Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34586 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34586 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF 2009.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24052/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo n. 287/07/2023, depositata il 20 aprile 2023;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Chieti notificava, in data 18 dicembre 2018, a Sarni Teodoro avviso di accertamento n. TAZ01I102337/2018, con il quale, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. in data 24 luglio 2018, recuperava a tassazione un maggior reddito imponibile, per l’anno 2009, di € 132.179,28, quali reddito di capitale ex art. d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, correlati alla detenzione di partecipazioni del c.d . ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Il contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti la quale, con sentenza n. 141/01/2019, depositata il 2 ottobre 2019, accoglieva il ricorso, annullando l’avviso di accertamento impugnato e compensando le spese di lite.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (nuova denominazione della Commissione Tributaria Regionale) dell ‘Abruzzo , con sentenza n. 287/07/2023, pronunciata il 3 aprile 2023 e depositata in segreteria il 20 aprile 2023, accoglieva l’appello dell’Ufficio, ritenendo prioritariamente sussistente l’operatività del raddoppio dei termini ex art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo vigente ratione temporis .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME sulla base di due motivi (ricorso notificato il 20 novembre 2023).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Con decreto del 12 giugno 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza
in camera di consiglio del 1° ottobre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, che la Corte territoriale aveva omesso di trattare il motivo, di natura dirimente, relativo alla mancanza dei presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 197 3, n. 600, vigente ratione temporis .
1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, il ricorrente che, in ogni caso, non ricorrevano le condizioni per l’operato raddoppio dei termini per l’accertamento, in riferimento al reato di cui all’art. 4 del d.l.gs 10 marzo 2000, n. 74.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono infondati.
In base all’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis al momento del periodo d’imposta oggetto di accertamento (testo introdotto dall’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura
penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
Nel caso di specie, l’anno d’ imposta al quale si riferisce si riferisce il motivo in questione è il 2009, e l’ accertamento avrebbe dovuto effettuarsi entro il 31 dicembre 2014 (ossia quattro anni ex art. 43, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis ), ovvero entro il 31 dicembre 2018, in caso di raddoppio dei termini.
L’avviso di accertamento in questione è stato notificato in data 18 dicembre 2018, e quindi, sotto questo profilo, appare tempestivo.
A tal proposito, deve rilevarsi che, ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dalle disposizioni suindicate, l’unica condizione prevista è quella dell’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dall’adempimento di tale obbligo, e quindi indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo, come peraltro chiarito anche da Corte cost. 25 luglio 2011, n. 247 (Cass. 15 dicembre 2021, n. 40132; Cass. 2 luglio 2020, n. 13481; Cass. 28 giugno 2019, n. 17586). A maggior ragione, la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato.
Nel caso di specie, essendo configurabile il reato di cui all’art. 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (dichiarazione infedele),
ricorrevano quindi le condizioni per il raddoppio dei termini per l’accertamento.
Ora, l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato successivamente all’entrata in vigore dell’art. 2 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, e dell’art. 1, comma 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno previsto la necessità, ai fini del raddoppio dei termini, della presentazione della denuncia penale entro i termini or dinari per l’accertamento.
Sul punto, questa Corte ha già chiarito che «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/1973 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 248/2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge n. 208/2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128/2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218/1997, già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost.» (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass. 14 maggio 2018, n. 11620).
Nel caso di specie, è incontestato l’ inoltro, in data 22 gennaio 2014 (e quindi prima della scadenza del termine ordinario per l’accertamento) di una nota informativa della Guardia di Finanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale territorialmente competente, con espresso riferimento a violazioni tributarie penalmente rilevanti, ragion per cui sono certamente sussistenti i presupposti legislativi previsti per l’ operatività del c.d. raddoppio dei termini, essendo stati comunque rappresentati dalla G.d.F., in veste di polizia giudiziaria, circostanze e fatti che, seppur ancora inevitabilmente non dotati di puntuale specificità, apparivano certamente idonei ad integrare una notizia di reato mediante indicazione di elementi significativi di seri indizi di violazioni tributarie penalmente rilevanti (dichiarazione omessa e/o infedele) coinvolgenti anche il periodo di imposta in considerazione.
Da ciò discende che non esiste una rilevanza esplorativa della comunicazione di notizia di reato, avendo l’Ufficio operato in linea con quanto disposto dall’art. 43, comma 3, d.P.R. 600/73 vigente all’epoca dei fatti , e del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui unica condizione per il raddoppio dei termini è la constatazione dell’esistenza di una violazione, per la quale sussiste l’obbligo di denuncia di reato tributario ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dalla circostanza che tale obbligo sia stato o meno adempiuto e indipendentemente dai successivi esiti del procedimento penale.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma di importo pari a quella del contributo unificato prevista per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma di importo pari a quella del contributo unificato prevista per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2024.