Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21870 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21870 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
Oggetto: raddoppio ter- mine accertamento – de- bitore solidale cartelle – avviso – principi di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25380/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (PEC: EMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio del l’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n.3261/48/2017 depositata il 7 aprile 2017, non notificata. Udite le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, nel senso del rigetto del ricorso . Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2024 dal consigliere NOME AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Regione della Campania è stato rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 4610/8/16 che ha, a sua volta, rigettato il ricorso introduttivo avente ad oggetto le cartelle di pagamento nn. 07120130142259878 IRAP 2010 per euro 1.195,51, P_IVA IVA 2005 per euro 72.827,50, P_IVA IRES 2010 per euro 2.091,85,
07120140428785783 IRAP 2011 per euro 6.552,76 07120140433883807 IRPEF 2006 per euro 1.012.912,89.
Le riprese ad imposizione hanno attinto la ricorrente quale debitrice solidale, in quanto le suddette cartelle sono derivate da ruoli iscritti a nome e per tributi propri della società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e la contribuente ha beneficiato di una quota del patrimonio di tale società a seguito di scissione parziale.
Il giudice di prime cure, in via preliminare ha ritenuto che: 1) correttamente l’agente della riscossione avesse notificato le suddette cartelle alla ricorrente ai sensi dell’art. 25, comma 1, del d.P.R. 602 del 1973 quale coobbligato solidale con il debitore principale; 2) l’operazione di scissione in questione, avvenuta con atto del 12 aprile 2012, fosse diretta ad eludere gli obblighi tributari precedentemente sorti, anche considerando che le operazioni alla base RAGIONE_SOCIALE riprese erano state contestate come oggettivamente inesistenti; 3) il fatto avesse rilevanza penale ex art. 11 del d.lgs. 74/2000; 4) non fosse intervenuta la decadenza dall’azione accertativa per raddoppio dei termini con effetto anche nei confronti della coobbligata solidale; 5) anche in caso di scissione societaria parziale, per i debiti tributari della scissa relativi a periodi di imposta precedenti all’operazione di scissione, rispondessero solidalmente ed illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione.
Nelle more la cartella n. 07120140433883807 recante riprese IRPEF per l’anno 2006 per euro 1.012.912,89 è stata oggetto di definizione in autotutela a seguito della sentenza della CTP divenuta definitiva e relativa al l’ avviso di accertamento e, in corrispondenza, la CTR ha dichiarato cessata parzialmente la materia del contendere, confermando nel resto integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso di mera costituzione per la reiezione dell’impugnazione e
riserva di ulteriori deduzioni, mentre l’ agente della riscossione è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. da parte della sentenza impugnata, per contraddizione tra il dispositivo e le argomentazioni esposte nella parte motiva della stessa, dal momento che nella motivazione il giudice d’appello ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alla cartella di pagamento n. 0712014043388380 di euro 1.060.019,21 per IVA P_IVA, mentre nel dispositivo ha integralmente rigettato il gravame.
Il motivo è infondato. Non vi è alcun contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, in quanto la cessazione della materia del contendere limitatamente alla cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA di euro 1.060.019,21 per IVA P_IVA è un fatto oggettivo, traente origine dalla definitività della sentenza resa dalla CTP sul ricorso relativo all’avviso di accertamento sottostante. Ciò premesso in fatto, è chiaro l’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata che ha rigettato il ricorso nella parte restante, dal momento che la reiezione riguarda la parte della materia del contendere non cessata.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art.360 primo comma nn. 3 e 4 cod. proc. civ., viene censurata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2082 e 2555 cod. civ., dell’art. 16, comma 12, della legge n. 537/1993, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ..
Secondo la ricorrente «La sentenza gravata è censurabile e va annullata in quanto assimila, ai fini tributari, la scissione parziale esaminata con una cessione d’azienda e con un’attività economica organizzata.
(…) Che con l’operazione esaminata non fosse stata trasferita né un’azienda, né un ramo d’azienda, tanto meno un’attività economica già
organizzata, è circostanza pacifica nel presente giudizio, non solo perché chiaramente esposto nell’atto di scissione, ma anche perché nessuna contestazione in merito è stata mai mossa dalle controparti processuali (RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE). Eppure, dalla motivazione esposta sul punto dalla CTR Campania emerge che non sarebbe configurabile, ai fini tributari, una scissione che non abbia ad oggetto un’azienda o un ramo di essa».
Inoltre, secondo la ricorrente, la sentenza è censurabile anche perché, andando oltre le domande e le eccezioni RAGIONE_SOCIALE parti, avrebbe condotto una indagine di fatto -circa l’assenza di un complesso organizzato di beni (azienda) e, dunque, di una cessione di ramo d’azienda – della quale non era stata investita.
Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art.360 primo comma n. 4 cod. proc. civ., la società prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 161 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata dovrebbe essere annullata anche per effetto dell’assoluta inconferenza ed estraneità al thema decidendum di taluni dei motivi addotti: con riferimento alla dichiarata disapplicazione RAGIONE_SOCIALE norme del codice civile (art. 2506 bis e quater cod. civ.) e all’applicazione, di contro, RAGIONE_SOCIALE norme di cui all’art. 173 TUIR, la motivazione della sentenza di appello sarebbe inutilmente data, perché la ricorrente non ha proposto in appello il motivo secondo il quale la responsabilità della beneficiaria troverebbe il proprio limite nel valore del patrimonio netto trasferito, avendo solo insistito per la riconduzione dell ‘ operazione in esame alla fattispecie disciplinata dai commi 11 e 12 dell’art. 16 della Legge n. 537/1993.
I motivi secondo e terzo possono essere trattati congiuntamente in quanto articolati secondo una medesima logica e sono entrambi inammissibili. Il secondo mezzo di impugnazione non tiene conto che la
qualificazione del fatto è compito del giudice e tale spazio interpretativo è sottratto al principio di non contestazione che riguarda il solo fatto giuridico.
Egualmente, con riferimento alla terza censura, va rammentato che l ‘applicazione della legge alla fattispecie concreta è compito del giudice e, in particolare, il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020). Non si configura dunque alcuna nullità della sentenza per i profili evidenziati nel terzo motivo, non avendo esorbitando dal thema decidendum della controversia per aver qualificato la fattispecie e fatto applicazione di una previsione di legge diversa da quelle menzionate nei motivi di appello dedotti dalla società, dal momento che la pronuncia della CTR non ha attribuito o negato un bene della vita diverso da quello richiesto con l’azione, né la pronuncia si è fondata su una causa petendi diversa. 7. Nel corpo del terzo motivo la società fa poi anche un riferimento -del tutto eterogeneo rispetto alla rubrica del mezzo di impugnazione -all’ art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, circa la statuizione dell’assenza dell’obbligo del contradditorio preventivo, lamentando il fatto che la norma non sarebbe mai stata invocata nelle proprie difese proposte dalla RAGIONE_SOCIALE, a differenza di quanto affermato dalla CTR.
7.1. Il Collegio osserva che la sotto-censura è inammissibile per tre concorrenti profili. Innanzitutto, per eterogeneità della doglianza rispetto al contenuto del resto del motivo come rubricato, svincolata da specifici paradigmi processuali di censura. In secondo luogo, in concreto, la ricorrente non ha neppure un apprezzabile interesse giuridico ex art.100 cod. proc. civ. a far valere tale sotto-censura, dal momento che, secondo la stessa contribuente, la questione giuridica non sarebbe stata all’attenzione del giudice. Infine, la CTR ha anche escluso che la
disciplina antielusiva sia applicabile nella fattispecie e dunque nessun nocumento è derivato alla parte.
Il quarto motivo dedotto dalla ricorrente, in relazione all’art.360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt.43 del d.P.R. n. 600/1972, 57 del d.P.R. n. 633/1972 e 27 Cost., per aver il giudice d’appello affermato che il raddoppio dei termini di accertamento in danno della società scissa, non costituendo una sanzione penale, rende legittima la pretesa impositiva, sul presupposto che il raddoppio dei termini opererebbe anche nei confronti di un soggetto diverso da quello responsabile penalmente.
Il motivo è inammissibile, con correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art.384 u.c. cod. proc. civ..
9.1. Nella sentenza impugnata si riporta il contenuto dell’appello della contribuente, relativamente alla questione, con riferimento alle cartelle nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA «che sarebbero nulle per intervenuta decadenza dell’azione di accertamento: la prima, relativa all’anno 2005, deriverebbe da un atto di accertamento notificato il 20 dicembre 2012, la seconda, relativa all’anno 2006, deriverebbe da un atto di accertamento notificato l’11 giugno 2013, pertanto oltre i termini ordinari, non potendosi peraltro applicare il raddoppio dei termini in caso di solidarietà tributaria dipendente».
9.2. Il giudice, pur pervenendo alla corretta decisione di dismettere la prospettazione della società, ha erroneamente motivato ritenendo che l’effetto del raddoppio del termine ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 ai fini dell’ esercizio del potere impositivo per effetto della rilevanza penale del fatto non sia limitato al debitore principale, bensì si estenda al coobbligato solidale, affermazione non condivisibile in diritto.
Secondo il Collegio, il raddoppio del termine opera solo in relazione all’accertamento e al suo titolo di responsabilità principale.
10.1. A fini di sistema, dev’essere brevemente richiamato il quadro normativo applicabile ratione temporis . Il legislatore ha apportato tramite l’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, una novella all’art.43 del d.P.R. n. 600/1973 prevedendo, dopo il secondo, al terzo comma che: «In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
In via parallela, ai fini IVA, per effetto della novella prevista dal comma 25 del citato d.l. n.223/2006, è stato inserito il medesimo capoverso, all’articolo 57 del d.P.R. n.633/1972, dopo il secondo comma.
10.2. Nella ricostruzione del quadro normativo applicabile, un tassello importante è fornito dall’interpretazione della Cassazione sulla ratio del raddoppio del termine, che emerge chiaramente allorquando la Corte è stata chiamata a decidere circa il se, ai fini IRAP, il raddoppio dei termini opera. La risposta è stata costantemente negativa, in quanto la disciplina introdotta dall’art.37 del d.l. n.233/2006, come successivamente convertito, non si applica agli accertamenti relativi all’IRAP poiché le violazioni riferibili a tale imposta non sono idonee a porre in essere fatti penalmente rilevanti (cfr. Cass., sentenza n. 4775 dell’11 /03/2016 e, conforme, ordinanza n. 1425 del 19/01/2018). Infatti, il principio di legalità penale presidia la materia e impedisce l’estensione del raddoppio del termine ai fini all’IRAP .
11. Secondo la medesima logica, dal momento che l’ operare del raddoppio del termine di accertamento dipende indissolubilmente dal fatto che il comportamento tenuto costituisca fatto penalmente rilevante nel senso sopra definito, si deve ritenere che il principio non possa operare che in relazione al l’ accertamento a carico del contribuente e al suo titolo di responsabilità principale, senza estendersi automaticamente al
coobbligato solidale. Una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dal comma 2 dell’articolo 25 Costituzione. Il coobbligato è destinatario di autonome cartelle di pagamento, di un autonomo atto di iscrizione a ruolo, e dunque è attinto dall’Amministrazione finanziaria in forza di un titolo diverso e successivo al consolidarsi dell’accertamento nei confronti del debitore principale.
Il precipitato del ragionamento che precede è che, in presenza dei presupposti per la denuncia penale in ragione di una fattispecie di reato, il raddoppio del termine decadenziale non può automaticamente operare nei confronti del coobbligato solidale.
12. Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini per la notificazione degli avvisi di accertamento previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis , in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, opera in relazione all’accertamento e al suo titolo di responsabilità principale, senza estendersi automaticamente al coobbligato solidale destinatario di un autonomo atto di iscrizione a ruolo ‘.
Fissato il principio di diritto che precede quanto al procedimento amministrativo, la motivazione espressa dal giudice nella sentenza impugnata dev’essere corretta nel senso che non può la contribuente, in sede di impugnazione RAGIONE_SOCIALE cartelle di pagamento, utilmente contestare l’operatività o meno del raddoppio del raddoppio del termine ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione agli avvisi di accertamento sottostanti. Viene così fissato anche il seguente, ulteriore principio di diritto relativo al processo, derivandone l’inammissibilità della censura:
‘ In tema di processo tributario, il condebitore solidale non può contestare in sede di impugnazione della cartella di pagamento
l’operatività o meno del raddoppio dei termini di cui all’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis , in relazione alla notificazione dell’ avviso di accertamento sottostante notificato al debitore principale, trattandosi di processo radicato in forza di un titolo diverso e successivo al consolidarsi dell’accertamento nei confronti del debitore principale. ‘ .
13. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Nulla dev’essere disposto sulle spese di lite, in assenza di costituzione del l’agente della riscossione e di mera costituzione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE per la reiezione dell’impugnazione, con riserva di ulteriori deduzioni poi non pervenute.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 23 aprile 2024