Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 475 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 475 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME del Foro di Milano, e NOME COGNOME che hanno indicato recapito PEC nell’intestazione del ricorso, avendo l’impugnante dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del secondo difensore, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 948, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 10.10.2016, e pubblicata l’8.3.2017;
Oggetto:
Irpef
2006-2009
–
Redditi detenuti all’estero non
dichiarati
–
Motivazione
apparente
–
Raddoppio dei
termini di
accertamento
–
Presupposti – Sanzioni.
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
raccolte le conclusioni del P.M., s.Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha confermato la richiesta di rigetto del ricorso;
ascoltate le conclusioni rassegnate, per il ricorrente, dall’Avv. NOME COGNOME che ha domandato l’accoglimento del ricorso e, per la controricorrente, dall’Avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dell’impugnativa;
la Corte osserva:
Fatti di causa
A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, e concluse con Processo Verbale di Costatazione consegnato a COGNOME NOME NOME il 9.2.2011 (controric., p. 1), l’Agenzia delle Entrate notificava il 10.8.2013 al contribuente gli avvisi di accertamento n. T9B01QE02881, n. T9B01QE02883, n. T9B01QE04036 e n. T9B01QE0468, aventi ad oggetto la pretesa di maggiore Irpef con riferimento agli anni dal 2006 al 2009, in conseguenza della ritenuta detenzione all’estero, in Svizzera, di redditi sottratti a dichiarazione e tassazione.
Ricagni NOME impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, proponendo plurime censure. La CTP reputava in parte fondate le difese del ricorrente, perché riteneva, tra l’altro, non dimostrata la fruttuosità dell’investimento estero, in termini di interessi, nella misura del 10% annuo, conseguendone che doveva trovare applicazione il tasso ufficiale di sconto, pari al 3,55%, e riduceva perciò l’importo contestato nell’avviso di accertamento. Riteneva inoltre non applicabile l’imposta sostitutiva del 27%, di cui all’art. 18 del Tuir, reputando che la fruttuosità delle somme detenute all’estero su conto corrente dal contribuente non rientra tra i redditi da capitale di cui all’art. 44 del Tuir.
Sia il contribuente che l’Amministrazione finanziaria spiegavano appello avverso la pronuncia del giudice di primo grado, per la parte in cui erano rimasti soccombenti, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. La CTR valutava fondate alcune delle difese proposte dall’Agenzia delle Entrate ed accoglieva parzialmente il suo ricorso, in ordine all’applicabilità dell’imposta sostitutiva del 27% sugli interessi maturati sui conti correnti esteri del ricorrente. Rigettava, invece, il gravame introdotto dal contribuente.
Avverso la pronuncia adottata dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a cinque motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente ha pure depositato memoria.
4.1. Ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte il Pubblico Ministero, nella persona del s.Procuratore Generale NOME COGNOME ed ha domandato il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente contesta la nullità della decisione pronunciata dalla CTR per effetto della violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 36, secondo comma, nn. 3 e 4, e 39 del D.Lgs n. 546 del 1992, nonché dell’art. 111, secondo e sesto comma, della Costituzione, perché la decisione adottata della CTR non consente di comprendere l’iter argomentativo seguito dai giudici del gravame.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 43, terzo comma, del Dpr n. 600 del 1973 in quanto gli accertamenti tributari relativi agli anni 2006 e 2007 sono illegittimi per essere l’Amministrazione finanziaria decaduta dal potere di procedervi, non operando il raddoppio dei termini di accertamento, perché non è stata raggiunta la soglia di
rilevanza penale del fatto, e comunque perché l’Amministrazione finanziaria non ha prodotto copia della denuncia penale.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la CTR per essere incorsa nella violazione dell’art. 6 del Dl n. 167 del 1990, ‘in quanto il patrimonio 2016 è stato determinato mediante applicazione degli interessi del 10% ai patrimoni degli anni precedenti’ (ric., p. 26).
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7, quarto comma, del D.Lgs n. 472 del 1997, in cui è incorso il giudice del gravame, perché ricorrevano le condizioni di legge per la riduzione delle sanzioni alla metà del minimo.
Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 1 del Dpr n. 917 del 1986, non avendo la CTR ritenuto di dover applicare il principio della capacità contributiva, ed in conseguenza di dover escludere dall’imposizione un soggetto che aveva ‘totalmente perso la disponibilità del proprio patrimonio’ (ric., p. 27).
Sembra opportuno ripercorrere, in estrema sintesi, le vicende che hanno originato il presente giudizio. COGNOME NOME NOME affidava all’Avv. NOME COGNOME ingenti capitali, milioni di Euro, perché fossero investiti. La GdF rinveniva presso il legale evidenze della detenzione di capitali del contribuente all’estero, in Svizzera. Il COGNOME, nella sua dichiarazione dei redditi, non annotava la detenzione dei capitali all’estero. L’Agenzia delle Entrate emetteva pertanto separati avvisi di accertamento, con riferimento all’anno 2003, che è oggetto presso questa Corte del fascicolo RGN 29306/15, trattato contestualmente nella medesima udienza, nonché in relazione agli anni dal 2006 al 2009, che sono
oggetto di questo giudizio, richiedendo il pagamento dei tributi che riteneva essere stati evasi. Il COGNOME, nel 2012, presentava querela nei confronti del COGNOME, affermando che si era appropriato dei fondi che gli erano stati affidati per l’investimento all’estero, salvo restituirne una percentuale modesta, circa duecentomila Euro, nell’anno 2008.
Tanto premesso il ricorrente, con il suo primo mezzo d’impugnazione, censura la nullità della pronuncia impugnata criticando, in sostanza, la sua incomprensibilità e contraddittorietà. Tra le critiche espressamente proposte, il contribuente si sofferma sulla modalità di calcolo della ‘base di partenza’, intesa come ammontare del capitale detenuto all’estero nell’anno 2006, questione che poi ripropone con il terzo mezzo d’impugnazione. I due motivi di ricorso si presentano perciò connessi, e possono in conseguenza essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
7.1. Il contribuente specifica quindi il senso della sua critica, e spiega di aver chiarito che, a seguito della restituzione di Euro 200.000,00 dall’Avv. COGNOME, confluite sul conto svizzero del ricorrente denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, operazione estero su estero ritenuta non imponibile dalla stessa CTR, aveva ritirato nel 2009 la somma in contanti e, non potendo usufruire della normativa sul rientro di capitali avendo ricevuto avviso di garanzia, trattenuti Euro 30.000,00 per esigenze personali, aveva versato la residua somma di Euro 150.000,00 su un altro suo conto svizzero, denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Questa volta, però, la CTR aveva ritenuto incoerentemente l’operazione imponibile, in quanto si sarebbe trattato di un maggior reddito non dichiarato.
7.2. La CTR segnala che, secondo il contribuente, l’accredito della somma di Euro 150.000,00 su un suo conto estero, avrebbe dovuto essere considerata un disinvestimento, analogamente al precedente accredito di Euro 200.000,00 su altro suo conto
svizzero. In relazione a quest’ultima operazione, però, la somma di Euro 200.000,00 era pervenuta sul conto COGNOME del contribuente attraverso un ricostruito giro dei fondi su conti esteri detenuti in paradisi fiscali (Panama, Lichtenstein), e la provenienza delle somme era riconducibile al Rausse, come confermato da appunto reperito dalla Guardia di Finanza presso di lui. Quindi il giudice dell’appello ha segnalato che, condivisibilmente, la CTP aveva escluso l’analogia con la seconda operazione di versamento, ‘posto che non risulta collegamento tra l’investimento per 150.000,00 euro realizzato su altro conto ‘RAGIONE_SOCIALE … in data 29.9.09 e i capitali investiti all’estero tramite Ruasse’. Alfine il giudice del gravame ha ribadito che non sussiste analogia tra la prima movimentazione finanziaria e la seconda, ‘con l’operazione di euro 150.000,00, che l’Ufficio ha motivatamente escluso … non risultando alcun collegamento tra l’investimento per 150.000,00 euro con il trasferimento su altro conto svizzero’ (sent. CTR, p. 4).
7.3. In definitiva la motivazione adottata dalla CTR esprimendo il giudizio sul fatto che le compete, peraltro confermando la decisione assunta dai giudici di primo grado, è presente, chiara e non contraddittoria, e la critica mossa dal ricorrente, che ripropone una ricostruzione della vicenda non dimostrata, risulta pertanto infondata.
7.4. Quindi il contribuente, mediante censura poi rinnovata con il terzo motivo di ricorso, contesta che risulta stimato in modo incomprensibile, ed è comunque errato, il valore del patrimonio da lui detenuto all’estero così come calcolato dall’Amministrazione finanziaria, con valutazione però ritenuta corretta dalla CTR, perché in realtà conteggiato applicando al preteso capitale posseduto nel 2003 il tasso d’interesse del 10% annuo, che però lo stesso giudice del gravame ritiene un criterio non utilizzabile in relazione agli anni successivi al 2003, dovendo invece applicarsi il tasso di sconto ai sensi dell’art. 6 del Dl n. 167 del 1990.
7.4.1. Invero il ricorrente rivolge la sua censura alla valutazione operata dalla CTP (cfr. ric., p. 19), che sarebbe stata acriticamente recepita dalla CTR. In realtà il giudice dell’appello chiarisce di condividere la valutazione espressa dai primi giudici, secondo cui risulta irrilevante il capitale detenuto all’estero nel 2003, che potrebbe essere diminuito o essere stato incrementato prima del 2006, e ritiene che l’ammontare di quanto detenuto all’estero dal contribuente debba essere stimato sulla base delle risultanze della documentazione probatoria acquisita in atti, ‘appunti di rendiconto sequestrati presso RAUSSE per gli anni 2007/2009 …’ (sent. CTR, p. 6). Il contribuente non coglie la ratio decidendi adottata dalla CTR, non ne contrasta specificamente il fondamento, e propone in conseguenza una critica inammissibile.
7.5. Infine, il contribuente lamenta pure (ric., p. 13) che la CTR avrebbe ritenuto la definitività della sentenza della CTP in relazione all’avviso di accertamento relativo all’anno 2003, ma si è già visto che il giudice dell’appello ha ritenuto l’accertamento compiuto in relazione a quell’anno non rilevante ai fini della decisione di questo giudizio.
In definitiva il primo ed il terzo motivo di impugnazione risultano infondati e devono essere respinti.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, il ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per aver ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di accertamento, in relazione a condotte contestate come commesse in relazione agli anni 2006 e 2007, sebbene non fosse stata raggiunta la soglia di rilevanza penale del fatto, e comunque perché l’Amministrazione finanziaria non ha prodotto copia della denuncia penale.
8.1. Invero la CTR osserva che la produzione in giudizio della denuncia penale non è richiesta, e neppure la sua effettiva presentazione, essendo peraltro ‘pacifica la pendenza del procedimento penale a carico del COGNOME‘ (sent. CTR, p. 5), che
pertanto ben conosce le contestazioni che gli sono state mosse. Inoltre, che sussistesse l’obbligo di denuncia, ‘in ordine al capitale investito per gli anni 2006 e 2007’, è un dato che emerge ‘in base a dati rilevati da documenti, tutti coerenti tra loro, rinvenuti sia presso il contribuente, sia presso il Rausse’ ( ibidem ).
8.2. Il ricorrente, oltre ad insistere sul ritenuto obbligo di deposito della denuncia perché potesse stimarsene l’eventuale pretestuosità, ritiene superficiale l’analisi svolta dalla CTR, perché non ha tenuto conto del fatto che la soglia di rilevanza penale delle condotte ascritte risultava raggiunta soltanto calcolando come applicati anche negli anni successivi (2004 e 2005), in relazione ai quali nessun elemento di prova è stato raccolto, il tasso di interessi del 10% accertato per il solo anno 2003, secondo una procedura ritenuta errata dalla stessa CTR, e non si comprende, perciò, per quale ragione non debba ritenersi pretestuosa la denuncia penale che ha comportato l’illegittima applicazione del raddoppio dei termini di accertamento.
8.3. In ordine ai requisiti perché ai sensi dell’art. 43, terzo comma, del Dpr n. 600 del 1973, possa essere considerato legittimo il raddoppio dei termini di accertamento, questa Corte ha avuto modo di esprimersi ripetutamente, originandosi un orientamento interpretativo ormai consolidato. Si è infatti chiarito che ‘in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della notitia
criminis entro il termine di decadenza ordinario)’, Cass. sez. VI -V, 28.6.2019, n. 17586. Il ricorrente, peraltro, lamenta anche l’inapplicabilità del raddoppio del termine a causa del mancato superamento della soglia di rilevanza penale del fatto, in conseguenza del recepimento da parte della CTR della propria tesi secondo cui è ingiustificata l’applicazione del tasso d’interesse del 10% utilizzato dall’Amministrazione finanziaria in considerazione del tasso, al più, applicabile per il solo anno 2003. In proposito, però, anche prescindendo dal dato pacifico che il procedimento penale nei confronti del contribuente a causa dell’infedeltà della sua dichiarazione è stato iniziato, e sarà l’autorità competente ad esprimersi in merito in sede penale, questa Corte regolatrice ha già rilevato che ‘in materia tributaria, la soglia di rilevanza penale di cui all’artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine’, Cass. VI -V, 30.6.2016, n. 13483.
Il secondo motivo di ricorso risulta pertanto anch’esso infondato, e deve perciò essere respinto.
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR, perché ricorrevano le condizioni per la riduzione delle sanzioni applicategli.
Con il suo quinto motivo di ricorso il contribuente rinnova la contestazione relativa alla violazione di legge in cui sarebbe incorsa
l’impugnata CTR per non aver ritenuto di dover applicare il principio della capacità contributiva, ed in conseguenza di dover escludere dall’imposizione un soggetto che aveva totalmente perso la disponibilità del proprio patrimonio.
I mezzi d’impugnazione presentano ragioni di connessione, nonché analoghe imperfezioni nella modalità di proposizione, e possono perciò essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
9.1. In sostanza il contribuente lamenta che ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 7, quarto comma, del D.Lgs n. 472 del 1997, disposizione che prevede la riduzione delle sanzioni fino alla metà del minimo, qualora concorrano circostanze le quali rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo in considerazione della violazione cui si riferisce e la sanzione irrogata. Inoltre, il ricorrente censura la violazione del principio di capacità contributiva, perché COGNOME NOME NOME era stato spossessato dell’intero suo patrimonio estero dall’Avv.to COGNOME che se ne era appropriato, ed in conseguenza il contribuente non aveva la disponibilità di un reddito imponibile.
9.2. La CTR osserva, in proposito, che ‘non sussistono i presupposti dell’indicata disapplicazione delle sanzioni, per comportamento non colpevole del contribuente ed impossibilità di dichiarare analiticamente i redditi comunque non percepiti, avendo egli totalmente omesso di indicare, nelle dichiarazioni anche i più modesti importi ammessi’ (sent. CTR, p. 7).
9.3. Invero i due succinti motivi di ricorso da ultimo proposti dal contribuente presentano evidenti limiti nella loro formulazione tecnica. Il ricorrente, infatti, non chiarisce come abbia proposto le sue critiche nel corso dei gradi di merito del giudizio, indicando anche, almeno in sintesi, le formule utilizzate, in modo da consentire a questa Corte di legittimità di esprimere il giudizio che le compete in materia di tempestività, congruità e diligente
coltivazione nel giudizio delle questioni proposte dalle parti, prima ancora di procedere a valutarne la decisività.
Questo rilievo risulta dirimente, potendo anche aggiungersi, per completezza, che il contribuente neppure illustra come abbia provato di essere stato spogliato dell’intero suo patrimonio, e quali siano le particolari circostanze che possano indurre a ritenere ingiustificate le sanzioni come calcolate dall’Amministrazione finanziaria senza, peraltro, che il contribuente riporti neppure l’ammontare delle sanzioni irrogate e le modalità con cui risultano calcolate.
Il quarto ed il quinto strumento d’impugnazione devono quindi essere dichiarati inammissibili.
In definitiva il ricorso introdotto da NOME COGNOME deve essere respinto.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della controversia.
10.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, anche del c.d. doppio contributo.
La Corte di cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita resistente, e le liquida in complessivi Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20.12.2023.