Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24157 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24157 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11398/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché contro
NOME COGNOME; NOME COGNOME
-intimati-
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della Calabria n. 2572/04/2020 depositata il 19/10/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte che, a seguito di attività di verifica della Guardia di Finanza, vennero notificati alla società ed ai soci della stessa otto avvisi di accertamento con i quali si recuperarono a tassazione le maggiori imposte dovute, rideterminando l’imponibile ai fini IRPEF, IRPEG, IRAP e la base di computo dell’addizionale regionale, nonché dell’IVA, corrispondente alle cessioni da cui erano derivati maggiori ricavi e irrogate sanzioni per presentazione di dichiarazione infedele.
2.Tutti gli otto avvisi furono oggetto di impugnativa da parte della (già) RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME e NOME COGNOME con separati ricorsi.
3.La Commissione Tributaria provinciale di Cosenza pronunciò otto distinte sentenze, di rigetto, in relazione agli otto ricorsi senza riunirli. 4.Le otto sentenze vennero appellate e la Commissione d’appello le annullò poiché ciascun giudizio si era svolto senza previa integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari trattandosi di controversie aventi ad oggetto rettifiche del reddito della società e dei suoi soci. Le cause vennero quindi rinviate al giudice di primo grado.
Successivamente, riassunte le cause dinanzi alla CTP, questa con sentenza n. 2618/11/2016, previa riunione dei ricorsi, accolse i ricorsi dei contribuenti ‘sotto l’assorbente dedotta eccezione di intervenuta decadenza dei termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973’ evidenziandosi come, nella specie, l’agenzia avesse effettuato un uso
strumentale della denuncia penale al fine di raddoppiare i termini di decadenza. Il giudice di merito affermò, inoltre, che non era stata prodotta la denuncia necessaria per verificare i presupposti necessari per acclarare la legittimità del raddoppio.
6.La decisione venne, quindi, impugnata dall’Ufficio dinanzi alla C.T.R. della Calabria e l’appello fu respinto.
7.Si affermò in particolare che ‘il primo giudice, diversamente, da quanto erroneamente sostenuto dall’appellante, aveva correttamente riscontrato l’intervenuta decadenza e/o prescrizione dell’azione di accertamento per decorrenza termini, atteso che l’art. 43, co.3. del d.P.R. n. 600 del 1973, pur prevedendo il raddoppio del termine, tuttavia non contemplava la riapertura dello stesso poiché spirato per come avvenuto nel caso trattato. Se così non fosse, il contribuente potrebbe essere assoggettato ad accertamento anche a distanza di anni dalla scadenza dei termini ordinari, facendo venir meno la certezza RAGIONE_SOCIALE situazioni giuridiche, mentre l’Ufficio così operando, ovvero fruendo ingiustificatamente del raddoppio dei termini dell’accertamento, utilizzerebbe tale disposizione in modo strumentale e distorto’.
Pertanto, il giudice di prime cure evidenziò che dovesse considerarsi assorbente, rispetto ad ogni altra questione di rito e di merito sollevata dai contribuenti, l’intervenuta decadenza dell’Ufficio dall’esercizio dell’attività accertatrice.
8.La sentenza d’appello è impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi. Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso proponendo contestualmente ricorso incidentale affidato a quattro motivi. NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
In prossimità dell’udienza, l’RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente per violazione dell’art. 366 c.p.c. in relazione alle regole previste dal protocollo d’intesa del 17.12.2015 tra la Suprema Corte di Cassazione ed il RAGIONE_SOCIALE. Il ricorso non sarebbe, in quest’ottica, autosufficiente.
1.2. L’eccezione è, infatti, infondata.
Il protocollo d’intesa fra la Corte di cassazione e il RAGIONE_SOCIALE non può radicare, di per sé, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità o inammissibilità che non trovino anche idonea giustificazione nelle regole del codice di rito (Cass. n. 21831 del 2021) essendo infatti privo di efficacia normativa e nemmeno richiamato dall’art. 366 c.c., il quale individua quali requisiti necessari del ricorso: l’indicazione RAGIONE_SOCIALE parti, della sentenza o della decisione impugnata, la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto su cui si fondano, l’indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto, la specifica indicazione dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l’illustrazione del contenuto rilevanti degli stessi.
Va rimarcato, quindi, che il Protocollo testimonia di un condiviso orientamento interpretativo che ha la sua base nel dato normativo, sia per quanto attiene all’esigenza di specificità, sia per quanto attiene all’esigenza di autosufficienza, sicché legittima l’interpretazione della norma in conformità al protocollo, con l’ulteriore conseguenza che la violazione RAGIONE_SOCIALE regole del protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove esso rifletta opzioni interpretative di quel dato (Cass. n. 10118 del 2018).
In conclusione, la censura è infondata atteso che il ricorso rispetta i requisiti previsti dall’art. 366 c.p.c., comprendendosi le doglianze formulate, nonché i fatti cui esse si riferiscono. D’altro canto, è la stessa controricorrente a dare atto che l’esposizione dei fatti di causa si articola in 15 pagine, nella specie assolutamente necessarie per riferire di quanto risultava dagli otto avvisi di accertamento impugnati e dei diversi gradi di giudizio celebrati (per come si è detto sopra); che i quattro motivi di ricorso sono sviluppati in appena 12 pagine, assolutamente congrue per esporre le ragioni di impugnazione; che non è idonea ad escludere l’ammissibilità del ricorso la circostanza che l’elencazione dei ben 92 atti allegati al ricorsi abbia occupato 11 pagine, non incidendo in alcun modo sulla immediata e chiara enucleazione dei fatti salienti della vicenda processuale e RAGIONE_SOCIALE ragioni dell’impugnazione (arg. da Cass. n. 8245 del 2018).
2.Tanto premesso è possibile ora analizzare i singoli motivi di ricorso principale e di quello incidentale.
3.Con il primo motivo del ricorso principale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., si deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo introdotto con l’art. 37, comma 24, del d.l. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006), dell’art. 57, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972. In particolare si censura la decisione impugnata per aver rilevato l’intervenuta decadenza dell’allora Ufficio di Rossano dalla possibilità di emettere i contestati atti impositivi, stante il decorso dei termini di cui all’art. 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, senza avvedersi che nella specie si versava in un ipotesi per la quale operava il raddoppio dei termini, trattandosi di violazione di disposizioni integranti gli estremi dei reati per i quali era previsto l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.
Il ricorrente evidenzia, inoltre, che non tutti gli avvisi erano attinti dalla citata disposizione, essendovene alcuni per i quali l’accertamento era avvenuto entro i termini ordinari.
4.Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c.p.c. per aver la Commissione affermato la decadenza dell’azione di accertamento in relazione ai contestati atti impositivi per decorrenza dei termini avendo omesso ‘completamente di chiarire perché i termini di cui all’art. 43, comma 1, del d.P.R. 600 del 1973 e 57, comma 1, de l d.P.R. 633 del 1972 erano spirati avuto riguardo all’anno di imposta cui si riferivano tutti gli atti impositivi emessi dall’Ufficio di Rossano.
5.Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 del c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. Si evidenzia di aver rappresentato in sede di appello che il raddoppio dei termini non riguardava tutti gli avvisi di accertamento ma che la circostanza sia stata completamente pretermessa così omettendo la C.T.R. di pronunciarsi su tale doglianza.
6.Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c. Con questo motivo, sotto altro e connesso profilo, si denuncia la violazione RAGIONE_SOCIALE citate disposizioni per aver il giudice di merito ritenuto spirati i termini in relazione a 3 distinti avvisi di accertamento (nn. NUMERO_DOCUMENTO/2008; NUMERO_DOCUMENTO/2008 e nn. NUMERO_DOCUMENTO/2008) pur trattandosi di atti impositivi concernenti l’anno di imposta 2003 ed emessi e notificati nell’ottobre 2008, ossia ben prima del 31 dicembre di tale anno entro cui tali termini andavano a scadere trattandosi del quarto anno successivo a quello (2004) in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2003.
7.Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione del principio di non contestazione.
Nel dettaglio si osserva che ‘l’RAGIONE_SOCIALE, nel giudizio di riassunzione instaurato, ai sensi dell’articolo 59 D.Lvo 546/92 comma 3, a seguito della remissione RAGIONE_SOCIALE cause al giudice di 1° grado, decisa dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro Sez.4 nell’udienza del 31/10/2013 con Sentenze N° 242 -243-244-245, si costituiva soltanto nell’udienza di trattazione del 27/11/2015′ L’RAGIONE_SOCIALE, prosegue il ricorrente incidentale, ‘nulla osservava e/o eccepiva specificatamente alle eccezioni e censure che la RAGIONE_SOCIALE aveva formulato distintamente per ogni accertamento’, con quattro memorie depositate nel corso del giudizio. Del pari l’RAGIONE_SOCIALE nulla eccepiva o contestava specificatamente alle numerose censure formulate dalla RAGIONE_SOCIALE, con l’appello proposto avverso la sentenza n. 2618 del 2016. Nel giudizio di rinvio l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe quindi contestato le censure formulate dal RAGIONE_SOCIALE.
8.Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per non aver il giudice di merito valutato la richiesta dell’appellante incidentale di dichiarare l’appello inammissibile per non aver contestato in sede di giudizio di riassunzione le eccezioni mosse dal ricorrente con violazione dell’art. 115 c.p.c.
9.Con il terzo motivo del ricorso incidentale si contesta l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per aver il giudice di merito omesso di dichiarare inammissibile l’appello principale per violazione dell’art. 53 comma 1 c.p.c. non avendo indicato l’agenzia i motivi specifici
dell’impugnazione e per aver, invece, effettuato un generico rinvio agli scritti difensivi di altro giudizio.
10.Con il quarto motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione la nullità della sentenza per violazione dell’art. 53 comma 1 del d.lgs. n. 546 del 1992 per non aver riscontrato la mancanza di motivi specifici dell’atto di appello. Il giudice di seconde cure non si sarebbe pronunciato sulla eccezione proposta dalla curatela circa la mancanza di motivi specifici nell’appello formulato dall’RAGIONE_SOCIALE e per il rinvio alle difese pregresse, peraltro rese nell’originario giudizio prima della riassunzione.
11.In ossequio al principio della ragione più liquida si ritiene opportuno trattare preliminarmente le censure formulate dal controricorrente incidentale.
12.Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Il motivo è inammissibile nella misura in cui pecca di difetto di specificità. Sebbene, infatti, il ricorrente incidentale dedichi alla censura ben cinque pagine ribadendo di aver formulato eccezioni e censure attraverso il deposito di quattro memorie, non ne riproduce il contenuto, ovvero le parti essenziali RAGIONE_SOCIALE stesse, al fine di rendere edotto il collegio del loro contenuto (che in ipotesi non sarebbe stato contestato dall’RAGIONE_SOCIALE). Tanto più che essendosi il giudice di merito pronunciato sull’appello formulato dall’RAGIONE_SOCIALE è implicito il rigetto dell’eccezioni (che si ribadisce non sono state riprodotte nel ricorso incidentale).
Con riferimento al giudizio di legittimità, qualora una questione giuridica -implicante un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio
di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass. Sez. 6-5 n. 32804 del 2019; Cass. Sez. 2, n. 2038 del 2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8206 del 2016; Cass. Sez. 1 n. 28480 del 2005; Cass. Sez. L, n. 6656 del 2004; Cass. Sez. L, n. 2331 del 2003). Non solo. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass. n. 24048 del 2021) o, come nella specie, alle memorie.
Con particolare riguardo alla questione del principio di non contestazione, questa Corte ha affermato che ‘ Ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della
comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. ‘ (Cass. n. 15058 del 2024).
13.Anche il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Fin da Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014 si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella specie applicabile ratione temporis , ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante insia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Si è anche chiarito ( ex multis , Cass. Sez. 2 n. 10525 del 2022, Rv. 664330 – 01) che, in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di
merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base RAGIONE_SOCIALE prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
In altre parole, alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’àmbito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ( ex plurimis , Cass. n. 9097 del 2017; Cass. n. 5355 del 2018; Cass. n. 16781 del 2023).
L’omesso esame rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. deve peraltro riguardare un vero e proprio ‘fatto’ in senso storico, cioè un preciso accadimento, una circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e non invece una questione giuridica o un ‘punto’ o una ‘argomentazione’ (Cass. Sez. 5, n. 12476 del 2024; Cass. Sez. 2, n. 3579 del 2024; Cass. Sez. 2, n. 13024 del 2022; Cass. Sez. 6-1, n. 2268 del 2022; Cass. Sez. 6-1,
n. 22397 del 2019; Cass. Sez. 1, n. 26305 del 2018; Cass. Sez. 5, n. 21152 del 2014).
Nella specie si invoca la violazione della citata norma non per omesso esame di una specifica circostanza, nei termini innanzi citati, ma per omessa pronuncia su una eccezione di talché il motivo si palesa all’evidenza come inammissibile.
Anche il terzo motivo del ricorso incidentale segue la stessa sorte dei precedenti.
Il ricorrente incidentale ritiene che l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE fosse inammissibile perché effettuato sulla base di un generico richiamo agli scritti difensivi pregressi in tal modo violandosi l’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, con il motivo in esame deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Preliminarmente, anche in relazione al presente motivo, il RAGIONE_SOCIALE non riproduce la censura ma riporta solo alcuni riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte in punto di inammissibilità dell’appello motivato per relationem senza quindi richiamare, nel rispetto del principio di specificità, il contenuto RAGIONE_SOCIALE doglianze formulate dinanzi al giudice di merito.
Ma, soprattutto, nel momento in cui si estrapola parte dell’atto di appello dell’RAGIONE_SOCIALE si riporta un solo rigo ove l’agenzia lungi da riportarsi alle difese, e dunque alle ragioni RAGIONE_SOCIALE impugnazioni pregresse, contenute nei precedenti gradi di giudizio, si limita ad affermare ‘nel merito degli accertamenti questo Ufficio si riporta al contenuto degli avvisi di accertamento e degli atti difensivi’ ossia il richiamo agli atti precedenti è circoscritto al solo merito degli accertamenti.
In ogni caso, anche in relazione al motivo in esame valgono le osservazioni già formulate in relazione alla seconda censura, in
quanto anche in questo caso viene dedotto l’omesso esame non di un fatto storico-naturalistico ma di una eccezione processuale.
15.Il quarto motivo, che ripropone sotto altro profilo, la doglianza contenuta nella terza censura, è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
15.1. E’ inammissibile per difetto di specificità alla stregua del principio giurisprudenziale in base al quale ‘ In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante “error in procedendo”, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza” (Cass. n. 3612 del 2022). Principio che, come detto al superiore paragrafo 12, è stato più volte affermato anche con riferimento al giudizio tributario (cfr., ex multis , Cass. n. 24048 del 2021) e che, come è ovvio che sia, è applicabile sia nel caso in cui venga dedotta l’erronea dichiarazione di inammissibilità dell’appello , che nell’ipotesi inversa, che è quella di specie, in cui si deduca l’errata dichiarazione di ammissibilità dell’atto di appello che l’appellante sostiene essere privo del requisito di specificità dei
motivi. Deduzione che, però, è stata formulata in violazione del sopra citato principio giurisprudenziale, sicché la censura è sicuramente inammissibile.
Ma il motivo, come sopra anticipato, è anche infondato atteso che è la stessa sentenza impugnata a dare atto, nella parte dedicata allo esposizione dei fatti di causa, che l’Ufficio appellante aveva proposto appello ‘lamentando l’erroneità della sentenza impugnata per avere il primo giudice basato la propria decisione, asseritamente priva di fondamento, su una erronea interpretazione della normativa di riferimento, nel riproporre sostanzialmente i motivi addotti in primo grado e nel sostenere la legittimità del proprio operato ‘. Atto di appello che, quindi, conteneva chiari e specifici motivi di impugnazione.
E al riguardo è sufficiente ricordare che, per costante orientamento di questa Corte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità prevista dall’art. 53, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante, da ultime: Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cas., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5^, 10 marzo 2021, n. 6596; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2021, nn. 6850 e 6852; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, nn. 14562 e 14582; Cass., Sez. 5^, 27 maggio 2021, n. 14873). Pertanto, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta
dall’art. 53, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, non deve consistere in una rigorosa enunciazione RAGIONE_SOCIALE ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia RAGIONE_SOCIALE ragioni della doglianza (Cass., Sez. 5^, 21 novembre 2019, n. 30341). Si è, inoltre, ritenuto che non vi è incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, tali da comportare l’inammissibilità dell’appello a termini dell’art. 53, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, ove il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi dall’intero atto di impugnazione nel suo complesso (Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n. 14582). Non è, quindi, necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello la indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato (Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n. 14582).
Può ora trattarsi il ricorso principale. Si ritiene opportuno affrontare preliminarmente la seconda censura.
Essa è infondata essendo la motivazione non nulla per i principi consolidati pronunciati da questa Corte cui questo collegio intende dare continuità.
La giustificazione motivazionale è, invero, di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento
della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass .Sez. 6, n. 13977 del 2019 Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232 del 2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo a priori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053 del 2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054 del 2014, Rv. 629833; Cass. Sez. 6-2 n. 21257 del 2014, Rv. 632914).
Nel caso che ci occupa non sussiste l’invocata violazione in quanto, tralasciata ogni valutazione sulla esattezza della decisione assunta, di cui ci si occuperà esaminando gli altri motivi di ricorso, la stessa è congrua e comprensibile.
16. Il primo, il terzo ed il quarto motivo, in quanto intimamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.
Va premesso, come già chiarito da Cass. n. 11241 del 2023, che l’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, ha stabilito che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura civile per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione». Analoga disposizione è stata introdotta dall’art. 37, comma 25, del medesimo d.l. n. 223 del 2006, in materia di IVA, previa modifica dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Orbene, ai sensi RAGIONE_SOCIALE citate disposizioni, nel testo applicabile “ratione temporis” (il raddoppio dei termini presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, tanto da essere del tutto indifferente l’effettiva presentazione della denuncia (cfr. Corte Cost. n. 247 del 2011, Cass. n. 1171 del 2016, n. 27629 del 2018 e più recentemente Cass. n. 24576 del 2022) e non rilevando né la configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né l’intervenuta archiviazione della denuncia, «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione
da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (in termini, Cass. n. 9974 del 2015, n. 16728 del 2016, n. 22337 del 2018, n. 5228 del 2019 e più recentemente Cass. n. 27250 del 2022).
La Corte costituzionale nella sopra citata sentenza (n. 247 del 2011), ha quindi evidenziato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale RAGIONE_SOCIALE disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (§ 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
Da quanto detto discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore, posto che tale accertamento è precluso al giudice tributario (Cass. n. 27629 del 2018, n. 17586 del 2019, n. 13481 del 2020). Infatti, sulla scorta
della citata sentenza della Corte Costituzionale (n. 247 del 2011), in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, il giudice tributario, al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato (da ultimo, in senso analogo su tutti i principi sopra enunciati, Cass. n. 7487 del 2022, non massimata).
Deve, ancora, evidenziarsi che in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ‘ab origine’ diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento. (Cass. n. 23628 del 2017; Cass. n. 19474 del 2024).
Orbene, la Commissione tributaria regionale ha fatto malgoverno dei principi enunciati, là dove ha ritenuto non doversi raddoppiare i termini perché ritenuti, erroneamente, già spirati.
Sotto altro profilo il ricorrente ha evidenziato che la questione relativa alla tempestività si poneva, avuto riguardo al disposto di cui
all’art. 43, comma 1, del d.P.R. n 600 del 1973 solo riguardo ad alcuni atti impositivi.
Difatti alcuni atti impositivi erano relativi all’anno di imposta 2003 di talché la dichiarazione dei redditi relativa al predetto anno avrebbe dovuto essere presentata nel corso del 2004 e gli avvisi di accertamento avrebbero dovuto essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello nel quale era stata presentata la dichiarazione (ex artt. 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972).
La data ultima, in conclusione, avrebbe dovuto essere il 31 dicembre 2008.
Al riguardo l’RAGIONE_SOCIALE ha evidenziato, riportando parte dell’appello , di aver denunciato la violazione per ultrapetizione commessa dal giudice di prime cure il quale aveva annullato tutti gli atti impositivi, ritenendo per tutti l’agenzia decaduta dal potere di accertamento, sebbene l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO fosse stato notificato il 21.10.2008, l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO fosse stato notificato il 28.10.2008 e l’avviso n. 80801CM223/208 fosse stato notificato il 20.10.2008. Il giudice non ha in alcun modo considerato la censura formulata in sede di appello ed ha valutato egualmente tutti gli accertamenti effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE così come non ha verificato rispetto a ciascuno di essi la sussistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini di cui agli artt. 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Il ricorso anche sotto questo profilo è fondato non essendosi la C.T.R. pronunciata, in alcun modo, sulle rappresentate censure così violando l’art. 112 c.p.c.
In conclusione, accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il secondo nonché i motivi del ricorso
incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che determinerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il secondo nonché il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che determinerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2024