Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8700 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8700 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7324/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 3675/2017 depositata il 18/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE impugnava in appello la sentenza della CTP di Brescia che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi di RAGIONE_SOCIALE avverso plurimi avvisi di accertamento tesi al recupero di maggiori importi dovuti a titolo di Ires, Iva e Irap.
L’accertamento fiscale traeva origine da un’articolata verifica dalla Guardia di Finanza, dalla quale emergeva che la società RAGIONE_SOCIALE, di cui risultava amministratore unito tale COGNOME NOME, s’impegnava a fornire ai propri clienti, ivi compresa RAGIONE_SOCIALE, prestazioni pubblicitarie. Queste ultime erano acquistate da RAGIONE_SOCIALE prevalentemente dalla società sanmarinese RAGIONE_SOCIALE, cui la promozione dell’attività dei clienti di RAGIONE_SOCIALE veniva affidata in forza di accordi incentrati su un c.d. ‘progetto di intervento’, allegato ad ogni singolo contratto concluso fra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE era stata costituita dal summenzionato COGNOME NOME, cui era interamente riconducibile; essa era risultata priva di una reale struttura aziendale all’atto di una perquisizione effettuata nell’ambito di una rogatoria internazionale.
Altre prestazioni pubblicitarie venivano acquistate da RAGIONE_SOCIALE, secondo lo stesso schema, da altre società, denominate RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
La documentazione acquisita da RAGIONE_SOCIALE e dalle altre società fornitrici risultava carente sicché l’RAGIONE_SOCIALE concludeva nel senso della loro fittizietà, presentandosi esse quali mere ‘cartiere’.
Le indagini bancarie consentivano, inoltre, di dimostrare come, nel periodo 2006-2009, i pagamenti effettuati da NOME a RAGIONE_SOCIALE
NOME finissero su conti fiduciari intestati al predetto COGNOME NOME.
Nel contesto RAGIONE_SOCIALE operazioni COGNOME riceveva di volta in volta le fatture del fonitore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ne effettuava il pagamento mediante bonifici su posizioni bancarie accese presso un istituto di credito di San Marino; gli importi erano accreditati sui conti del missing trader NOME, che venivano poi ‘svuotati’ con prelievi in contanti o mediante ulteriore bonifico su conti intestati al COGNOME.
Anche nel triennio 2010-2012 i rapporti fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE continuavano secondo le medesime modalità. La sola novità rispetto all’immediato passato era rappresentata dalla circostanza per cui i fornitori italiani di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE venivano rimpiazzati da società straniere off shore.
Poiché la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel 2010 cessava la propria rappresentanza in Italia, nel 2011 le forniture di servizi venivano effettuate alla RAGIONE_SOCIALE dai fornitori stranieri RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE.
I costi inesistenti connessi a dette forniture acquistate venivano sovrafatturate dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei propri clienti, tra cui RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultima, dunque, nel periodo dal 2006 al 2011 veniva resa destinataria, secondo la prospettazione erariale, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
L’appello dell’RAGIONE_SOCIALE è stato accolto dalla CTR della Lombardia con la sentenza impugnata ora dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a ventuno motivi, illustrato con memoria. L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. Il AVV_NOTAIO ha insistito per la cassazione della sentenza d’appello.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., stante la violazione
dell’art. 112 c.p.c., attesa la pronuncia extra petita sul ‘ primo capo della sentenza ‘; in particolare si stigmatizza la circostanza per la quale si discutesse ‘ del fatto che esistessero specifiche dichiarazioni di COGNOME con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE ‘ e ‘ del fatto che quelle dichiarazioni … avessero o meno trovato riscontro nelle indagini della GDF ‘.
Il primo motivo è infondato.
Non ricorre il vizio di ultrapetizione in quanto l’appello è teso a ribadire la fondatezza della pretesa fiscale ancorata al coinvolgimento di RAGIONE_SOCIALE nel meccanismo di sovrafatturazione congegnato ed attuato dal RAGIONE_SOCIALE anche per il tramite di RAGIONE_SOCIALE La CTR si è limitata ad esprimersi sul profilo dell’ an della pretesa avuto riguardo al coinvolgimento anzidetto, che ha reputato dimostrato dagli atti di causa.
Con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., 36, co. 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, per apparenza della motivazione, laddove il giudice regionale ‘ afferma che ‘il soggetto economico è il sig.re NOME COGNOME mentre la RAGIONE_SOCIALE è il soggetto giuridico che viene cambiato o abbandonato se gatti esterni impongono tali scelte ‘.
Il secondo motivo è inammissibile.
La CTR si è peritata di ricostruire il meccanismo fraudolento segnalando come, se in linea di principio RAGIONE_SOCIALE s’atteggiava a veicolo primario del meccanismo stesso, altri veicoli erano stati alla bisogna adoperati dal COGNOME, quale fulcro della dinamica di evasione d’imposta. Pertanto, la censura traligna il paradigma del vizio denunciato, di fatto invocando una più appagante ricostruzione del merito della controversia; viene sollecitata, in altri termini, un’operazione preclusa in questa sede, nella quale non si riedita un sindacato di merito, atto a travolgere quello già svolto nella sede a ciò deputata.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del ‘ disposto degli artt. 32, 39, 40, 41-bis, 42 commi II e III, DPR 29 settembre 19 73, n. 600, 54, DPR 26.10.1972, n. 633 e 7, D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, sotto il profilo di cui all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.’, avendo la CTR trattato le dichiarazioni del COGNOME erroneamente -alla stregua di confessione stragiudiziale, ancorché siano state successivamente persino ritrattate.
Con il quarto motivo si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., 36, co. 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, per apparenza della motivazione, nella parte in cui la CTR riconosce valore ‘confessorio’ alle dichiarazioni del COGNOME.
Con il quinto motivo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sotto il profilo di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., avuto riguardo, ancora una volta, al valore riconosciuto alle dichiarazioni del COGNOME, che parte ricorrente aveva osservato in costanza di giudizio d’appello non essere riferibili agli anni 2010-2011.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo, avvinti da intima connessione dacché tutti afferenti le dichiarazioni di COGNOME NOME, sono infondati e vanno respinti.
A porsi in apice la circostanza per la quale, a dispetto della catalogazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del COGNOME come confessorie, il giudice d’appello criticamente le valorizza nel quadro del proprio libero apprezzamento, mettendo in risalto quelli che -non a caso -definisce ‘ fatti oggettivi ‘, tra l’altro ‘ non contestati ‘, e che ineriscono essenzialmente, da un lato, la circostanza che il COGNOME operava tramite la società con sede in San Marino; dall’altro lato, la circostanza che il predetto all’atto della verifica fiscale veniva ritrovato proprio nella sede della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; da un altro lato ancora, la circostanza che gli incassi finivano nei suoi conti. In
buona sostanza, ad emergere è l’esercizio di un libero sindacato che non punta ‘meccanicamente’ sulle dichiarazioni del COGNOME, quanto, piuttosto, su un complesso correlato di elementi indiziari. Non rileva, in altri termini, nel ragionamento giudiziale un automatismo basato sulla ‘prova legale’ dei fatti. È, tra l’altro, significativo che si evidenzi in motivazione che ‘ la ricorrente ha dato documentazione insufficiente e non probante RAGIONE_SOCIALE operazioni ‘. In definitiva, la ratio della decisione è ben evidente.
Con il sesto motivo si lamenta la nullità della sentenza, avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c., stante la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la pronuncia extra petita ove è affermato che la società non avrebbe dimostrato l’esecuzione RAGIONE_SOCIALE prestazioni contrattuali.
Il sesto motivo è infondato.
Nell’ambito RAGIONE_SOCIALE operazioni oggettivamente inesistenti, definite nell’art. 1 co. 1 lett. a) del D.Lgs. n. 74 del 2000, rientrano anche quelle operazioni ‘parzialmente inesistenti’ per le quali sono stati indicati in fattura «i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale» .
Questa particolare fattispecie di operazione inesistente, che può anche definirsi ‘sovrafatturazione qualitativa’, si concretizza in una simulazione oggettiva relativa attestante la cessione di beni o la prestazione di servizi per un prezzo maggiore a quello reale.
Pertanto, nessuna ultrapetizione è dato riscontrare.
Con il settimo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sotto il profilo di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., in relazione alla congruità degli importi di cui alle fatture contestate e ai connessi elementi istruttori prodotti a suffragio dalla ricorrente.
Con l’ ottavo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Con il nono motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il settimo, l’ottavo e il nono motivo si prestano a trattazione unitaria che ne disvela l’inammissibilità congenita.
La RAGIONE_SOCIALE ha compiuto un accertamento di fatto, mettendo in risalto, nel proprio libero sindacato, gli elementi di prova che sono parsi ad essa più attendibili.
Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499).
Inoltre, nel caso di specie non vi è stata inversione dell’onere della prova, né si registra un contrasto con i paradigmi normativi degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Giova osservare che ‘ In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass. n. 26769 del 2018; Cass. n. 26739 del 2014).
Con il decimo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986, avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il decimo motivo è infondato.
Il motivo s’incentra sulla pretesa di parte ricorrente di ricostruire ‘a forfait’ e a posteriori i costi di energia elettrica sulla base di un report, trascurando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia » (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915) e secondo cui « In materia di operazioni inesistenti, ove il giudice abbia escluso la deducibilità dei costi a valle dell’accertamento dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, deve ritenersi che lo stesso non abbia indagato circa il fatto che i costi fossero o meno deducibili in ragione della sussistenza dei requisiti di effettività e inerenza, ma abbia legittimamente tratto il convincimento negativo quale diretta
conseguenza dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni che li avrebbero generati » (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3835).
Con l’ undicesimo motivo si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione alla lamentata illegittimità degli avvisi impugnati, per violazione degli artt. 7 L. n. 212 del 2000, 42, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, 56, co. 5, d.P.R. n. 633 del 1972 nonché 24 Cost., attesa l’omessa notifica, in allegato ad ognuno di essi, di tutti gli atti e documenti in essi richiamati.
Con il dodicesimo motivo si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., 36, co. 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, per inesistenza della motivazione relativamente al motivo attinente l’omessa allegazione ad ognuno degli avvisi impugnati di tutti gli atti e documenti negli stessi richiamati.
Con il tredicesimo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 7 L. n. 212 del 2000, 42, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, e 56, co. 5, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 24 Cost., con riferimento al medesimo aspetto relativo all’omessa allegazione agli avvisi di accertamento degli atti richiamati in essi.
L’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo motivo, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto per relationem , tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il
contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023).
Questo orientamento, avente riscontro normativo nell’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, secondo cui « Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale », trova ulteriore conferma nella novella di cui al d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che ha modificato l’art. 7 della l. n. 212/2000 stabilendo, al comma 1, che « Gli atti dell’amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati ».
È stato altresì precisato che l’onere di allegazione si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014) e che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, è
sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, sia, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso. Ciò vale non solo per gli atti già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. n. 13110 del 2012), o sottoposti a pubblicità legale (Cass. n. 27055 del in motivazione), ma anche per atti che si possano presumere, solo iuris tantum , conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. n. 26527 del 2014; Cass. n. 24254 del 2015; Cass. n. 27628 del 2018) e siano, quantomeno, agevolmente conoscibili (Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 32127 del 2018; Cass. n. 28060 del 2017). Questa interpretazione, secondo cui non è nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) -che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass. n. 593 del 2021). Con il quattordicesimo motivo si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione alla lamentata illegittimità degli avvisi impugnati perché notificati oltre il termine ordinario di decadenza, considerata l’inapplicabilità del raddoppio dei termini, in mancanza dell’invio della notitia criminis alla Procura della repubblica.
Il quattordicesimo motivo è infondato.
In tema di accertamento tributario, per il raddoppio dei termini ex artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, è sufficiente l’emersione di elementi da cui derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale e non rilevano i successivi esiti dell’accertamento né il fatto che gli atti impositivi siano fondati su elementi privi di rilevanza penale, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine (Cass. n. 20409 del 2023; Cass. n. 13403 del 2016).
Con il quindicesimo motivo si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione alla lamentata illegittimità degli avvisi impugnati perché notificati oltre il termine ordinario di decadenza, considerata l’inapplicabilità del raddoppio dei termini almeno con riferimento al rilievo in materia di IRAP.
È quindicesimo motivo fondato e va accolto.
Questa Corte ha affermato condivisibilmente che ‘ In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011. (Nella specie, la S.C. ha accolto in parte il ricorso del contribuente, escludendo la decadenza solo per IVA e IRES, atteso il raddoppio dei termini derivante dalla contestazione di alcuni dei menzionati reati, contenuta nell’avviso di accertamento, e non anche per l’IRAP, le cui violazioni non erano presidiate da sanzioni penali) ‘ (Cass. n. 24576 del 2022). In definitiva, ‘ In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per
l’IRAP, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali ‘ (Cass. n. 10423 del 2018).
Con il sedicesimo motivo si censura la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., 36, co. 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, stante l’inesistenza della motivazione sul motivo relativo alla notifica oltre il termine di decadenza degli avvisi di accertamento per gli anni dal 2006 al 2009, attesa l’inapplicabilità del raddoppio dei termini, quantomeno ai fini Irap.
Il sedicesimo motivo rimane assorbito, in ragione dell’accoglimento del quindicesimo motivo.
Con il diciassettesimo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione al paventato illegittimo raddoppio dei termini ‘ almeno ai fini Irap ‘.
Il diciassettesimo motivo è fondato e va accolto.
Giova richiamare l’orientamento incisivamente espresso da questa Corte, alla cui stregua ‘ In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali ‘ (Cass. n. 10483 del 2018; Cass. n. 4742 del 2020).
Con il diciottesimo motivo si contesta la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione alla lamentata illegittimità degli avvisi impugnati, per violazione dei principi di cooperazione, collaborazione e buona fede, sanciti dagli artt. 12, co. 7, e 10, co. 1, L. n. 212 del 2000, nonché di quello di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. e degli artt. 52, co. 6, e 56 d.P.R. n. 633 del 1972, 33, co. 1, d.P.R. n. 600 del 1973, e 24 L. n. 4 del 1929.
Con il diciannovesimo motivo si contesta la nullità della sentenza, avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 132,
co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., 36, co. 2, n. 5, 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, stante l’inesistenza della motivazione sulla censura concernente la violazione del contraddittorio.
Con il ventesimo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. RAGIONE_SOCIALE norme di cui agli artt. 12, co. 7, e 10, co. 1, L. n. 212 del 2000, 97 cost., 52, co. 6, e 56 d.P.R. n. 633 del 1972, 33, co. 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e 24 L. n. 4 del 1929.
Con il ventunesimo motivo si contesta la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 n. 4 cp.c., in relazione alla lamentata illegittimità degli avvisi impugnati per violazione dell’art. 12 L. n. 212 del 2000.
I motivi diciottesimo, diciannovesimo, ventesimo e ventunesimo non colgono nel segno e vanno disattesi.
Nella specie, è incontroverso che la verifica fiscale si è conclusa con la consegna di un processo verbale di constatazione cui è seguita la formulazione di osservazioni sulla pretesa fiscale da parte della contribuente, cui ha ulteriormente fatto seguito, decorsi più di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale, la notifica dell’avviso di accertamento.
Giova, allora, richiamare l’indirizzo condivisibilmente espresso da questa Corte alla luce del quale ‘ In tema di accertamento tributario, ove sia stato redatto un processo verbale di costatazione, il contraddittorio preventivo è garantito dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, il quale prevede uno “spatium deliberandi” tra la regolare notifica del p.v.c. e la notificazione dell’avviso di accertamento, durante il quale il contribuente può far valere le proprie ragioni esercitando il diritto di esser sentito; la previsione generalizzata che sia l’Ufficio a dover invitare con atto formale il soggetto verificato a contraddire sui rilievi, è stata introdotta solo dall’art. 4 octies del d.l. n. 34 del 2019, come conv. in l. n. 58 del 2019, che ha aggiunto l’art. 5 ter al d.lgs. n. 218 del
1997, disposizione con la quale si è previsto che l’ufficio, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica al contribuente l’invito a comparire di cui all’articolo 5, ma sempre con esclusione dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni da parte degli organi di controllo ‘ (Cass. n. 9076 del 2021).
In ogni caso, la violazione del principio del contraddittorio è stata genericamente adombrata; essa, in realtà, è suscettibile di determinare l’invalidità del provvedimento solo se il contribuente dimostri che il rispetto dello stesso avrebbe condotto ad un risultato diverso, quindi provi un pregiudizio concreto al proprio diritto di difesa (cd. prova di resistenza).
Nella specie, detta dimostrazione non è avvenuta, essendo mancata a monte la deduzione specifica del risultato diverso e del pregiudizio subito. In altri termini, la violazione del contraddittorio si mostra veicolata dalla contribuente alla stregua di contestazione generica e in nuce puramente formale. Il contribuente non ha, invero, prospettato in ricorso, men che meno dimostrato, che il procedimento avrebbe potuto sortire un esito diverso.
In ultima analisi, il ricorso va accolto con riguardo al quindicesimo e al diciassettesimo motivo, disattese tutte le altre censure per le argomentazioni specificamente sopra esplicitate. La sentenza d’appello va cassata , in relazione ai motivi accolti, e la causa va decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso limitatamente all’Irap. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
Accoglie il quindicesimo e il diciassettesimo motivo e rigetta tutti i restanti motivi. Cassa la sentenza d’appello , in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso limitatamente all’Irap. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.