Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15114 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15114 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3256/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO presso lo studio degli AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, dai quali è rappresentato e difeso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 4213/29/16 depositata il 27 giugno 2016
Udita la relazione svolta nell ‘adunanza camerale de l 19 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta RAGIONE_SOCIALE risultanze dell’attività di indagine svolta ai fini della verifica dell’osservanza RAGIONE_SOCIALE norme in materia di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4, commi 1, del D.L. n. 167 del
1990, convertito in L. n. 227 del 1990, la Direzione Provinciale II di Roma dell’RAGIONE_SOCIALE notificava a NOME COGNOME quattro distinti avvisi di accertamento con i quali venivano ripresi a tassazione ai fini dell’IRPEF, in relazione agli anni 2004, 2007, 2008 e 2009, redditi non dichiarati derivanti da investimenti detenuti dal contribuente in territorio a regime fiscale privilegiato (Isola di Man).
L’COGNOME impugnava i predetti atti impositivi proponendo quattro autonomi ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la quale, riuniti i procedimenti, accoglieva solo in parte le ragioni del contribuente, annulla ndo l’ avviso di accertamento relativo all’anno 2004.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che con sentenza n. 4213 /29/16 del 27 giugno 2016 rigettava l’appello spiegato dall’Amministrazione Finanziaria.
Rilevava il giudice regionale: che relativamente all’anno d’imposta 2004 l’Ufficio era decaduto dal potere di accertamento, per essere decorso il termine stabilito dall’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973; che, in assenza di un’espressa previsione derogatoria, non poteva attribuirsi efficacia retroattiva alle disposizioni introdotte dai commi 2, 2bis e 2ter dell’art. 12 del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, rispettivamente prevedenti: (a1)la presunzione legale relativa di evasione fiscale a carico del contribuente che detenga investimenti e attività finanziarie nei cd. «paradisi fiscali»; (a2)il raddoppio, «in tale caso», RAGIONE_SOCIALE sanzioni previste dall’art. 1 del D. Lgs. n. 471 del 1997 (comma 2); (b)il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario basato sull’anzidetta presunzione (comma 2 -bis ); (c)il raddoppio dei termini per la contestazione o l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni comminate dalla legge per l’ipotesi di inosservanza RAGIONE_SOCIALE norme in materia di monitoraggio fiscale (comma 2ter ).
Avverso tale sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L’COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine stabilito dal comma 1, terzo periodo, del predetto articolo il controricorrente ha depositato sintetica memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., vengono denunciate la violazione dell’art. 12, commi 2, 2bis e 2ter , del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, nonchè la falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 12 disp. prel. c.c..
1.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente affermato che le disposizioni introdotte dai commi 2, 2bis e 2ter dell’art. 12 D.L. cit. sarebbero prive di efficacia retroattiva e non potrebbero, pertanto, trovare applicazione rispetto all’accertamento tributario compiuto nei confronti dell’COGNOME in relazione all’anno d’imposta 2004.
Viene obiettato, al riguardo: – che le norme in questione hanno natura processuale, e non sostanziale, in quanto non introducono alcun nuovo tributo, ma si limitano a fornire all’Amministrazione Finanziaria strumenti più efficaci di contrasto al diffuso fenomeno dell’evasione fiscale; – che la loro portata retroattiva è desumibile dall’uso della locuzione «in deroga ad ogni vigente disposizione di legge»; – che il principio generale di irretroattività RAGIONE_SOCIALE disposizioni tributarie dettato dall’art. 3 della L. n. 212 del 2000 opera con esclusivo riferimento alle norme sostanziali, non estendendosi a quelle processuali, concernenti l’accertamento del tributo; – che il comma 2 dell’art. 12 cit., stabilendo la presunzione legale di evasione a carico di chi detiene attività di natura finanziaria in Stati
o territori a fiscalità privilegiata, non ha modificato il regime impositivo degli anni precedenti, ma ha soltanto disciplinato in modo diverso i poteri di accertamento dell’Amministrazione, sì da poter trovare applicazione anche per gli anni d’imposta anteriori all’entrata in vigore della norma; – che, in ragione della loro natura procedimentale, le disposizioni prevedenti il raddoppio dei termini per l’accertamento, nonché per la constatazione o l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, sono soggette al principio «tempus regit actum» e devono, quindi, ritenersi applicabili agli accertamenti per i quali detti termini fossero ancora pendenti alla data di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALE disposizioni in oggetto.
Il ricorso è solo in parte fondato e va, pertanto, accolto nei limiti di sèguito illustrati.
2.1 Le questioni poste dal motivo in disamina sono state più volte affrontate negli ultimi anni da questa Corte, la quale, «in subiecta materia» , ha sancito i seguenti princìpi di diritto: «La presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale -sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione-, con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale, e soggiacciono perciò al principio ‘tempus regit actum’, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 12, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di
decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per l’omessa denuncia RAGIONE_SOCIALE disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2» (cfr. Cass. n. 2662/2018, Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 7957/2021, Cass. n. 8653/2022, Cass. n. 33965/2023, Cass. n. 5964/2024).
2.2 È stato, inoltre, chiarito che, sebbene la disposizione di cui al menzionato art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009 sia insuscettibile di applicazione retroattiva agli anni d’imposta antecedenti alla data della sua entrata in vigore, «l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata e non dichiarati) ‘sub specie’ di presunzione semplice» (cfr. Cass. n. 33893/2019, Cass. n. 6154/2021, Cass. n. 6570/2021, Cass. n. 33965/2023, Cass. n. 4641/2024).
2.3 Si è ulteriormente precisato che la norma recata dal successivo comma 2bis deve essere letta nel senso che il raddoppio dei termini ivi previsto opera sia nel caso in cui l’Ufficio, avvalendosi della presunzione legale posta dal comma 2, accerti che la disponibilità finanziaria detenuta nei cd. «paradisi fiscali», e non dichiarata, costituisce provento di redditi sottratti a tassazione, sia in quello, equivalente, in cui esso, senza ricorrere alla presunzione in discorso, siccome non applicabile retroattivamente, contesti la medesima fattispecie di sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Paesi o territori a fiscalità privilegiata, facendo uso, secondo le regole probatorie ordinarie, di presunzioni semplici qualificate ex art. 2729, comma 1, c.c. dalla gravità, precisione e concordanza.
2.4 Giustifica tale equiparazione la ratio della disciplina, palesata dal comma 1 dello stesso art. 12 del D.L. n. 78 del 2009, in base al quale le norme contenute in detto articolo sono dirette a dare attuazione a un’intesa fra gli Stati aderenti all’RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati, fornendo agli uffici finanziari strumenti più efficaci (quali il raddoppio dei termini per l’accertamento) per contrastare, con o senza l’ausilio della presunzione legale di cui al comma 2, il fenomeno dell’allocazione nei «paradisi fiscali» RAGIONE_SOCIALE disponibilità finanziarie formate con redditi sottratti alla tassazione nazionale (cfr. Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 35840/2022, Cass. n. 5964/2024).
2.5 Per quanto, poi, specificamente attiene alle sanzioni amministrative pecuniarie di natura tributaria contemplate per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di dichiarazione annuale di cui all’art. 4, comma 1, del D.L. n. 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990, è stato sottolineato che il termine di decadenza dal potere di irrogazione deve essere individuato, all’interno della previsione racchiusa nell’art. 20 del D. Lgs. n. 472 del 1997, non in quello che fa riferimento al tempo di commissione della violazione, ma in quello maggiore fissato per l’accertamento del tributo dovuto, tenuto conto del raddoppio dei termini introdotto dai commi 2bis e 2ter dell’art. 12 del D.L. n. 78 del 2009, aventi efficacia retroattiva (cfr. Cass. n. 30742/2018, Cass. n. 8653/2022, Cass. n. 35840/2022).
2.6 Si è, altresì, evidenziato che questa soluzione ermeneutica non contrasta con il principio generale di irretroattività RAGIONE_SOCIALE disposizioni sanzionatorie sancito dall’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 472 del 1997, poichè l’applicazione ‘a ritroso’ della sanzione, per tutto l’arco temporale consentito dal raddoppio dei termini, sconta comunque il limite della previa esistenza della
norma sanzionatoria, contenuta nell’art. 5 del D.L. n. 167 del 1990, la quale è di gran lunga antecedente alle annualità pregresse passibili di accertamento in forza della disposta dilatazione dei relativi termini (cfr. Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 12745/2020, Cass. n. 35840/2022).
Le suenunciate regulae iuris , che vanno qui ribadite, sono state solo in parte correttamente applicate al caso di specie dalla CTR, la quale, dopo aver giustamente affermato che la presunzione legale di evasione di cui all’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009 non può operare, in ragione della natura sostanziale della norma e della sua conseguente portata irretroattiva, rispetto all’accertamento fiscale compiuto nei confronti dell’COGNOME in relazione all’anno d’imposta 2004, è erroneamente pervenuta a identica soluzione interpretativa anche con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 2bis e 2ter del medesimo articolo, prevedenti il raddoppio dei termini per l’accertamento e l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
3.1 Così statuendo, l’impugnata sentenza è effettivamente incorsa, «in parte qua» , nell’ «error in iudicando» denunciato dalla ricorrente.
3.2 Le raggiunte conclusioni non risultano inficiate dal richiamo fatto dal controricorrente alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 15 febbraio 2017, resa nel procedimento C-317/15, secondo la quale «la possibilità che l’ articolo 64, paragrafo 1, TFUE riconosce agli Stati membri di applicare restrizioni ai movimenti di capitali che implichino la prestazione di servizi finanziari vale parimenti per quelle che, come il termine di rettifica fiscale prolungato, non riguardano né il prestatore di servizi né le condizioni e le modalità della prestazione di servizi».
3.3 La disamina della questione prospettata postula, di necessità, una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
3.4 L’ art. 63 del TFUE, in materia di libera circolazione dei capitali,
così dispone «1. Nell’àmbito RAGIONE_SOCIALE disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonchè tra Stati membri e Paesi terzi. 2. Nell’àmbito RAGIONE_SOCIALE disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonchè tra Stati membri e Paesi terzi».
Secondo quanto disposto dalla norma citata, la libera circolazione dei capitali si estende, quindi, anche agli Stati terzi.
3.5 Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE emerge che le misure vietate dal menzionato art. 63, in quanto comportanti restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono quelle che risultano idonee a dissuadere i non residenti dal compiere investimenti in uno Stato membro o i residenti di detto Stato membro dal compierne in altri Stati (Corte di Giustizia 10 aprile 2014, RAGIONE_SOCIALE, C-190/12; Corte di Giustizia 22 novembre 2018, RAGIONE_SOCIALE, C575/17; Corte di Giustizia 13 novembre 2019, RAGIONE_SOCIALE of RAGIONE_SOCIALE C-641/17; Corte di Giustizia 18 dicembre 2007, Skatteverket, C-101/05; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, NOME e NOME, C-436/08 e C-437/08; Corte di Giustizia 10 maggio 2012, RAGIONE_SOCIALE, da C338/11 a C-347/11; Corte di Giustizia, 30 gennaio 2020, RAGIONE_SOCIALE, C-156/17).
3.6 La libertà di circolazione dei capitali subisce, tuttavia, alcune eccezioni.
3.7 Segnatamente, in base all’art. 65, paragrafo 1, lettera a), del TFUE, la previsione di cui al precedente art. 63 non pregiudica il diritto degli Stati membri di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria operanti una distinzione fra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale. 3.8 La Corte di Giustizia ha peraltro chiarito che tale norma,
apportando una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, non può essere interpretata nel senso che qualsiasi legislazione tributaria che introduca una distinzione fra i contribuenti in base al luogo in cui risiedono o allo Stato nel quale investono i loro capitali sia automaticamente compatibile con il Trattato dell’Unione.
3.9 Invero, la deroga in parola soggiace essa stessa a una limitazione per effetto di quanto previsto dal paragrafo 3 del medesimo art. 65 del TFUE, il quale stabilisce che le misure e le procedure nazionali di cui al paragrafo 1 «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, nè una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63» (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-464/14; Corte di Giustizia, 10 aprile 2014, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE of RAGIONE_SOCIALE, C-190/12).
3.10 Le differenze di trattamento autorizzate dall’ art. 65, paragrafo 1, lettera a), del TFUE vanno, pertanto, tenute distinte dalle discriminazioni vietate dal paragrafo 3 dello stesso articolo.
3.11 Per potersi considerare legittime, le anzidette differenze devono essere giustificate da ragioni di interesse generale o altrimenti riguardare situazioni non comparabili (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-464/14; Corte di Giustizia 10 maggio 2012, RAGIONE_SOCIALE, da C-338/11 a C347/11; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, NOME e NOME, C-436/08 e C-437/08).
3.12 Più in particolare, si è ritenuto che ricorrano ragioni imperative di interesse generale, idonee a giustificare una diversità di trattamento, quando sia necessario garantire l’efficacia dei controlli fiscali (cfr. Corte di Giustizia 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo, C-493/09), semprechè la normativa di
uno Stato membro subordini il riconoscimento di un vantaggio tributario al rispetto di determinati requisiti la cui osservanza possa essere verificata unicamente tramite informazioni rese dalle competenti autorità di uno Stato terzo e, in assenza di un obbligo convenzionale per il predetto Stato terzo di fornire le informazioni richieste, risulti impossibile ottenere chiarimenti dal medesimo (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, cit.; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, NOME NOME e NOME NOME, cit.).
3.13 Nel solco tracciato dalla giurisprudenza unionale, questa Corte regolatrice ha ribadito che la circostanza per cui il contribuente non sia residente in uno Stato membro non preclude a priori la rilevanza dell’art. 63 del TFUE (cfr. Cass. n. 21454/2022, Cass. n. 21475/2022, Cass. n. 21479/2022, Cass. n. 21480/2022, Cass. n. 21481/2022, Cass. n. 21598/2022).
3.14 Coerentemente con tale impostazione, è stato quindi affermato:
-che, «in tema di ritenute applicabili sui dividendi distribuiti, negli anni dal 2007 al 2010, da società residenti in Italia a fondi d’investimento mobiliare residenti negli Stati Uniti, l’art. 10, par. 2, lett. b) della Convenzione ItaliaU.S.A., per il quale l’imposta applicata dallo Stato di residenza della società che paga i dividendi ‘non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo’, va interpretato -secondo il canone di buona fede ex art. 31 del Trattato di Vienna ed i princìpi della fiscalità comunitaria ed internazionale, per evitare la violazione dell’ art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e Paesi terzi- nel senso che anche ai dividendi pagati da società residenti ai fondi d’investimento mobiliare aperti statunitensi si applica l’aliquota del 12,5 per cento, cui erano assoggettati ‘ratione temporis’, sul risultato della gestione, i fondi comuni mobiliari aperti residenti, ai sensi dell’ art. 9, comma 2, della l. n. 77 del 1983» (cfr. Cass. n.
21454/2022);
-che, «al fine di escludere la legittima applicazione di una differente aliquota nella tassazione dei dividendi percepiti da fondi pensione italiani e statunitensi, non assume rilevanza la Convenzione ItaliaUsa contro le doppie imposizioni, né, tanto meno, la previsione dell’ art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, risultando, invece, decisiva l’applicazione del principio generale di libera circolazione dei capitali di cui all’ art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, non ricorrendo un’ipotesi in cui si possa operare eccezione a tale principio, ai sensi dell’art. 65 del medesimo Trattato» (cfr. Cass. n. 25691/2022);
-che, «in tema di ritenute applicabili sui dividendi distribuiti, negli anni dal 2010 al 2012, da società residenti in Italia a fondi pensione residenti in Stati terzi, ricorrono ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare una diversità di trattamento, restando esclusa la violazione dell’ art. 63 T.F.U.E. in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e Paesi terzi, laddove detti Stati terzi siano inseriti nella c.d. black list dei Paesi che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni, secondo quanto previsto dall’ art. 168-bis T.U.I.R.» (cfr. Cass. n. 11719/2023).
3.15 Alla stregua del surriferito insegnamento giurisprudenziale, al quale si intende dare continuità, deve escludersi che nel caso in esame sussista la denunciata violazione dell’art. 63, paragrafo 1, del TFUE, considerato che nella cd. «black list» di cui all’art. 1 del Decreto del Ministro dell’Economia e RAGIONE_SOCIALE Finanze 21 novembre 2001, richiamato dall’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, figura anche l’Isola di Man, territorio nel quale erano detenuti gli investimenti esteri non dichiarati dal contribuente.
3.16 Dal momento che il significato della norma comunitaria appare evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, sì da non lasciare àdito ad alcun ragionevole
dubbio sulla corretta soluzione da fornire alla questione sollevata (cd. teoria dell’«acte clair»), non si ravvisano i presupposti per il rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE (cfr. Cass. n. 2822/2024, paragrafo 12.3).
In definitiva, va disposta, nei limiti innanzi precisati, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia, uniformandosi ai princìpi di diritto innanzi espressi.
4.1 Nell’assolvere il còmpito affidatogli, il giudice del rinvio dovrà, quindi, tenere conto anche di quanto sopra rimarcato a proposito della presunzione legale di evasione posta dall’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, ovvero che, sebbene essa risulti inapplicabile al caso di specie, occorrerà comunque valutare se i fatti che ne formano oggetto possano eventualmente dare fondamento a una presunzione semplice in favore dell’Amministrazione Finanziaria, valevole fino a prova contraria.
4.2 Al medesimo giudice viene pure rimessa la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione