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Raddoppio termini: Cassazione su Irap e costi induttivi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9001/2025, si è pronunciata su un caso di accertamento fiscale nei confronti degli ex soci di una società estinta. La Corte ha stabilito che il raddoppio dei termini di accertamento, previsto in presenza di reati tributari, è legittimo per Ires e Iva ma non si applica all’Irap, poiché le violazioni relative a tale imposta non costituiscono reato. Inoltre, ha ribadito che, anche in caso di accertamento induttivo “puro” per omessa dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria deve considerare i costi sostenuti dall’impresa per determinare il reddito imponibile, al fine di rispettare il principio di capacità contributiva. La sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione su questi punti.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini: No all’IRAP e Obbligo di Calcolare i Costi

L’ordinanza n. 9001/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul raddoppio dei termini di accertamento fiscale e sui poteri dell’Amministrazione finanziaria in caso di accertamento induttivo. La Suprema Corte ha stabilito due principi fondamentali: il raddoppio dei termini per reati tributari non si estende all’IRAP e, anche in assenza di contabilità, l’ufficio deve sempre considerare i costi per determinare il reddito imponibile. Questa decisione traccia confini precisi, bilanciando le esigenze erariali con i diritti del contribuente.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, successivamente cancellata dal registro delle imprese. L’Agenzia delle Entrate contestava l’omessa dichiarazione dei redditi per l’anno 2006, derivanti dalla vendita di alcuni immobili. A causa della mancata presentazione della dichiarazione e della presunta omessa tenuta delle scritture contabili, l’ufficio procedeva con un accertamento induttivo “puro”, recuperando maggiori imposte ai fini Ires e Irap. L’atto impositivo veniva notificato nel 2013, oltre il termine ordinario, basandosi sul cosiddetto raddoppio dei termini previsto in presenza di violazioni penalmente rilevanti. Gli ex soci della società, ormai estinta, impugnavano l’atto, dando inizio a un contenzioso che, dopo due sentenze di merito sfavorevoli, è giunto fino in Cassazione.

L’Analisi della Corte

La Cassazione ha esaminato i cinque motivi di ricorso presentati dai contribuenti, accogliendone due e rigettando gli altri. L’analisi della Corte si è concentrata su due temi centrali: l’ambito di applicazione del raddoppio dei termini e la corretta determinazione del reddito in sede di accertamento induttivo.

Il Raddoppio dei Termini per IRES: Legittimo in Presenza di Indizi di Reato

I primi tre motivi di ricorso contestavano la legittimità dell’applicazione del termine di accertamento raddoppiato. I ricorrenti sostenevano che l’Amministrazione non avesse provato la sussistenza dei presupposti per la denuncia penale.
La Corte ha respinto queste censure, chiarendo un punto cruciale: per l’applicazione del raddoppio dei termini, ciò che rileva è la sola esistenza di indizi di un reato tributario che facciano sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. Non è necessario che la denuncia sia stata effettivamente presentata, né rileva l’esito del successivo procedimento penale. La norma opera in automatico quando la violazione tributaria ha, anche solo in astratto, rilevanza penale. Di conseguenza, per le imposte sui redditi (IRES), la Corte ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito.

Raddoppio dei Termini e IRAP: Un’Applicazione Impossibile

Il quarto motivo, che è stato accolto, riguardava l’estensione del raddoppio dei termini anche all’IRAP. Su questo punto, la Cassazione ha tracciato una linea netta. Il raddoppio è strettamente legato alla commissione di reati previsti dal D.Lgs. 74/2000. Poiché le violazioni relative alla normativa IRAP non sono presidiate da sanzioni penali, il termine di accertamento esteso non può trovare applicazione per tale imposta. La sentenza dei giudici di merito è stata quindi cassata su questo specifico punto, in quanto non si è attenuta a tale principio.

L’Accertamento Induttivo e la Deducibilità dei Costi

Il quinto motivo, anch’esso accolto, criticava la sentenza d’appello per non aver considerato la possibilità di dedurre i costi sostenuti dalla società, nonostante l’accertamento fosse di tipo induttivo puro. La Corte ha ribadito un principio consolidato, fondato sull’art. 53 della Costituzione (principio di capacità contributiva): l’imposizione fiscale deve colpire il reddito netto, non quello lordo. Pertanto, anche quando l’Amministrazione finanziaria è costretta a ricostruire il reddito in via presuntiva, deve tener conto delle componenti negative, come i costi, che possono essere anch’essi determinati in via induttiva. La Corte ha inoltre precisato che la preclusione alla produzione di documenti in sede processuale opera solo se il contribuente non ha risposto a una richiesta specifica e puntuale dell’Ufficio durante la fase di verifica, completa dell’avvertimento sulle conseguenze dell’inottemperanza. In assenza di una tale richiesta, il contribuente può legittimamente produrre la documentazione in giudizio.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra la disciplina delle imposte sui redditi e quella dell’IRAP ai fini penali, e sul rispetto inderogabile del principio costituzionale di capacità contributiva. Il raddoppio dei termini è una misura eccezionale legata alla gravità di condotte che integrano reati fiscali; non può essere estesa per analogia a tributi, come l’IRAP, le cui violazioni hanno rilevanza solo amministrativa. Per quanto riguarda la determinazione del reddito, la Corte ha sottolineato che l’accertamento induttivo, pur essendo uno strumento potente, non autorizza l’Amministrazione a ignorare la realtà economica dell’impresa. Tassare i ricavi lordi equivarrebbe a imporre un prelievo su una ricchezza inesistente, violando l’art. 53 Cost. Di conseguenza, l’onere dell’ufficio è quello di ricostruire un reddito il più possibile veritiero, includendo una stima dei costi anche in via forfettaria se non altrimenti documentabili.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte ha accolto il quarto e il quinto motivo di ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà dichiarare la decadenza del potere di accertamento per l’IRAP e ricalcolare l’IRES dovuta, tenendo conto dei costi sostenuti dalla società. La decisione rafforza le garanzie per il contribuente, anche in contesti di grave irregolarità fiscale, e definisce con precisione i limiti del raddoppio dei termini di accertamento.

Il raddoppio dei termini di accertamento si applica anche all’IRAP?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il cosiddetto «raddoppio dei termini» si applica solo in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia per reati tributari. Poiché le violazioni delle disposizioni relative all’IRAP non sono presidiate da sanzioni penali, tale meccanismo non può essere esteso a questa imposta.

Per applicare il raddoppio dei termini, è necessario che l’Agenzia delle Entrate presenti effettivamente una denuncia penale?
No. È sufficiente che la violazione contestata sia astrattamente idonea a integrare uno dei reati previsti dalla normativa tributaria (D.Lgs. n. 74 del 2000). La norma si attiva in presenza di seri indizi di reato che fanno sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale, a prescindere dal fatto che la denuncia sia stata poi effettivamente presentata o dall’esito del procedimento penale.

In un accertamento induttivo “puro”, l’Amministrazione finanziaria può ignorare i costi sostenuti dal contribuente?
No. Anche in sede di accertamento induttivo, condotto in assenza di scritture contabili, l’Amministrazione deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente. Questo implica tener conto non solo dei maggiori ricavi, ma anche dei costi relativi, che possono essere determinati anch’essi in via induttiva. Ciò è necessario per rispettare il principio costituzionale della capacità contributiva, che impone di tassare il profitto netto e non quello lordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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