Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22694 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6202/2022 R.G. proposto da : COGNOME in proprio e quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ANCONA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. delle Marche n. 916/2021 depositata il 28/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Con l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2012 l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Ancona -Ufficio Controlli -ha accertato in capo alla RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2006, maggiori IVA per un importo pari ad € 120.461,00, IRES per un importo pari ad €. 198.760,00 e IRAP per un importo pari ad € 31.430,00, nonché le relative sanzioni (anno d’imposta 2006). L’atto impositivo è stato notificato il 6 dicembre 2012, avvalendosi di quanto previsto dall’art. 43, comma 3 del d.p.r. 600/1973 e dall’art. 57, comma 3 del d.p.r. 644/1972 nel testo ratione temporis vigente in quanto era stato riscontrato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, come da precedente PVC della GDF del 31/03/2011.
Il contribuente , in proprio e nell’indicata qualità, impugnava detto avviso di accertamento avanti alla CTP di Ancona che, con sentenza n. 332 del 9 aprile 2014, accoglieva il ricorso, ritenendo che l’avviso di accertamento fosse stato notificato tardivamente.
L’appello proposto dall’Agenzia è stato invece accolto dalla CTR di Marche -Ancona, con la sentenza n. 916 del 28 luglio 2021, non notificata, oggetto della presente impugnazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente in proprio e nell’indicata qualità sulla scorta di due motivi.
Resiste l’ Ufficio con controricorso.
È stata, quindi, fissata adunanza camerale per il 20.05.2025, in vista della quale il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dal contribuente avverso la sentenza della C.T.R. delle Marche, n. 916/2021 si fonda su due motivi, di seguito sintetizzati:
violazione e falsa applicazione dell’art. 37 co. XXIV d.l. 4 luglio 2006 n. 223 in relazione all’operatività del raddoppio dei termini in presenza di fatti costituenti illeciti di natura tributaria; intervenuta decadenza dell’azione tributaria. Nullità della sentenza per assenza di motivazione ex art. 132 n. 4) c.p.c. in ordine alla mancata valutazione del contenuto della denuncia depositata dall’ufficio in sede di appello e della relativa eccezione contenuta nelle deduzioni di costituzione (art. 360 co. 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.);
violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per avere il giudice del merito liquidato le spese legali nonostante l’ufficio fosse costituito con propri funzionari (art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.).
Il primo motivo è infondato. Nella sua prima parte, più in particolare, risulta contrario al costante orientamento del S.C. in materia. Limitandosi a citare le pronunce più recenti, Sez. 5, ord. n. 600 del 10/01/2025 (Rv. 673712 – 01), ha infatti stabilito che in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini, nel testo vigente ratione temporis, consegue al mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, anche se l’azione penale non è perseguita o è intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna. A sua volta, essendo nella specie in discussione anche un accertamento riguardante IVA, Sez. 5, ord. n. 23600 del
03/09/2024 (Rv. 672127 – 01) ha precisato che il raddoppio del termine – previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, ratione temporis vigente, nel caso del reato (ex art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000) di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti da parte della “cartiera” dante causa opera anche nei confronti del soggetto che ha utilizzato tali fatture e ne ha tratto vantaggio economico attraverso il meccanismo della detrazione dell’IVA, avendo posto in essere fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, quantomeno con riferimento all’ipotesi di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000.
Inoltre, anche Sez. 5, ord. n. 666 del 10/01/2025 (Rv. 673681 01) ha affermato che i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati.
Il motivo in esame, nella sua seconda parte, introduce peraltro un’ulteriore contestazione nei confronti della sentenza impugnata, affermandone la nullità per difetto di motivazione.
Al riguardo, va premesso che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Sez. 1, ord. n. 1986 del 28/01/2025 Rv. 673839 – 01). In termini anche la precedente Sez. L, ord. n. 3819 del 14/02/2020, secondo cui in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.
Nel caso di specie, afferma la sentenza impugnata, dopo aver ripercorso il grado precedente e la posizione difensiva delle parti: ‘Che l’intera vicenda de qua riveli sicuri indici di fattispecie penalmente rilevanti alla luce della L.74/2000 che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art.331 cpp non può essere revocato in dubbio atteso che vengono evidenziate dalla GdF fatturazioni fittizie con società estere e/o comunque inconsapevoli o mere società fantasma e/o cartiere mediante operazioni triangolari e con evasione di imposta, eseguite operazioni di assoluto rilievo (anche di 200.000,00 euro) in contanti nonostante il divieto normativo, che in ogni caso tutte le operazioni in denaro comunque venivano di fatto gestite sia in entrata che in uscita sempre dal sig. COGNOME a volte con l’ausilio del sig. COGNOME COGNOME come nel prosieguo meglio si dirà. Pertanto, questo collegio, ravvisando nella fattispecie in esame sicuri profili di comportamento penalmente rilevante a livello fiscale, ritiene l’azione accertativa dell’Ufficio, per quanto superiormente esposto, del tutto tempestiva e legittima in quanto ossequiosa dei canoni normativi relativi. Di conseguenza la decisone di prime cure non può essere condivisa e merita di essere riformata’.
Prima di tale nucleo argomentativo, la sentenza dà conto di come soltanto in appello l’Ufficio abbia (peraltro legittimamente) prodotto la denuncia penale, ritenendola peraltro irrilevante alla luce degli accertamenti compiuti, mentre il PVC risultava già in atti; inoltre, nella successiva parte della motivazione (p. 5/6) si prendono in esame gli indizi probatori forniti dall’ufficio e che in estrema sintesi -riguardano la natura meramente formale e non operativa di tale società RAGIONE_SOCIALE (di cui si ricorda che il COGNOME era percettore di assegni senza alcuna giustificazione espressa, mentre il l.r. fruiva di una somma mensile di 1000 euro per ‘prestarsi al ruolo’); sommarie informazioni assunte dalla Gdf da cui risulta che anche altre fatture erano emesse o per operazioni inesistenti o da parte di soggetti che solo formalmente apparivano l.r. delle rispettive società (di cui si ricordano i nominativi: tale COGNOME NOME COGNOME NOME e società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE); grosse somme erogate dalla società RAGIONE_SOCIALE (oggetto di accertamento) a favore dei sigg.ri COGNOME e COGNOME senza alcuna causa giustificativa.
Appare evidente che alla luce di tale ricostruzione, qui sinteticamente richiamata, il motivo di ricorso assume in gran parte una veste meritale e risulta pertanto inammissibile. La sentenza impugnata ha infatti rilevato che le condotte penalisticamente rilevanti si estendono per l’intero arco temporale delle annualità oggetto di accertamento (fra cui evidentemente anche quella oggetto dell’avviso qui impugnato) e tale valutazione appare sufficiente a giustificare il raddoppio dei termini di accertamento, avuto riguardo all’orientamento di legittimità che sopra si è riportato e che si confronta con un contesto normativo che, come detto, ratione temporis riteneva irrilevante la effettiva presentazione della denuncia (che peraltro qui vi è stata sia pure con riguardo ad altre annualità) così come la sua tempestività, posto che -come accertato dalla CTR con valutazione di fatto qui
non ulteriormente sindacabile -anche per l’anno in questione vi erano ‘sicuri profili di comportamento penalmente rilevante a livello fiscale’. Il che appare evidente quantomeno con riferimento alla fattispecie all’epoca prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000.
Si deve perciò concludere per la parziale inammissibilità e, per il resto, per l’infondatezza del primo, composito, motivo di ricorso.
Anche il secondo motivo di ricorso è, invero, infondato. Con tale censura, infatti, si contesta che la CTR abbia condannato alle spese il contribuente pur se l’ufficio si era costituito con i propri funzionari.
Tale motivo, tuttavia, non si confronta con la specifica disciplina delle spese del processo tributario.
Infatti, è ben vero in termini più generali, rispetto alle pubbliche amministrazioni nel processo, che si è osservato come l’autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, quando sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato, non può ottenere la condanna dell’opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, difettando le relative qualità nel funzionario amministrativo che sta in giudizio; in tal caso, pertanto, in favore dell’ente possono essere liquidate le sole spese, diverse da quelle generali, che esso abbia concretamente affrontato nel giudizio, purché risultino da apposita nota (Sez. 2, ord. n. 23825 del 04/08/2023 (Rv. 668721 – 01).
Tuttavia, per il processo tributario vige una più specifica regola posta dall’art. 15, comma 2 sexies , del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui ‘Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’ articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto’.
Orbene, il motivo di impugnazione non si confronta affatto con tale disposizione, posto che -a ben vedere -con esso si censura l’aver utilizzato le disposizioni in tema di liquidazione del compenso degli avvocati (cosa che appunto la norma permette), mentre non si contesta in alcun modo che, ad esempio, non sia stata adottata la riduzione del 20% prevista dalla disposizione richiamata nel caso di difesa in giudizio dell’ufficio tramite propri funzionari. La doglianza del ricorrente, infatti, è incentrata direttamente sull’art. 91 c.p.c. e sul fatto che non siano state liquidati dei meri rimborsi spese, risultando perciò aspecifica e non accoglibile.
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna alle spese, secondo il principio di soccombenza, con liquidazione in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge, a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente in proprio e nell’indicata qualità a rifondere alla controricorrente le spese processuali, che liquida in euro 7.800#, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione