Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12910 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12910 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7491/2016 R.G. proposto da COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso anche disgiuntamente, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,
– intimata – avverso la sentenza n. 1379/15/2015 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto – Verona, depositata in data 14/9/2015;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 4 marzo 2025;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Fatti di causa
In data 10/9/2010, la Guardia di Finanza, Tenenza di Peschiera del Garda, redasse un processo verbale di constatazione nei confronti di NOME COGNOME ( ‘il contribuente’ ) in seguito ad una segnalazione giunta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, che aveva svolto indagini nei confronti dell’avvocato e notaio svizzero NOME COGNOME
In particolare, il COGNOME figurava tra i clienti del COGNOME, e sul suo conto erano emersi trasferimenti di denaro verso soggetti esteri con vari strumenti giuridici e con l’ausilio professionale del detto COGNOME. Con specifico riferimento al periodo d’imposta 2000, che qui viene in rilievo, i verificatori ritenevano che la società RAGIONE_SOCIALE che aveva ottenuto finanziamenti al fine di acquistare quote del fondo RAGIONE_SOCIALE, fosse fittiziamente interposta rispetto al Montresor.
Sulla base di tale ricostruzione, i finanziamenti ottenuti dalla società RAGIONE_SOCIALE urono imputati all’odierno contribuente, che avrebbe così detenuto all’estero tale ‘novella ricchezza’ in violazione della normativa antiriciclaggio.
L’Agenzia delle Entrate ritenne che tale nuova ricchezza si fosse manifestata per la prima volta nell’anno 2000.
I verificatori, inoltre, ritennero che anche se il Montresor aveva aderito al condono tombale, esso non precludeva l’applicazione delle disposizioni sul monitoraggio fiscale (art. 4 del d.l. n. 167 del 1990).
Con riferimento all’anno 2000, l’Agenzia delle Entrate notificò tra l’altro, al contribuente, un avviso di accertamento per il recupero delle imposte, e relativi accessori, sui fondi portati all’estero.
La C.T.P. di Verona, in primo grado, respinse il ricorso avverso il detto avviso di accertamento.
In appello, la C.T.R. confermò la sentenza di primo grado, fatta eccezione per la somma di euro 20.830,42, che fu ritenuta oggetto di un compenso versato al Pessina per i suoi servizi professionali.
Avverso la sentenza d’appello, il Montresor ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi.
L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
Il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME ha depositato una requisitoria scritta.
All’udienza pubblica nessuna delle parti è comparsa.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 -in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. -per avere la sentenza confermato la legittimità dell’avviso di accertamento seppure privo di valida sottoscrizione, essendo inidonea a legittimare la sottoscrizione stessa da parte del dott. NOME COGNOMEsu delega del Direttore provinciale) una ‘disposizione organizzativa’ in bianco, non recante il nominativo del funzionario delegato’ , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto validamente conferita da parte del Direttore provinciale la delega di firma dell’avviso di accertamento al funzionario sottoscrittore.
Il contribuente, in particolare, sostiene che la delega di firma sarebbe nulla in quanto non nominativa.
1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
L’orientamento di questa Corte è ormai consolidato nel ritenere che la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019, Rv. 653352 – 01).
2.Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, dell’art. 11 delle preleggi e dell’art. 3 della l. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -per aver ritenuto la sentenza che l’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, ai sensi del quale è stato emesso l’avviso di accertamento, potesse essere applicato anche a periodi d’imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (nel caso di specie l’anno 2000), nonostan te il legislatore non ne abbia previsto un’efficacia retroattiva e nonostante la disposizione in parola rivesta la natura di norma ‘sostanziale’ avendo introdotto una nuova fattispecie imponibile’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile la presunzione legale di evasione introdotta dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009 con riferimento a periodi d’imposta antecedenti rispetto al tempo della sua entrata in vigore.
In altre parole, il contribuente si duole del fatto che la C.T.R. abbia illegittimamente applicato alla fattispecie di causa la presunzione legale secondo la quale le attività finanziarie da lui detenute in territorio a regime fiscale privilegiato sono costituite, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione.
3.Con il sesto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009 e dell’art.
2697 c.c. -in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. per aver ritenuto la sentenza che l’Agenzia delle Entrate avesse provato la riferibilità delle attività finanziarie in ‘paradisi fiscali’ al sig. NOME COGNOME in base a meri indizi (q uale la ‘lista COGNOME‘ ed i documenti trovati all’interno del personal computer dello stesso Avv. COGNOME‘ , il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che egli avesse investito dei fondi all’estero, in un territorio a fiscalità privilegiata, e che tali fondi fossero stati sottratti a tassazione in Italia, sulla base di elementi indiziari, tratti dalla cd. ‘lista COGNOME‘, non aventi il valore di prova piena.
3.1. Il secondo e il sesto motivo di ricorso affrontano questioni connesse e possono essere esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono infondati.
Con riferimento al secondo motivo, che pone la questione della (non) retroattività della disposizione, di natura sostanziale, di cui all’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, il Collegio intende dare continuità all’orientamento consolidato secondo il quale in tema di accertamento tributario, la presunzione legale di evasione, prevista dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv. con modif. dalla l. n. 102 del 2009, non è applicabile retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, ma non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, ricorrendo a presunzioni semplici gravi, precise e concordanti, senza fare ricorso a detta presunzione legale ( ex multis , Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 18061 del 01/07/2024, Rv. 671625 -01; Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 2990 del 01/02/2024, Rv. 670358 – 02).
Con riferimento al sesto motivo, deve osservarsi che il contribuente censura inammissibilmente il giudizio di merito espresso dalla C.T.R. circa la concludenza degli elementi di fatto addotti dall’amministrazione a sostegno della tesi che egli, tramite i s ervizi assicurati dal Pessina, abbia portato all’estero cospicui fondi per sottrarli a tassazione.
Il percorso motivazionale seguito dalla C.T.R. è logico e piano, ed il giudizio espresso è ben argomentato sulla base degli elementi fattuali prodotti in giudizio dall’amministrazione, sicché il giudice di appello non è incorso nelle violazioni imputategli dal contribuente ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 2 -bis, del d.l. n. 78/2009 -in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. per aver ritenuto la sentenza che l’Agenzia delle Entrate non fosse decaduta dal potere di emettere l’avviso di accertamento (basato sull’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009), nonostante il comma 2bis dell’art. 12 del d.l. n. 78/2009 -pur prevedendo un ‘raddoppio’ dei termini per l’accertamento di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 (norma speciale rispetto all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973) non possa avere un’efficacia retroattiva, tantomeno con riguardo a periodi d’imposta i cui termini per l’accertamento erano già scaduti all’epoca della sua entrata in vigore’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per non aver essa ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento, stabilito dall’art. 12, comma 2 -bis, del d.l. n. 78 del 2009, non poteva operare nel caso di specie, in quanto il termine ordinario decadenziale per l’accertamento da parte dell’amministrazione era già spirato al tempo dell’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2009.
L’annualità d’imposta accertata, infatti, era il 2000, con riferimento alla quale, dunque, il termine ordinario per l’accertamento scadeva il 31/12/2006, mentre l’art. 12, comma 2 -bis, del d.l. n. 78 del 2009 è entrato in vigore il 30/12/2009, con la conseguente chiara non raddoppiabilità di un termine già scaduto.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -per aver ritenuto la sentenza che l’Agenzia delle Entrate non fosse decaduta dal potere di emettere l’avviso di accertamento, nonostante la denuncia sia stata
presentata (specificatamente in data successiva ala redazione dell’avviso di accertamento) per un reato già prescritto e quando il termine per l’accertamento ordinario era già decorso, con l’esclusivo fine strumentale di riaprire un termine scaduto’ , il contribuente deduce che per giustificare il fatto che con l’avviso di accertamento notificato nel dicembre 2011 si fosse proceduto ad esercitare una ripresa fiscale per l’anno 2000, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che ‘ai fini dell’accertamento basato s ulla presunzione dinanzi richiamata, l’art. 1, comma 3, d.l. n. 194/2009 ha previsto il raddoppio dei termini di decadenza dell’azione di accertamento di cui all’art. 43, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600/1973’ .
Inoltre, in fondo all’avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il raddoppio dei termini per l’accertamento fosse giustificato dal fatto che ‘il contribuente è stato incluso nella comunicazione di notizia di reato per violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000’ .
Senonché, sia in primo che in secondo grado, il contribuente aveva eccepito che la denuncia penale era stata presentata dopo l’emissione dell’avviso di accertamento, quando i termini ordinari per l’accertamento erano già scaduti da oltre cinque anni, quand o il reato oggetto della denuncia era già prescritto.
Evidenzia il contribuente che, ai sensi dell’art. 2, primo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, il raddoppio non opera se la denuncia penale da parte dell’amministrazione finanziaria sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di decad enza per l’esercizio della potestà impositiva.
Col motivo in esame, inoltre, si propone questione di legittimità costituzionale del citato art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 nella parte in cui non prevede che anche per gli avvisi di accertamento notificati alla data del 2/9/2015 non possa trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 2, comma primo, del d.lgs. n. 128 del 2015.
5.1. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono infondati.
Innanzitutto, non vi è alcuna incompatibilità tra il raddoppio dei termini stabilito dalla disposizione di cui all’art. 12, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2009 e il raddoppio dei termini stabilito dalla disposizione di cui all’art. 43 , comma 2bis, del d.P.R. n. 600 del 1973 (vigente ratione temporis ), nel senso che esse concorrono a determinare il raddoppio dei termini ordinari di accertamento.
Tanto chiarito, deve evidenziarsi che, nel caso che ci occupa, l’avviso di accertamento, notificato nel 2011, era relativo all’anno 2000, per il quale il contribuente omise, nel 2001, di presentare la dichiarazione fiscale.
Ne consegue che il termine ordinario per l’accertamento era venuto a scadere il 31 dicembre 2006 (cfr. art. 43, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973), molto tempo prima dell’entrata in vigore del comma 2 -bis dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2009 il quale, dunque , nonostante sia una disposizione di natura processuale, non può applicarsi alla fattispecie di causa.
Si applica, invece, ad essa, l’art. 43, comma 2bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo il quale: ‘in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al pe riodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione’ .
Quando tale disposizione entrò in vigore, cioè nel luglio 2006, il termine ordinario per l’accertamento era ancora in corso (sarebbe scaduto il 31/12/2006), sicché, non essendo ancora scaduto al tempo dell’entrata in vigore della norma che disponeva il rad doppio, quest’ultimo scattò, con la conseguenza che il termine (raddoppiato) di decadenza dalla potestà di accertamento, previsto dal secondo comma dell’art. 43 del d.P.R., spirò il 31/12/2011.
L’avviso di accertamento notificato a dicembre 2011, dunque, era tempestivo.
In base alla formulazione ratione temporis del richiamato comma 2bis dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, inoltre, ai fini del raddoppio non era necessario trasmettere o presentare una denuncia penale, essendo sufficiente la commissione di una violazione che comportava l’obbligo di denuncia pen ale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (giurisprudenza costante: Cass., n. 11171/16; n. 20409/23; n. 13483/16; n. 33793/19).
Né appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, che lascia salvo il regime del raddoppio dei termini per gli avvisi di accertamento già notificati (come l’avviso che ci occupa) alla data del 2 settembre 2015: il legislatore ordinario, infatti, è libero di differenziare diacronicamente il trattamento giuridico di fattispecie simili, purché tale differenziazione non sia irragionevole.
E non è irragionevole prevedere presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento in parte diversi a seconda del tempo in cui siano stati notificati gli atti impositivi.
6. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 289/2002 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -per aver ritenuto la sentenza che all’Agenzia delle Entrate non fosse precluso il potere di emettere l’avviso di accertamento non ostante il contribuente abbia aderito alla ‘definizione automatica degli anni pregressi’ (cd. ‘condono tombale’) ai sensi del medesimo art. 9 della legge n. 289/2002′ , il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che il ‘condono tombale’ non estendesse i suoi effetti all’accertamento per cui è causa, avente ad oggetto i redditi sottratti a tassazione portati all’estero in violazione della normativa del monitoraggio fiscale. 6.1. Il motivo è infondato.
La ratio della disposizione di cui all’art. 9, comma 11, della legge n. 289 del 2002, è quella di non estendere, ordinariamente, gli effetti del condono agli obblighi tributari legati ai fondi portati all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale di cui al d.l. n. 167
del 1990, conv. in l. n. 227 del 1990, a meno che tali fondi non fossero oggetto di regolarizzazione contabile.
Gli obblighi tributari esclusi dagli effetti del condono, dunque, sono non solo quelli relativi e direttamente connessi alle disposizioni in tema di ‘monitoraggio fiscale’, ma anche quelli relativi ai fondi oggetto di espatrio, e dunque l’assoggettamento a tassazione di essi, qualora il contribuente non fosse riuscito a dimostrare che sui capitali illegittimamente espatriati egli avesse già assolto, a monte, gli obblighi tributari.
Con il settimo motivo di ricorso, rubricato ‘ Omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) -Nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. , per omessa pronuncia sull’eccezione relativa all’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nonostante risultasse provato che l’attività di natura finanziaria non era costituita con reddito sottratto a tassazione, derivando (come emergeva dal medesimo avviso di accertamento) da un finanziamento’ , il contribuente censura la sentenza per omessa pronuncia relativa alla circostanza, da lui prospettata, che l’attività finanziaria costituita all’estero non derivasse da redditi sottratti a tassazione, bensì da un finanziamento.
Con l’ottavo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost ituzione, dell’art. 132 del codice di procedura civile , dell’art. 118 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 -in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. -con riguardo all’eccezione relativa all’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nonostante risultasse provato che l’attività di natura finanzia ria non era stata costituita con reddito sottratto a tassazione, derivando (come emergeva dal medesimo avviso di accertamento) da un finanziamento’ , il contribuente censura, in subordine, la sentenza impugnata per non aver motivato circa la ritenuta infondatezza della prospettazione del ricorrente, secondo la quale i fondi conferiti alla società di diritto estero
RAGIONE_SOCIALE non erano costituiti da redditi sottratti a tassazione, bensì da finanziamenti.
9. Con il nono motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009 -in relazione all’art. 360 , comma primo, n. 3, c.p.c. -per l’ipotesi in cui si ritenga che la sentenza abbia confermato la legittimità dell’avviso di accertamento nonostante risultasse provato che l’attività di natura finanziaria non era stata costituita con reddito sottratto a tassazione, derivando (come emergeva dal medesimo avviso di accertamento) da un finanziamento’ , il contribuente deduce che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge ritenendo un reddito sottratto a tassazione ciò che era solo un finanziamento.
9.1. Il settimo, ottavo e nono motivo, che per la loro connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono inammissibili.
I motivi in esame ruotano intorno alla doglianza che i fondi trasferiti all’estero non sarebbero redditi sottratti a tassazione, bensì finanziamenti.
Senonché la comune doglianza, così come proposta, demanda a questa Corte valutazioni di merito inammissibili in sede di legittimità. La doglianza sfugge alla sussunzione sub art. 360, n. 4 e 112 c.p.c., in quanto il contribuente non ha nemmeno dedotto che la sentenza impugnata non si sia pronunciata su motivi di appello ritualmente dedotti; sfugge alla sussunzione sub art. 360, n. 5 c.p.c., visto che siamo in presenza di una cd. ‘doppia conforme’.
La prospettata carenza di motivazione è inesistente, essendosi la C.T.R. sufficientemente profusa nell’argomentare la provenienza da evasione fiscale della somma portata all’estero tramite il Pessina; non esiste la denunciata violazione di legge, che in realtà altro non è che un tentativo di devolvere a questa Corte, inammissibilmente, un nuovo giudizio di merito sulla vicenda.
10. Con il decimo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, dell’art. 3 del
d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 25 Cost. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -per aver ritenuto la sentenza che l’Agenzia delle Entrate abbia legittimamente comminato la sanzione di ‘omessa dichiarazione’ con riguardo al periodo d’imposta 2000 , nonostante la contestazione cui tale omissione si riferisce -presunzione che gli investimenti e attività di natura finanziaria fossero costituiti mediante redditi sottratti a tassazione -sia entrata in vigore nel 2009′ , il contribuente censura la sentenza impugnata per aver applicato la sanzione per l’omessa dichiarazione di redditi in relazione all’anno 2000 (quelli costituiti dai fondi portati all’estero), una sanzione che non sarebbe stata all’epoca vigente, visto che la disposizione che equipara i fondi portati all’estero e non dichiarati a redditi di cui è stata evitata la sottoposizione a tassazione è entrata in vigore nel 2009 (art. 12, comma 2, d.l. n. 78 del 2009). 10.1. Il motivo è infondato.
L’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, ha posto una presunzione legale relativa in base alla quale i fondi portati all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale sono costituiti da redditi sottratti a tassazione in Italia.
Ciò, però, non significa che il fatto oggetto della presunzione legale non possa essere ritenuto dal giudice ordinariamente provato (dunque senza l’applicazione della presunzione legale) in relazione a periodi d’imposta antecedenti rispetto a quell i per i quali si applica, ratione temporis , la presunzione legale.
Orbene, nel caso che ci occupa, in relazione all’anno d’imposta 2000 già esistevano le norme sul monitoraggio fiscale, e nel corso del giudizio di merito è stata ritenuta raggiunta la prova per presunzioni ( semplici) che i fondi portati all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale fossero costituiti da redditi sottratti alla tassazione in Italia.
11. Il ricorso è nel complesso rigettato.
Non avendo svolto attività difensiva l’Agenzia delle Entrate, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 4 marzo 2025.