Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16048 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16048 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 17715/2017, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall ‘ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso l ‘ Avv. NOME COGNOME, in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall ‘ Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 71/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia- sezione staccata di Brescia, depositata il 16 gennaio 2017; 8
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell ‘ maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cremona l ‘ avviso di accertamento con il quale l ‘ Amministrazione aveva rettificato i suoi redditi ai fini Irap, Ires e Iva per l ‘ anno 2007.
La pretesa erariale conseguiva al rilievo, emerso in sede di verifica, di due fatture per operazioni inesistenti, emesse da tale società RAGIONE_SOCIALE e relative ad attività di sponsorizzazione consistenti nell ‘ utilizzo di spazi connessi a manifestazioni sportive.
L ‘ Ufficio aveva pertanto disconosciuto i costi corrispondenti all ‘ importo delle fatture e la detrazione dell ‘ Iva.
La C.T.P. respinse il ricorso
Il successivo appello della società seguì identica sorte.
I giudici regionali ritennero anzitutto applicabile all ‘ accertamento in questione il termine ‘raddoppiato’ di cui all’ art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 e all ‘ art. 77, comma 2bis , del d.P.R. n. 633/1972, poiché il fatto contestato integrava violazione passibile di denunzia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000; quindi, nel merito, richiamarono le risultanze dell ‘ istruttoria, ed in particolare le dichiarazioni del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, che aveva confermato la fittizietà delle operazioni in parte qua , affermando, fra l’altro, di aver restituito somme in contanti alla controparte contrattuale .
La sentenza d ‘ appello è stata impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L ‘ Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
Considerato che:
1. Il primo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e 57 del d.P.R. n. 633/1972 e sue successive modifiche ex art. 2 commi 1 e 3 legge n. 208/15 in relazione all ‘ art. 331 c.p.p. e decr. lg.vo n. 74/00 nonché all ‘ art. 3 Costituzione».
La ricorrente censura la sentenza d ‘ appello nella parte in cui ha ritenuto applicabile il raddoppio dei termini d ‘ accertamento.
Sostiene, in particolare, che alla data di scadenza del termine ‘ordinario’ (31 dicembre 2012) non erano state riscontrate condotte che comportassero l ‘ obbligo di denuncia penale; svolge, al riguardo, considerazioni sulle risultanze delle indagini condotte dalla Guardia di finanza e prodromiche all ‘ emissione dell ‘ avviso e osserva, in ogni caso, che la successiva denunzia era «generica e non degna di tale nome e comunque manchevole di tutti gli allegati».
Infine, pur dichiaratamente consapevole del fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del 2011, aveva reso un ‘ interpretazione difforme dalla propria, invoca il portato dei successivi interventi normativi (l ‘ art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 128/2015 e la l. n. 208 del 2015), a mente dei quali il raddoppio del termine non opera quando, come nella specie, la denuncia da parte della Guardia di Finanza sia stata presentata e trasmessa dopo la scadenza del termine ordinario, ed afferma che tali norme avrebbero «portata del tutto innovativa» ma che «dev essere pres come conferma della presa di distanza del legislatore rispetto alla maniera in cui la Corte Costituzionale ha preteso di interpretare i presupposti per il raddoppio dei termini» e che quindi, benché non applicabili ai
fatti di causa (perché l ‘ avviso le era stato notificato nel 2014), «non potrebbero non essere considerate interpretative anche rispetto al periodo precedente alla loro entrata in vigore».
1.1. La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha ritenuto applicabile il termine ‘raddoppiato’ in quanto i fatti oggetto di accertamento integravano, nel loro profilo oggettivo, fattispecie di reato previste dalla l. n. 74/2000, a nulla rilevando la circostanza dell ‘ effettiva presentazione della denunzia e il fatto che il relativo obbligo fosse sorto dopo il decorso del termine ‘ordinario’.
Così statuendo, i giudici d ‘ appello hanno dato continuità ai principii più volte affermati da questa Corte in merito alla disciplina applicabile ratione temporis .
In particolare, con riferimento ai profili contestati dalla ricorrente, è stato affermato che:
il raddoppio dei termini «consegue al mero riscontro di fatti comportanti l ‘ obbligo di denuncia penale ai sensi dell ‘ art. 331 c.p.p., indipendentemente dall ‘ effettiva presentazione della denuncia, dall ‘ inizio dell ‘ azione penale e dall ‘ accertamento penale del reato, anche se l ‘ azione penale non è perseguita o è intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna» (cfr. Cass. n. 600/2025; Cass. n. 27250/2022; Cass. n. 17586/2019);
in tema di termini di decadenza, «sugli atti impositivi già notificati alla data del 2 settembre 2015 non incidono le modifiche apportate dapprima dai commi 1 e 2 dell ‘ art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che hanno escluso l ‘ operatività del raddoppio quando la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti, nonché quelle apportate dai commi 130 e 131 dell ‘ art. 1 della l. n. 208 del 2015, che hanno determinato il venir meno
della disciplina sul raddoppio, poiché la disposizione transitoria contenuta nell ‘ art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015 fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla predetta data, mentre ai sensi dell ‘ art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015 le modifiche recate dai commi 130 e 131 si applicano esclusivamente agli avvisi relativi al periodo d ‘ imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi» (Cass. n. 666/2025; Cass. n. 25191/2024; Cass. n. 39416/2021);
i termini prolungati sono fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di ‘ riapertura ‘ o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini ‘ brevi ‘ e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento; pertanto, in presenza dei presupposti il ‘ raddoppio ‘ opera sempre, e non solo nel caso di rilievo del reato da parte dell ‘ Ufficio finanziario prima dello spirare del termine ‘breve’ (Cass. n. 29988/2022; Cass. n. 23628/2017; Cass. n. 10345/2017).
La tesi esposta nella censura della ricorrente si pone in contrasto con tali consolidati indirizzi interpretativi e, pertanto, non può essere condivisa.
Con il secondo mezzo, denunziando omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la ricorrente si duole del fatto che la C.T.R., nella valutazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, nell ‘ apprezzamento delle dichiarazioni del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, abbia attribuito rilievo ad «affermazioni completamente non vere e frutto di uno shock ricostruttivo» e, per contro, omesso di considerare altre circostanze inerenti allo stesso quadro fattuale oggetto di apprezzamento.
2.1. Il motivo è inammissibile, avuto riguardo alla regola di cui all ‘ art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis .
Tale disposizione, com ‘ è noto, esclude la possibilità di denunziare innanzi al giudice di legittimità l ‘ omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio nell ‘ ipotesi in cui la sentenza di appello rechi l ‘ integrale conferma della decisione di primo grado.
Questa esclusione si applica, ai sensi dell ‘ art. 54, comma 2, del d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla l. n. 134/2012, ai giudizi d ‘ appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l ‘ inammissibilità del motivo, ha l ‘ onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell ‘ appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
Tale onere non è stato assolto nella specie.
Infine, con il terzo mezzo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., la società contribuente critica la ricostruzione delle risultanze istruttorie operata dai giudici regionali, evidenziando che essa sarebbe supportata da affermazioni erronee e non indicherebbe alcuna prova, nemmeno presuntiva, della condotta contestata.
3.1. Anche tale motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
La ricorrente, infatti, sollecita a questa Corte una nuova e diversa valutazione delle circostanze in fatto già apprezzate dai giudici d ‘ appello, invocando, dunque, una forma di sindacato estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per la condanna della ricorrente al pagamento di un ulteriore importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema