Si è precisato, infatti, che, in tema di accertamento tributario, l’omessa o intempestiva esibizione da parte del contribuente di dati e documenti in sede amministrativa è sanzionata con la preclusione processuale della loro allegazione e produzione in giudizio, che prevale anche rispetto all’art. 58, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, e che non può ritenersi sanata nemmeno ove l’Amministrazione finanziaria non sollevi la relativa eccezione in sede di udienza di discussione della causa, atteso il carattere perentorio del termine di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Pertanto, l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e neppure trova applicazione l’art. 57 d.lgs n. 546 del 1992, che non consente alle parti di proporre in appello Cass. n. 1539 del 2024, Cass. n. 15600 del 2020 cit.,15600 del 2020, Cass. n. 16548 del 2018 cit.,).
E’ stato puntualizzato, però, che l’omessa esibizione, da parte del contribuente, dei documenti in sede amministrativa determina
l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza; infatti, non può costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto (Cass. n. 1539 del 2024 e Cass. 15600 del 2020, cit., Cass. 12/04/2017, n. 9487).
Quanto alle caratteristiche del questionario, questa Corte ha ritenuto sufficientemente specifico un invito da cui emerga che la parte è stata espressamente invitata, con riferimento ai beni attinti dall’accertamento a depositare eventuale documentazione giustificativa di redditi esenti, assoggettati a ritenuta d’imposta, tassati con sistemi forfettari o disinvestimenti, smobilizzi, altre disponibilità anche provenienti da terzi ma messi a disposizione del contribuente così come previsto dall’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973. (Cass. n. 15600 del 2020, cit.).
5.5. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi, in quanto si è limitata a ritenere legittima la ricostruzione del reddito in via induttiva senza compiere alcuna verifica sui costi.
Al contrario, avrebbe dovuto accertare, in primo luogo l’ammissibilità della produzione documentale alla luce di principi sopra esposti e, in ogni caso, se l’Amministrazione avesse ridotto il maggior reddito d’impresa accertato di una percentuale di costi, pure induttivamente determinata.
In conclusione, vanno accolti il quarto ed il quinto motivo di ricorso, quest’ultimo limitatamente alla violazione di legge, disattesi tutti gli altri; la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa
composizione, che si atterrà ai principi esposti e si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, disattesi gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2025.