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Raddoppio termini: Cassazione chiarisce la prova

La Corte di Cassazione ha stabilito che, per applicare il raddoppio dei termini di accertamento fiscale, non è necessaria una nuova e autonoma denuncia di reato da parte dell’Agenzia delle Entrate se un procedimento penale correlato è già pendente. La preesistenza di un’indagine penale, nell’ambito della quale l’attività ispettiva è stata delegata, costituisce prova sufficiente per giustificare la proroga dei termini per la notifica degli atti impositivi e sanzionatori. La Corte ha quindi annullato la decisione dei giudici di merito che avevano erroneamente richiesto la prova di un inoltro formale della notizia di reato.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini: Basta l’Indagine Penale Esistente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per i contenziosi fiscali: il raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati tributari. Con questa decisione, la Suprema Corte chiarisce quale sia la prova sufficiente che l’Amministrazione Finanziaria deve fornire per legittimare l’estensione dei termini, semplificando il quadro probatorio a suo favore quando un’indagine penale è già in corso. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi affermati.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata in liquidazione riceveva tre atti di contestazione dall’Agenzia delle Entrate. Le sanzioni erano state irrogate per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, in qualità di acquirente in regime di ‘reverse charge’. L’Ufficio, per notificare gli atti oltre i termini ordinari, si avvaleva della normativa sul raddoppio dei termini, giustificandolo con la sussistenza di un’ipotesi di reato tributario.

La società contribuente impugnava gli atti, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano le sue ragioni. Secondo i giudici di merito, l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito la prova di aver inoltrato una formale notizia di reato all’Autorità Giudiziaria, elemento ritenuto indispensabile per poter beneficiare della proroga dei termini. L’Agenzia ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado. Il Collegio ha ritenuto che i giudici di merito avessero commesso un duplice errore: non considerare la pendenza di un procedimento penale già avviato e, di conseguenza, richiedere una prova superflua, ovvero un’ulteriore e formale comunicazione di notizia di reato.

Le motivazioni e la disciplina del raddoppio dei termini

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione del quadro normativo relativo al raddoppio dei termini. La proroga è consentita a condizione che sussista una violazione che comporti l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dalla normativa tributaria e che tale denuncia sia trasmessa entro la scadenza dei termini ordinari di accertamento.

Nel caso specifico, era emerso che le attività di verifica fiscale della Guardia di Finanza si inserivano all’interno di un procedimento penale già pendente presso la Procura della Repubblica. La GdF agiva su delega del Pubblico Ministero. L’informativa trasmessa successivamente dalla GdF alla Procura non era, quindi, un atto di avvio di un nuovo procedimento, ma un aggiornamento nell’ambito di un’indagine già esistente.

La Cassazione ha chiarito che, in un simile contesto, la pretesa di una prova documentale di un’ulteriore e autonoma ‘notitia criminis’ da parte dell’Agenzia è priva di fondamento. La pendenza del procedimento penale è di per sé la condizione che legittima il raddoppio dei termini. L’informativa della polizia giudiziaria, che rende conto degli esiti delle indagini, non fa che confermare l’esistenza della notizia di reato originaria e ne ribadisce gli effetti ai fini della disciplina tributaria. I giudici di merito hanno errato nel non valutare questo elemento, concentrandosi unicamente sulla mancata produzione di un documento che, data la situazione, non era necessario.

Conclusioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante chiave di lettura per contribuenti e professionisti. Stabilisce che, ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, la prova richiesta all’Amministrazione Finanziaria è soddisfatta se l’attività ispettiva si svolge nel contesto di un’indagine penale già formalmente aperta. Non è necessario che l’Ufficio produca una specifica e autonoma denuncia di reato successiva all’avvio delle indagini delegate. La pendenza del fascicolo penale è il fattore determinante. Questo principio rafforza la posizione dell’erario nei casi di accertamenti legati a illeciti penalmente rilevanti, chiarendo che gli atti investigativi interni a un procedimento già avviato sono sufficienti a giustificare l’estensione dei termini per l’azione accertatrice e sanzionatoria.

Quando è applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale?
Il raddoppio dei termini è applicabile quando emerge una violazione fiscale che comporta l’obbligo di denuncia per un reato previsto dalla legge tributaria e tale denuncia viene trasmessa all’autorità giudiziaria entro i termini ordinari di accertamento.

Se un’indagine penale è già aperta, l’Agenzia delle Entrate deve comunque presentare una nuova denuncia per ottenere il raddoppio dei termini?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se l’attività di accertamento fiscale si inserisce in un procedimento penale già pendente, la pendenza stessa di tale procedimento è sufficiente a giustificare il raddoppio dei termini, senza che sia necessaria un’ulteriore e formale comunicazione di notizia di reato da parte dell’Agenzia.

Il raddoppio dei termini si applica anche agli atti di contestazione delle sanzioni?
Sì. La Corte chiarisce che, quando ricorrono i presupposti, la disciplina del raddoppio dei termini trova applicazione non solo per gli avvisi di accertamento veri e propri, ma anche per gli atti di contestazione delle sanzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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