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Raddoppio termini accertamento: quando è legittimo?

Una società impugna un avviso di accertamento per Ires, Iva e Irap notificato oltre i termini ordinari. L’Agenzia delle Entrate aveva applicato il raddoppio dei termini di accertamento per la presenza di indizi di reato (uso di fatture inesistenti). La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia, specificando che, per la normativa applicabile, il presupposto per il raddoppio è la mera sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, non la prova della sua effettiva e tempestiva presentazione.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio termini accertamento: basta l’obbligo di denuncia

Il raddoppio dei termini di accertamento fiscale è una delle armi più incisive a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria in presenza di reati tributari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza su un punto fondamentale: per i periodi d’imposta antecedenti al 2016, cosa è sufficiente per legittimare l’estensione dei termini? La risposta della Corte è netta e consolida un orientamento giurisprudenziale preciso, con importanti implicazioni per i contribuenti.

Il caso: fatture inesistenti e l’accertamento fiscale

Una società a responsabilità limitata si vedeva notificare un avviso di accertamento per Ires, Iva e Irap relativo all’anno d’imposta 2006. La contestazione si basava sull’utilizzo di due fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. L’atto veniva notificato nel 2012, ben oltre il termine ordinario di decadenza del 31 dicembre 2011.

L’Agenzia delle Entrate giustificava la notifica tardiva avvalendosi del raddoppio dei termini di accertamento, previsto dall’art. 43 del D.P.R. 600/1973, in quanto i fatti contestati integravano un’ipotesi di reato tributario. La società contribuente, tuttavia, impugnava l’atto sostenendo l’illegittimità di tale raddoppio.

L’iter giudiziario e il raddoppio termini accertamento

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale dava ragione alla società. I giudici ritenevano che il raddoppio dei termini non potesse operare senza la prova che la denuncia penale fosse stata trasmessa dall’Amministrazione finanziaria alla Procura prima della scadenza del termine ordinario.

Di parere opposto la Commissione Tributaria Regionale che, in appello, riformava la decisione. La CTR considerava legittimo l’utilizzo del termine raddoppiato da parte dell’Agenzia delle Entrate, riaffermando la piena validità dell’avviso di accertamento. A questo punto, la società decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: la tardiva produzione in appello della documentazione relativa alla denuncia penale e l’omesso controllo da parte del giudice sulla sussistenza dei fatti che comportavano l’obbligo di denuncia.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, ritenendo le critiche infondate e chiarendo in modo definitivo i presupposti per l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento per le annualità precedenti alla riforma del 2015.

I giudici di legittimità hanno richiamato la propria giurisprudenza consolidata (tra cui Cass. n. 11620/2018 e n. 17586/2019) e la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011. Sulla base di questi precedenti, hanno stabilito un principio cruciale: la disciplina applicabile ratione temporis (cioè in base al periodo in cui si sono verificati i fatti) presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, non anche la sua effettiva presentazione entro i termini ordinari di decadenza.

In altre parole, per raddoppiare i termini non è necessario che l’Agenzia delle Entrate provi di aver inviato la denuncia penale alla Procura. È sufficiente che, sulla base degli elementi emersi durante la verifica fiscale (in questo caso, l’utilizzo di fatture false), sussistano seri indizi di un reato tributario che facciano scattare l’obbligo per il pubblico ufficiale di effettuare tale denuncia. L’esistenza di un Processo Verbale di Constatazione che evidenziava tali violazioni è stata ritenuta prova sufficiente della conoscenza dei fatti da parte del contribuente e della sussistenza dei presupposti per l’estensione dei termini.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

La decisione della Cassazione conferma che, per gli accertamenti relativi ai periodi d’imposta fino al 2015, la presenza di seri indizi di reato tributario è la condizione necessaria e sufficiente per legittimare il raddoppio dei termini di accertamento. La prova della materiale trasmissione della notitia criminis non è un requisito indispensabile. Questo orientamento rafforza gli strumenti a disposizione del Fisco nella lotta all’evasione fiscale legata a condotte penalmente rilevanti, stabilendo che il focus è sulla sostanza dei fatti (l’esistenza di un potenziale reato) piuttosto che su un adempimento formale come la data di invio della denuncia. Per i contribuenti, ciò significa che la semplice constatazione di fatti che integrano un reato tributario può, di per sé, estendere notevolmente il periodo durante il quale l’Amministrazione può effettuare i propri controlli.

Per il raddoppio dei termini di accertamento è necessaria la prova della presentazione della denuncia penale?
No. Per i periodi d’imposta antecedenti al 2016, la Corte di Cassazione ha chiarito che il presupposto è la mera sussistenza dell’obbligo di denuncia penale in capo al pubblico ufficiale, derivante da seri indizi di reato. Non è richiesta la prova dell’effettiva presentazione della denuncia.

La documentazione che prova l’obbligo di denuncia può essere presentata per la prima volta in appello?
Sì. Il rito tributario ha una disciplina propria per la produzione documentale (art. 58, D.Lgs. 546/1992, nella versione applicabile al caso) che, a differenza del rito civile ordinario, ammetteva la produzione di nuovi documenti in sede di appello senza particolari restrizioni.

Cosa è sufficiente per far sorgere l’obbligo di denuncia penale e giustificare il raddoppio dei termini?
È sufficiente la presenza di seri indizi di un reato previsto dalla normativa tributaria (in questo caso, D.Lgs. n. 74 del 2000). Nel caso specifico, la constatazione dell’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti è stata ritenuta un indizio sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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