Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34688 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34688 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
Raddoppio termini accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27316/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2300/49/2016 depositata in data 18 aprile 2016, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 28 novembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nella sentenza impugnata la CTR della Lombardia evidenziava che NOME COGNOME era destinataria di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva ripreso maggior Irpef per l’anno 2004, fondato sulle risultanze degli accertamenti operati sui conti correnti bancari; l’atto impositivo era stato emanato a seguito di segnalazione dell ‘ Unità di informazione finanziaria della B anca d’Italia circa movimentazioni bancarie sospette sui conti correnti per le quali era stata avviata dalla Procura della Repubblica di Verbania indagine penale per presunti reati di truffa aggravata, fatture false, occultamento di documentazione fiscale e falso, sia nei confronti della stessa che di altri soggetti a vario titolo coinvolti nelle società facenti capo al gruppo RAGIONE_SOCIALE, operanti nel settore delle costruzioni e nel settore alberghiero.
La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano rigettava il ricorso.
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia rigettava l’appello della contribuente; in particolare rigettava le doglianze relative alla n ullità dell’avviso poiché sottoscritto da dirigenti nominati senza concorso, le doglianze relative alla decadenza dal potere di accertamento, specificando che non fosse necessario che alla parte fosse comunicata la denuncia; quanto al merito dell’accertamento, integrando la motivazione dei primi giudici, evidenziava che in caso di accertamenti bancari ai s ensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 operava una presunzione che era onere della parte superare mediante adeguata prova contraria, avente ad oggetto la non imponibilità dei redditi o la già avvenuta soggezione a imposizione, nel caso di specie non offerta.
Contro tale decisione propone ricorso la contribuente in base a quattro motivi , cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso .
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 novembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la parte deduce violazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, 5, 3 e 6 lettera a) della legge n. 241 del 1990 censurando la decisione della CTR laddove ha ritenuto inammissibile, perché introdotta solo in appello, la deduzione della nullità dell’avviso perché firmato da dirigenti nominati senza concorso, per non aver tenuto conto dello jus superveniens costituito da Corte costituzionale n. 37/2015 in tema di nomina senza concorso di dirigenti firmatari dell’atto.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto la CTR nel respingere la doglianza l’ha ritenuta non solo inammissibile ma anche infondata, richiamando Cass. n. 22810/2015, suffragando quindi il rigetto del motivo con due rationes decidendi , solo una delle quali risulta impugnata in questa sede.
1.2. Giova precisare comunque nel merito che la CTR ha correttamente fatto applicazione del principio affermato da Cass. n. 22810/2015 che ha esplicitato che in ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, è previsto, a pena di nullità, che l’atto sia sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che il capo dell’Ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. In esito all’evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva i funzionari di area terza di cui al contratto del comparto Agenzie fiscali. In questo
senso, la norma individua l’agente capace di manifestare la volontà dell’Amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’Ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione.
Il principio risulta ribadito in numerosi altri arresti, tra cui di recente Cass. n. 27688/2024.
Giova precisare che le considerazioni contenute al termine del motivo e relative all’assenza di delega di firma appaiono estranee al perimetro dell’eccezione esaminata e decisa dalla CTR.
Col secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., v iolazione e falsa applicazione dell’art. 43 , comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 , comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 per non aver la sentenza impugnata tenuto conto dell’intervenuta decadenza tributaria e dell’ illegittimità del raddoppio dei termini, sia in forza dell’art. 1 , comma 132, della legge di stabilità 2016, sia perché il reato era prescritto sia infine perché all ‘ avviso di accertamento non era allegata la comunicazione di denuncia penale nei confronti della ricorrente.
Col terzo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., si deduce « omesso esame e difetto di motivazione dell’art. 43, comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973», laddove la CTR ha dato
rilievo ad una denuncia nei confronti di soggetto terzo, la società RAGIONE_SOCIALE al fine di raddoppiare i termini dell’accertamento anche nei confronti della contribuente.
Col quarto motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n, 3 cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. non avendo l’Agenzia delle entrate depositato la denuncia penale entro il termine di venti giorni prima dell’udienza.
3.1. I tre motivi vanno esaminati congiuntamente per connessione delle questioni e sono infondati.
L’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973 , nel testo vigente ratione temporis , prevede che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione»; analoga la previsione dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633/1972 in tema di IVA.
Come più volte chiarito da questa S.C., anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. 28/06/2019, n. 17586; Cass. 13/09/2018, n. 22337; Cass. 30/05/2016, n. 11171), non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (Cass. 15/05/2015, n. 9974).
Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il
termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.
Per verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
Si è quindi in presenza non di raddoppio del termine in senso proprio ma di un nuovo termine di decadenza (Cass. 18/02/2022, n. 5501; Cass. 14/05/2018, n. 11620; Cass. 09/08/2016, n. 16728 nonché l’esplicito passaggio di Corte Cost. n. 247 del 2011, secondo cui «i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali”. Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva»).
In secondo luogo, questa Corte ha già affermato che in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per l’IRPEF (e 57 del d.P.R. n. 633/1972 per l’IVA), nella versione applicabile ratione temporis , sono raddoppiati in presenza di
seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati al 2 settembre 2015 (Cass. 9/08/2016, n. 16728; Cass. 14/05/2018, n. 11620).
Questa Corte (Cass. n. 16728/2016 citata) ha infatti al riguardo precisato che La salvezza contemplata da quest’ultima norma, riferendosi senza distinzione agli effetti degli avvisi, non può che riguardare l’intero corredo disciplinare, sul piano delle conseguenze, scaturente dal diritto vivente, dinanzi sunteggiato, al cospetto del quale è destinata a cedere l’applicabilità immediata delle norme introdotte nel 2015 in tema di raddoppio dei termini, derivante dalla loro natura procedimentale. Né si può invocare il principio del favor rei, l’applicazione del quale è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando, come nel caso in esame, si tratti dei poteri di accertamento dell’ufficio .
Infine, al riguardo, questa Corte (Cass. 10/12/2021, n. 39416) ha anche ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 53 e 97 Cost., nella parte in cui circoscrive l’ambito di operatività delle modifiche al regime del cd. raddoppio dei termini per l’accertamento tributario ai soli avvisi notificati dopo l’entrata in vigore del citato decreto legislativo, essendo espressione del ragionevole esercizio discrezionale del potere del legislatore la conservazione, pur a seguito dell’entrata in vigore dell’art.
1, comma 132 della l. n. 208 del 2015, della vigenza della disciplina transitoria di cui al succitato art. 2, comma 3.
3.2. Alla luce di tali considerazioni appaiono quindi infondate le doglianze relative alla inoperatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 ; alla prescrizione del reato; alla mancata allegazione della denuncia, avendo la CTR evidenziato che l’atto impositivo conteneva l’indicazione degli estremi costitutivi di una fattispecie penalmente sanzionata, con chiaro riferimento alle indagini della Procura della Repubblica di Verbania per reati di truffa aggravata, false fatture, occultamento di documentazione fiscale e falso nei confronti degli esponenti della società facenti capo al gruppo RAGIONE_SOCIALE tra cui la RAGIONE_SOCIALE di cui all’epoca la COGNOME era socia accomandataria; tale ultimo accertamento in fatto non appare scalfito validamente dal terzo motivo che evidenzia, senza alcuna allegazione in fatto circa gli elementi documentali in tal senso deponenti, che la denuncia era nei confronti della diversa società RAGIONE_SOCIALE
Concludendo, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue pronuncia di condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di Agenzia delle entrate, spese liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna NOME al pagamento delle spese di lite in favore di Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 28 novembre 2024.