Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
COGNOME con gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dalla Avvocatura Generale dello Stato;
-controricorrente-
avverso la Sentenza delle Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5546/2017, depositata il 21/12/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
l ‘Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Milano accertava un maggior reddito imponibile nei confronti di NOME COGNOME per l’anno 200 4, determinando una maggiore imposta IRPEF e un’imposta sostitutiva sui redditi soggetti a tassazione separata, con relative addizionali.
1.1. Tale atto veniva emesso a seguito di attività di verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, relativamente all’inchiesta c.d. ‘Pessina” , che interessava il ricorrente per le annualità dal 2002 al
2008 e nell’ambito della quale fu acquisito un notebook dal quale furono estrapolati i dati riguardanti oltre 570 aziende italiane, titolari di disponibilità finanziarie detenute all’estero e non dichiarate al fisco italiano, ivi comprese le disponibilità detenute dal contribuente presso un istituto bancario elvetico.
Il contribuente impugnava l’atto avanti alla CTP di Milano che accoglieva il ricorso.
Interposto gravame dall’Ufficio, la CTR della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, riteneva fondato l ‘appello e confermava, perciò, la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di sei motivi, illustrati con il deposito di memoria ex art. 380bis.1 c.p.с .
Il ricorrente ha, inoltre, depositato ex art. 372 c.p.c. la sentenza della CTR della Lombardia n. 5630/2017, depositata il 27/12/2017, con attestazione del passaggio in giudicato.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si rileva che la sentenza depositata dal ricorrente non è idonea a costituire un giudicato esterno con effetto vincolante sul presente giudizio, trattandosi di decisione che, seppure in fattispecie analoga, ha annullato l’avviso di accertamento per il diverso anno di imposta 2006.
1.1. Va, in primo luogo, rammentato a tale riguardo che «La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre
non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass. Sez. 5, n. 38950/2021; Cass. Sez. 5, n. 6953/2015).
1.2. Ancora, va ricordato che «In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno opera nel caso di giudizi identici per soggetti, causa petendi e petitum -ma nei soli limiti dell’accertamento delle questioni di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche (Cass. Sez. 5, n. 6405/2025).
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 12, commi 2 e 2 bis, del D.L. 78/2009, 3 e 10 della L. 212/2000, 11, comma 1, disp. prel. c.c. e 3 e 24 Cost.
2.1. Il ricorrente censura l’impugnata sentenza per avere affermato che la disposizione introdotta dal comma 2 dell’art. 12 del citato D.L. n. 78 del 2009 ha natura processuale, e dunque riconosciuto la sua portata retroattiva, contrariamente a quanto predicato da questa Corte con costante orientamento.
2.2. Viene, inoltre, sostenuto che anche le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter dello stesso articolo andrebbero considerate prive di efficacia retroattiva, essendo la loro applicazione collegata all’operatività della presunzione legale posta dal precedente comma 2 e dunque, nella specie, non si applicherebbe il raddoppio dei termini per l’accertamento previsto dall’art. 12, comma 2 -bis, con conseguente decadenza dal potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria.
Con il secondo motivo di ricorso il contribuente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.с., 2 , l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deducendo che i giudici d’appello hanno omesso di pronunciarsi sulla natura dei recuperi a tassazione contenuti nell’accertamento da cui si evinceva che, nel caso di
specie, l’Ufficio non aveva applicato la ”presunzione” prevista dal comma 2 dell’art. 12 del D.L. 78/2009, con la conseguenza che alla fattispecie non poteva nemmeno applicarsi il “raddoppio” dei termini previsto dal comma 2 bis dell’art. 12 cit.
Con il terzo strumento di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.с., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 12, commi 2 e 2 bis, e 43, comma 1, del D.P.R. 600/1973.
Deduce il ricorrente che i giudici di appello hanno erroneamente ritenuto che il comma 2 bis dell’art. 12 cit. legittimasse la notifica nei termini prescritti dall’art. 43, comma 1, del D.P.R. 600/1973, raddoppiati, dell’avviso di accertamento contenente il recupero a tassazione dei redditi generati da capitali detenuti all’estero, oltre che di importi determinati applicando la presunzione di fruttuosità di cui all’art. 6 del D.L. 167/1990, in violazione del medesimo comma 2 bis che invece limita l’applicabilità del raddoppio dei termini prescritti dall’art. 43, comma 1, del D.P.R. 600/1973 agli accertamenti basati sulla presunzione di cui al comma 2 dell’art. 12.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 63, par. 1 e 64, par. 1 del T.F.U.E., sostenendosi che l’ applicazione all’accertamento notificato al ricorrente della previsione di raddoppio dei termini contenuta nel comma 2 bis dell’art. 12 del D.L. 78/2009, costituirebbe anche una violazione dell’art. 63, par. 1, del T.F.U.E., in quanto tale norma si risolverebbe in una restrizione “ai movimenti di capitali … tra Stati membri e Paesi terzi”, vietata dall’art. 64, par. 1, del T.F.U.E., in quanto non “in vigore alla data del 31 dicembre 1993”.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per “omessa pronuncia” sull’eccezione di errata
applicazione della presunzione di fruttuosità di cui all’art. 6, D.L. 167/1990, e sull’errata tassazione degli interessi così determinati ai fini delle imposte sui redditi, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, 61 del D.Lgs. 546/1992, 112 e 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché 111 Cost.
Rileva il ricorrente che, nella sentenza impugnata, la Commissione Tributaria Regionale di Milano si è limitata ad affermare che “circa il quantum della pretesa l’Ufficio ha ben motivato e dettagliato la natura degli importi ripresi a tassazione”. Tale motivazione, afferma, è meramente apparente in quanto non spiega le ragioni per le quali è stata respinta l’eccezione di errata applicazione della ”presunzione di fruttuosità” prevista dall’art. 6 del D.L. 167/1990, in relazione alla determinazione degli interessi generati dalle attività finanziarie detenute presso Credit Suisse.
Con il sesto strumento di impugnazione, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per “omessa pronuncia” sull’eccezione di rideterminazione delle sanzioni irrogate, in applicazione del ‘favor rei’, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, 61 del D.Lgs. n. 546/1992, 112 e 132 c.p.с. e 118 disp. att. c.p.с., nonché 111 Cost.
8. Il primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso, da trattarsi unitariamente stante la stretta connessione, sono, solo in parte, fondati e vanno, pertanto, accolti nei limiti di seguito illustrati.
8.1 Le questioni che essi veicolano sono state più volte affrontate negli ultimi anni da questo Supremo Collegio, il quale «in subiecta materia» ha enunciato i seguenti princìpi di diritto, ormai consolidati: «La presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma
sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione -, con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale, e soggiacciono perciò al principio ‘tempus regit actum’, le previsioni di cui ai commi 2 -bis e 2-ter del medesimo art. 12, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2» (cfr. Cass. n. 2662/2018, Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 7957/2021, Cass. n. 8653/2022, Cass. n. 33965/2023, Cass. n. 5964/2024).
8.2. È stato, inoltre, posto in risalto che, sebbene la disposizione di cui al menzionato art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009 sia insuscettibile di applicazione retroattiva agli anni d’imposta antecedenti alla data della sua entrata in vigore, «l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata e non dichiarati) ‘sub specie’ di presunzione semplice» (cfr. Cass. n. 33893/2019, Cass. n. 6154/2021, Cass. n. 6570/2021, Cass. n. 33965/2023, Cass. n. 4641/2024).
8.3. Si è ulteriormente precisato che la norma recata dal successivo comma 2-bis deve essere letta nel senso che il raddoppio dei termini ivi previsto opera sia nel caso in cui l’accertamento si fondi sulla presunzione legale posta dal comma 2, sia in quello in cui l’Ufficio, senza ricorrere a tale presunzione, siccome non applicabile retroattivamente, contesti la sottrazione a tassazione di redditi esportati in Paesi o territori a fiscalità privilegiata facendo uso, secondo le regole probatorie ordinarie, di presunzioni semplici qualificate ex art. 2729, comma 1, c.c. dalla gravità, precisione e concordanza.
8.4. Giustifica tale equiparazione la «ratio» della disciplina, palesata dal comma 1 del menzionato art. 12 del D.L. n. 78, il quale chiarisce che le norme contenute in detto articolo sono dirette a dare attuazione a un’intesa fra gli Stati aderenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati, fornendo agli uffici finanziari strumenti più efficaci (fra i quali il raddoppio dei termini per l’accertamento) per contrastare, con o senza l’ausilio della presunzione legale di cui al comma 2, il fenomeno dell’allocazione nei cd. ‘paradisi fiscali’ delle disponibilità formate con redditi sottratti alla tassazione nazionale (cfr. Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 35840/2022, Cass. n. 5964/2024).
8.5. Per quanto, poi, specificamente attiene alle sanzioni amministrative pecuniarie di natura tributaria contemplate per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di dichiarazione annuale di cui all’art. 4, comma 1, del D.L. n. 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990, è stato sottolineato che il termine di decadenza dal potere di irrogazione deve essere individuato, all’interno della previsione racchiusa nell’art. 20 del D. Lgs. n. 472 del 1997, non in quello che fa riferimento al tempo di commissione della violazione, bensì in quello maggiore fissato per l’accertamento del tributo,
tenuto conto del raddoppio dei termini introdotto dai commi 2-bis e 2ter dell’art. 12 del D.L. n. 78 del 2009, aventi efficacia retroattiva (cfr. Cass. n. 30742/2018, Cass. n. 8653/2022, Cass. n. 35840/2022).
8.6. Si è, altresì, puntualizzato che la descritta soluzione ermeneutica non contrasta con l’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 472 del 1997, atteso che l’applicazione ‘a ritroso’ della sanzione, per tutto l’arco temporale consentito dal raddoppio dei termini, sconta comunque il limite della previa esistenza della norma sanzionatoria (art. 5 del D.L. n. 167 del 1990), la quale è di gran lunga antecedente alle annualità pregresse passibili di accertamento in forza dell’art. 12, comma 2 -bis, del D.L. n. 78 (cfr. Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 12745/2020, Cass. n. 35840/2022).
Ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va osservato che nel caso in esame la CTR è effettivamente incorsa nella denunciata violazione dell’art. 12, comma 2, del citato decreto-legge.
9.1. Stante la natura sostanziale della norma in commento, i giudici di seconde cure avrebbero dovuto trarne la conseguenza che la presunzione da essa istituita è applicabile soltanto per il tempo successivo alla data della sua entrata in vigore (1° luglio 2009), in virtù del principio di irretroattività della legge sancito dall’art. 11, comma 1, disp. prel. c.c.
9.2. D’altro canto, se è pur vero che, come innanzi si è avuto modo di chiarire, «l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata e non dichiarati) ‘sub specie’ di presunzione semplice», è nondimeno vero che nella presente fattispecie il collegio d’appello si è limitato ad applicare la norma di cui all’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, facendone conseguire l’automatica inversione dell’onere probatorio in capo alla
contribuente, così incorrendo in error in iudicando per mancata conformazione ai principi ora esposti.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
10.1. Nella specie, le raggiunte conclusioni non risultano inficiate dal richiamo fatto operato dal ricorrente alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 15 febbraio 2017, resa nel procedimento C-317/15, secondo la quale «la possibilità che l’articolo 64, paragrafo 1, TFUE riconosce agli Stati membri di applicare restrizioni ai movimenti di capitali che implichino la prestazione di servizi finanziari vale parimenti per quelle che, come il termine di rettifica fiscale prolungato, non riguardano né il prestatore di servizi né le condizioni e le modalità della prestazione di servizi».
La disamina della questione prospettata postula, di necessità, una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
11.1. L’art. 63 del TFUE, in materia di libera circolazione dei capitali, così dispone «1. Nell’ ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi. 2. Nell’àmbito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi». Secondo quanto disposto dalla norma citata, la libera circolazione dei capitali si estende, quindi, anche agli Stati terzi.
11.2. Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE emerge che le misure vietate dal menzionato art. 63, in quanto comportanti restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono quelle che risultano idonee a dissuadere i non residenti dal compiere investimenti in uno Stato membro o i residenti di detto Stato membro dal compierne in altri Stati (Corte di Giustizia 10 aprile 2014, RAGIONE_SOCIALE of RAGIONE_SOCIALE,
C-190/12; Corte di Giustizia 22 novembre 2018, Sofina e a., C575/17; Corte di Giustizia 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia C-641/17; Corte di Giustizia 18 dicembre 2007, Skatteverket, C-101/05; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, NOME Lakritzen NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, C-436/08 e C-437/08; Corte di Giustizia 10 maggio 2012, Santander, da C338/11 a C-347/11; Corte di Giustizia, 30 gennaio 2020, KölnAktienfonds Deka, C-156/17).
11.3. La libertà di circolazione dei capitali subisce, tuttavia, alcune eccezioni.
Segnatamente, in base all’art. 65, paragrafo 1, lettera a), del TFUE, la previsione di cui al precedente art. 63 non pregiudica il diritto degli Stati membri di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria operanti una distinzione fra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale. 11.4. La Corte di Giustizia ha peraltro chiarito che tale norma, apportando una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, non può essere interpretata nel senso che qualsiasi legislazione tributaria che introduca una distinzione fra i contribuenti in base al luogo in cui risiedono o allo Stato nel quale investono i loro capitali sia automaticamente compatibile con il Trattato dell’Unione.
Invero, la deroga in parola soggiace essa stessa a una limitazione per effetto di quanto previsto dal paragrafo 3 del medesimo art. 65 del TFUE, il quale stabilisce che le misure e le procedure nazionali di cui al paragrafo 1 «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63» (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-464/14; Corte di Giustizia, 10 aprile 2014,
RAGIONE_SOCIALE Series of RAGIONE_SOCIALE, C190/12).
11.5. Le differenze di trattamento autorizzate dall’art. 65, paragrafo 1, lettera a), del TFUE vanno, pertanto, tenute distinte dalle discriminazioni vietate dal paragrafo 3 dello stesso articolo.
11.6. Per potersi considerare legittime, le anzidette differenze devono essere giustificate da ragioni di interesse generale o altrimenti riguardare situazioni non comparabili (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-464/14; Corte di Giustizia 10 maggio 2012, RAGIONE_SOCIALE e a., da C-338/11 a C347/11; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, NOME NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, C-436/08 e C-437/08).
Più in particolare, si è ritenuto che ricorrano ragioni imperative di interesse generale, idonee a giustificare una diversità di trattamento, quando sia necessario garantire l’efficacia dei controlli fiscali (cfr. Corte di Giustizia 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo, C-493/09), sempreché la normativa di uno Stato membro subordini il riconoscimento di un vantaggio tributario al rispetto di determinati requisiti la cui osservanza possa essere verificata unicamente tramite informazioni rese dalle competenti autorità di uno Stato terzo e, in assenza di un obbligo convenzionale per il predetto Stato terzo di fornire le informazioni richieste, risulti impossibile ottenere chiarimenti dal medesimo (cfr. Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, cit.; Corte di Giustizia 10 febbraio 2011, Haribo RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, cit.).
11.7. Nel solco tracciato dalla giurisprudenza unionale, questa Corte regolatrice ha ribadito che la circostanza per cui il contribuente non sia residente in uno Stato membro non preclude a priori la rilevanza dell’art. 63 del TFUE (cfr. Cass. n. 21454/2022,
Cass. n. 21475/2022, Cass. n. 21479/2022, Cass. n. 21480/2022, Cass. n. 21481/2022, Cass. n. 21598/2022).
Coerentemente con tale impostazione, è stato quindi affermato: che, «in tema di ritenute applicabili sui dividendi distribuiti, negli anni dal 2007 al 2010, da società residenti in Italia a fondi d’investimento mobiliare residenti negli Stati Uniti, l’art. 10, par. 2, lett. b) della Convenzione RAGIONE_SOCIALE, per il quale l’imposta applicata dallo Stato di residenza della società che paga i dividendi ‘non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo’, va interpretato – secondo il canone di buona fede ex art. 31 del Trattato di Vienna ed i princìpi della fiscalità comunitaria ed internazionale, per evitare la violazione dell’art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e Paesi terzi – nel senso che anche ai dividendi pagati da società residenti ai fondi d’investimento mobiliare aperti statunitensi si applica l’aliquota del 12,5 per cento, cui erano assoggettati ‘ratione temporis’, sul risultato della gestione, i fondi comuni mobiliari aperti residenti, ai sensi dell’art. 9, comma 2, della l. n. 77 del 1983» (cfr. Cass. n . 21454/2022); -che, «al fine di escludere la legittima applicazione di una differente aliquota nella tassazione dei dividendi percepiti da fondi pensione italiani e statunitensi, non assume rilevanza la Convenzione RAGIONE_SOCIALE contro le doppie imposizioni, né, tanto meno, la previsione dell’art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, risultando, invece, decisiva l’applicazione del principio generale di libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, non ricorrendo un’ipotesi in cui si possa operare eccezione a tale principio, ai sensi dell’art. 65 del medesimo Trattato» (cfr. Cass. n. 25691/2022); che, «in tema di ritenute applicabili sui dividendi distribuiti, negli anni dal 2010 al 2012, da società residenti in Italia a fondi pensione residenti in Stati terzi, ricorrono ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare una diversità di
trattamento, restando esclusa la violazione dell’art. 63 T.F.U.E. in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e Paesi terzi, laddove detti Stati terzi siano inseriti nella c.d. black list dei Paesi che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni, secondo quanto previsto dall’art. 168 -bis T.U.I.R.» (cfr. Cass. n. 11719/2023; Cass. n. 15072/2024).
12. Alla stregua del surriferito insegnamento giurisprudenziale, al quale si intende dare continuità, deve escludersi che nel caso in esame sussista la denunciata violazione dell’art. 63, paragrafo 1, del TFUE, considerato che nella cd. «black list» di cui all’art. 1 del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 21 novembre 2001, richiamato dall’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, figura va all’epoca dei fatti anche la Svizzera, territorio nel quale erano detenuti gli investimenti esteri non dichiarati dal contribuente.
Dal momento che il significato della norma comunitaria appare evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, sì da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla corretta soluzione da fornire alla questione sollevata (cd. teoria dell’«acte clair»), non si ravvisano i presupposti per il rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE (cfr. Cass. n. 2822/2024, paragrafo 12.3).
Il sesto motivo di ricorso è, infine, fondato.
13.1. A seguito della entrata in vigore del d.lgs. 24 settembre 2015 n. 158, che ha sostituito le disposizioni del d.lgs. 18 dicembre 1997 n.471 contenute nell’ art. 1, comma 2 in materia di sanzioni per infedele dichiarazione Irpef ed Irap, prevedendo la determinazione del minimo edittale della sanzione nella misura del 90% della maggiore imposta dovuta, in luogo del previgente minimo pari al 100%, il rilievo deve essere accolto. In applicazione del principio del trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente, stabilito dall’art. 3 comma 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, la
sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal decreto legislativo n. 158 del 2015, vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del citato d.lgs. n. 158 del 2015, come modificato dall’art. 1 comma 133 della legge 28 dicembre 2015 n.208, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 6 – 5, n. 15978/2017; Cass. sez. 5, n. 1706/2018; Cass Sez. 5 -, n. 8716/2021).
14. In definitiva, va disposta, con riferimento ai motivi ritenuti fondati e nei limiti dinanzi precisati, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia, uniformandosi ai princìpi di diritto innanzi espressi.
14.1. Nell’assolvere il compito affidatogli, il giudice del rinvio dovrà, quindi, tenere conto anche di quanto sopra rimarcato a proposito della presunzione legale di evasione posta dall’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, ovvero che, sebbene essa risulti inapplicabile al caso di specie, occorrerà comunque valutare se i fatti che ne formano oggetto possano eventualmente dare fondamento a una presunzione semplice in favore dell’Amministrazione Finanziaria, valevole fino a prova contraria. Dovrà inoltre effettuare le necessarie valutazioni di merito ai fini della determinazione delle sanzioni in conformità alla nuova cornice edittale prevista dalla normativa sopravvenuta.
Al medesimo giudice viene pure rimessa la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, nonché il sesto e rigetta il quarto motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi così come accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME