Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliato presso lo studio NOMERAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 7999, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 20.6.2018, e pubblicata il 16.11.2018;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
OGGETTO: Irpef 2008 -Proventi da reato -Imposizione – Raddoppio dei termini di accertamento -Soglie di punibilità.
Fatti di causa
A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza e concluse con Processo Verbale di Costatazione, avente ad oggetto la percezione di redditi quale profitto del reato di corruzione, l’Agenzia delle Entrate notificava il 19.11.2015 a COGNOME NOME l’avviso di accertamento n. TK501F201651/2015, ricomprendente anche la ripresa a tassazione di redditi di lavoro autonomo (Euro 24.880,00). L’Amministrazione finanziaria, sulla base delle risultanze investigative, recuperava a tassazione per l’anno 2008, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l’importo di euro 424.880,00, conseguendone maggiori tributi per l’importo di Euro 374.140,00 (sent. CTR, p. III), inclusi accessori e sanzioni. Il contribuente, che aveva rivestito l’incarico di Presidente del magistrato delle acque di Venezia, veniva quindi ritenuto, con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. pen. il 16.10.2014, passata in giudicato, responsabile di vari atti corruttivi, ed assoggettato anche a confisca per equivalente (art. 322 ter cod. pen.).
Avverso l’atto impositivo proponeva ricorso il contribuente, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma contestando, tra l’altro, la nullità dell’avviso di accertamento perché emesso dopo la scadenza del termine di decadenza nonché a causa della carenza di motivazione, lamentando pure la violazione del proprio diritto di difesa. L’Ente impositore si costituiva in giudizio deducendo l’infondatezza del ricorso. La CTP accoglieva l’impugnativa, ritenendo non ricorrere le circostanze per l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento, ed annullava l’atto impositivo.
Spiegava appello avverso la pronuncia dei primi giudici l’Agenzia delle Entrate, affermando l’erroneità della pronuncia della CTP in materia di raddoppio dei termini di accertamento, e sostenendo la fondatezza nel merito della pretesa impositiva. La
CTR rigettava l’impugnazione proposta dall’Amministrazione finanziaria.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrata affidandosi ad un articolato motivo di impugnazione. Resiste il contribuente mediante controricorso, ed ha pure depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del Dpr n. 600 del 1973, perché ricorrevano le condizioni di legge per beneficiare del raddoppio del termine di accertamento e perché l’ammontare dell’imposta evasa eccede la soglia di punibilità.
COGNOME NOME ha contestato la improcedibilità o inammissibilità del ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria perché, trattandosi di atto c.d. nativo digitale, è stato notificato privo della sottoscrizione digitale dell’Avvocato dello Stato redattore, e deve perciò essere qualificato come inesistente.
2.1. Invero questa Corte regolatrice, pronunziando a Sezioni Unite, ha recentemente avuto occasione di chiarire che ‘se privo dell’apposizione della firma digitale, il ricorso per cassazione in forma di documento informatico è affetto da un vizio di nullità, che è sanabile per raggiungimento dello scopo ogni qualvolta possa desumersi la paternità certa dell’atto processuale da elementi qualificanti, tra i quali la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il successivo deposito della sua copia analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato’, Cass. SU, 12.3.2024, n. 6477. Nel caso di specie la notificazione del ricorso nativo digitale è stata spedita da casella Pec dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE, ed il suo redattore (Avv. Stato NOME COGNOME) ha provveduto al successivo
deposito della sua copia analogica con attestazione di conformità da lui sottoscritta.
Il controricorrente ha affermato l’inammissibilità del ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria, anche perché l’Agenzia delle Entrate ha impugnato solo due delle ragioni della decisione indicate dal giudice dell’appello, attinenti alla decadenza dal potere di esercitare la pretesa tributaria da parte dell’Amministrazione finanziaria ed al mancato superamento della soglia di punibilità, e non la terza, con la quale la CTR ha affermato il difetto di motivazione dell’atto impositivo, richiamando e condividendo quanto affermato con sentenza n. 7233 del 2017 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in giudizio svoltosi tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto, solo relativo a diverso anno d’imposta.
3.1. Invero il giudice dell’appello opera effettivamente riferimento alla indicata sentenza n. 7233/2017 della CTR del Lazio, di cui riporta ampio stralcio della motivazione, ma non dichiara di condividerla e tanto meno espone le ragioni della invocata condivisione.
Il giudice del gravame, infatti, ha premesso che nel caso sottoposto al suo esame ‘il motivo (unico) dell’annullamento risiede nel fatto che la CTP, senza entrare nel merito … ha accolto l’eccezione preliminare … secondo cui l’Ufficio sarebbe decaduto dal potere di accertamento, in quanto non avrebbe dovuto usufruire del raddoppio dei termini’ (sent. CTR, p. III). Quindi, esponendo la motivazione della propria decisione, il giudice dell’appello ha scritto che ‘la sentenza pronunciata dai primi giudici deve ritenersi adeguatamente motivata … di guisa che non merita alcuna critica e/o censura … correttamente … con decisione pienamente condivisa da questo Giudice, ha avallato quanto eccepito dal Contribuente … affermando che l’operato dell’Ufficio è illegittimo sotto il profilo della intempestività nella trasmissione della notitia criminis ,
avvenuta oltre i termini ordinari di cui al citato art. 43 … Inoltre l’intervenuta decadenza del potere accertativo dell’Ufficio è ravvisabile anche sotto l’ulteriore profilo della inapplicabilità del raddoppio dei termini per l’accertamento per l’inconfigurabilità, nel caso di specie, del reato di dichiarazione infedele in assenza di superamento delle soglie di punibilità’ (sent. CTR, p. V).
La pronuncia adottata dal giudice dell’appello si fonda pertanto sulle due ragioni che sono state contestate in questa sede dalla ricorrente, e non su quanto deciso con diversa sentenza, soltanto richiamata.
Tanto premesso, l’Amministrazione finanziaria critica innanzitutto la violazione di legge, in cui ritiene essere incorsa la CTR, per avere il giudice del gravame ritenuto illegittimo l’atto impositivo per essere stata trasmessa la notitia criminis alla Procura della Repubblica, dopo la scadenza dei termini ordinari di cui all’art. 43 del Dpr n. 600 del 1973.
4.1. Invero questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di statuire che ‘in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza , senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati’ (evidenza aggiunta), Cass. sez. VI -V, 14.5.2018, n. 11620, e si è anzi più di recente specificato che ‘in tema di
accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale , ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione , come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della “notitia criminis” entro il termine di decadenza ordinario)’ (evidenza aggiunta), Cass. sez. VI-V, 28.6.2019, n. 17586.
Pertanto la censura proposta dall’Amministrazione finanziaria risulta, in relazione a tale profilo, fondata.
La CTR ha però ritenuto, con autonoma ratio decidendi , che il raddoppio dei termini di accertamento dovesse comunque ritenersi precluso perché l’obbligo di denuncia penale comunque non sussisteva, in quanto non risultava superata la vigente soglia di punibilità.
5.1. L’Amministrazione finanziaria, ricordato che la soglia di punibilità risultava fissata in Euro 103.291,38, sostiene che da nessun atto processuale emerga che il Cuccioletta non abbia ricevuto nell’anno in questione, come nei successivi, la somma di Euro 400.000,00, così come ritenuto dalla Guardia di Finanza, bensì soltanto ‘una tranche parziale di tangenti’ (ric., p. 20).
5.2. Occorre allora innanzitutto ricordare che la quantificazione dei proventi da reato che sarebbero stati percepiti dal COGNOME dipende, in base all’avviso di accertamento, che segue i rilievi operati nel PVC, a sua volta fondati in primo luogo sugli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari svolte nei confronti del COGNOME, innanzitutto dalle dichiarazioni confessorie rese dal contribuente ed in particolare dalla testimonianza resa del teste
COGNOME il quale ha affermato di avere corrisposto al contribuente versamenti di circa Euro 200.000,00 semestrali.
La CTR ha osservato che ‘sulla base delle risultanze dell’ordinanza cautelare, per il 2008 al Cuccioletta avrebbe dovuto essere contestata la percezione di una somma di Euro 100.000,00, considerato che nel 2008 quest’ultimo ha ricoperto la carica di Presidente del Magistrato delle acque di Venezia e Provveditore alle OO.PP. per il Veneto per un solo trimestre (dal 1° ottobre 2008). A fronte di euro 100.000,00, l’imposta asseritamente evasa non avrebbe superato gli Euro 43.000,00 (ossia il 43% di Euro 100.000,00), con conseguente mancato superamento della soglia di rilevanza penale (pari ad euro 103.291,38) dell’infedele dichiarazione’, conseguendone la ‘impossibilità per l’Ufficio di avvalersi del raddoppio dei termini dell’accertamento’. (sent. CTR, p. IV s.).
5.3. La motivazione espressa dalla CTR, esprimendo il giudizio sul fatto processuale che le competeva, appare quindi chiara e logicamente argomentata. Se le indagini preliminari hanno consentito di ritenere che il Cuccioletta abbia percepito proventi da reato nella misura di Euro 200.000,00 semestrali, avendo il contribuente rivestito la funzione da cui dipendeva la corresponsione del denaro, nell’anno 2008, per soli tre mesi, il suo provento può stimarsi nella misura di Euro 100.000,00, e la soglia di punibilità non è stata raggiunta.
L’Amministrazione finanziaria non si confronta con la decisione adottata dal giudice dell’appello, non ne contrasta il fondamento. Insiste nel ricordare che la Guardia di Finanza aveva stimato i proventi da reato percepiti in misura pari ad Euro 400.000,00 anche nell’anno 2008, ma non è in grado di chiarire su quali basi questa stima sia fondata, e perché le chiare valutazioni espresse dalla CTR dovrebbero ritenersi senz’altro errate.
In relazione a questa ulteriore ragione della decisione espressa dal giudice del gravame il ricorso dell’Agenzia delle Entrate appare pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione prevalente delle ragioni della pronuncia e del valore della controversia.
6.1. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
rigetta il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , che condanna al pagamento delle spese di lite in favore del costituito controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 6.500,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2025