Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9448 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9448 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF 2006.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1409/2018 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata all’atto di costituzione di nuovo difensore in atti,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-resistente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 4305/23/2017, depositata il 15 maggio 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 gennaio 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale II di Napoli, in data 6 dicembre 2012, notificava a COGNOME COGNOME avviso di accertamento n. TF501AM06400/2012, con il quale veniva richiesto il pagamento della somma complessiva di € 598.314,00 per maggiori imposte e sanzioni per imposta sostitutiva per redditi non dichiarati per l’anno d’imposta 2006.
L’avviso di accertamento in questione traeva origine da una segnalazione del l’Ufficio Centrale Antifrode della Direzione Centrale Accertamento, con cui si denunciava la sottrazione al fisco italiano di redditi imponibili; in particolare, per l’anno 2008, era emerso che dal 22 giugno 2007 le partecipazioni delle società con sede in Italia facenti capo al c.d. RAGIONE_SOCIALE sarebbero confluite dalla società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE nel trust inglese denominato King Trust attraverso la cessione delle stesse alla società RAGIONE_SOCIALE segregata nel suddetto trust. L’U fficio quindi aveva accertato per detto anno redditi da capitale non dichiarati per € 80.380.835,69, essendo emerso il possesso di disponibilità finanziarie nella società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE
Il contribuente impugnava l’ avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la
quale, con sentenza n. 24738/40/2015, depositata il 9 novembre 2015, rigettava il ricorso, compensando le spese.
Interposto gravame dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 4305/23/2017, pronunciata il 9 maggio 2017 e depositata in segreteria il 15 maggio 2017, rigettava l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME (ricorso notificato il 19 dicembre 2017).
L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
Con decreto del 3 ottobre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 17 gennaio 2025.
All’udienza suddetta è comparso l’Avvocato dello Stato, in rappresentanza dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto dalla parte contribuente è articolato in quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso il COGNOME censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto sussistenti le condizioni per il c.d. raddoppio dei termini per l’accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, vigente ratione temporis .
Rileva, in particolare, che il raddoppio dei termini in questione dovesse essere condizionato all’invio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della notizia di reato all’Autorità giudiziaria, da effettuarsi, peraltro, entro il termine di decadenza ordinario, da individuare, nel caso di specie, nel quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione.
Il motivo è inammissibile ex art. 360-bis, num. 1), c.p.c., perché la decisione è conforme alla giurisprudenza costante di questa Corte.
In base all’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis al momento del periodo d’imposta oggetto di accertamento (testo introdotto dall’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
Nel caso di specie, l’anno d’imposta al quale si riferisce si riferisce il motivo in questione è il 2006 , e l’accertamento avrebbe dovuto effettuarsi entro il 31 dicembre 2011 (ossia quattro anni ex art. 43, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis ), ovvero entro il 31 dicembre 2015, in caso di raddoppio dei termini.
L’avviso di accertamento in questione è stato notificato in data 6 dicembre 2012, e quindi, sotto questo profilo, appare tempestivo.
A tal proposito, deve rilevarsi che, ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dalle disposizioni suindicate, l’unica condizione prevista è quella dell’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dall’adempimento di tale obbligo, e quindi indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo, come peraltro chiarito anche da Corte cost. 25 luglio 2011, n. 247 (Cass. 15 dicembre 2021, n. 40132; Cass. 2 luglio 2020, n. 13481; Cass. 28 giugno 2019, n. 17586). A maggior ragione, la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato.
Nella fattispecie in esame, essendo configurabili i reati di cui all’art. 5 (omissione di imposta) ed all’art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (dichiarazione infedele), ricorrevano quindi le condizioni per il raddoppio dei termini per l’accertamento.
Ora, l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato prima dell’entrata in vigore dell’art. 2 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, e dell’art. 1, comma 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno previsto la necessità, ai fini del raddoppio dei termini, della presentazione della denuncia penale entro i termini or dinari per l’accertamento.
Sul punto, questa Corte ha già chiarito che «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/1973 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n.
223/2006, conv. dalla legge n. 248/2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge n. 208/2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128/2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218/1997, già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost.» (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass. 14 maggio 2018, n. 11620).
Nel caso di specie, dunque, ai fini della tempestività dell’accertamento non era necessario l’invio, entro il termine ordinario di decadenza, della notitia criminis alla competente Procura della Repubblica, essendo sufficiente l’astratta configurabilità del reato.
La decisione impugnata si è conformata ai consolidati principi testé riassunti, ragion per il motivo de quo deve ritenersi inammissibile.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso il contribuente eccepisce l’«impropria quantificazione del valore delle
disponibilità finanziarie da sottoporre al prelievo presuntivo previsto dal D.L. n. 167/1990».
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che il d.l. n. 167/1990 esonerava dagli obblighi di monitoraggio le ipotesi di intestazione a società fiduciarie italiane di quote o partecipazioni detenute in società estere.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente eccepiva l’illegittimità delle sanzioni per contrasto con il principio di ‘proporzionalità’ elaborato in ambito comunitario.
I motivi secondo, terzo e quarto sono da ritenere inammissibili, in quanto, con riferimento a tali censure, l’appello era stato dichiarato inammissibile per mancanza di specificità dei motivi ex art. 342 c.p.c. e 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e su tale inammissibilità il ricorso in oggetto nulla dice, mentre i suddetti motivi attengono al merito della controversia.
Manca, quindi, la censura ‘a monte’ sulla pronunzia di inammissibilità dell’appello, il che rende inammissibili le censure ‘a valle’, relative a questioni non esaminate dalla C.T.R.
Consegue la declaratoria di inammissibilità totale del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna COGNOME COGNOME alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.