Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22832 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22832 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2539/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
CONTRO
NOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Genova
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria n. 487/2023, depositata in data 30.3.2023, non notificata;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della C.G.T. di secondo grado della Liguria indicata in epigrafe, con la quale, all’esito del giudizio di
Oggetto: Accertamento -raddoppio dei termini ex art. 43 d.p.r. 600/73 -accertamento integrativo.
rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 28880/2021, veniva rigettato l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della C.T.P. di Genova che aveva accolto il ricorso di NOME avverso l’avviso di accertamento n. TL3012202005/2014, emesso in relazione all’anno di imposta 2006, sulla scorta delle risultanze contenute in un Processo Verbale di Constatazione (P.V.C.) redatto dalla Guardia di Finanza in data 17.12.2013, per difetto di prova dell’esperimento dell’azione penale nei confronti della contribuente.
2. Riteneva la C.T.R. che ‘ Il principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, cui si deve uniformare questa Corte, consiste nella valutazione dell’astratta configurabilità di reato, con obbligo di denuncia a norma dell’art. 331 c.p.p., ‘in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione’, che, ai sensi dell’art. 43 d.P.R. 633/1972, giustifica l’applicazione del raddoppio dei termini. L’indagine demandata al Collegio si risolve nel senso che l’avviso di accertamento, sulla scorta degli accertamenti effettuati nel 2013, e del contraddittorio con la contribuente, determina una presunta evasione per gli importi analiticamente indicati dalla ricorrente e non specificamente contestati dall’Ufficio -inferiori alla soglia penale. Sicché non sussiste il presupposto per il raddoppio dei termini indicato dalla Cassazione. In aggiunta, va sottolineato che l’indagine bancaria, richiamata dall’Ufficio, è fondata sul principio di inversione dell’onere della prova, e l’avviso non contesta alcuna attività fraudolenta idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, tale da imporre all’amministrazione di valutare se ricorra l’obbligo di denuncia. Né, in ragione dell’oggetto dell’avviso d’accertamento, rilevano fatti diversi rispetto a quelli inerenti all’atto impugnato ‘.
NOME resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale del 21.5.2025.
La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia « motivazione apparente. Nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e violazione degli artt. 132 e 384 comma 2 c.p.c., e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 .», assumendo che la C.T.R., senza prendere in considerazione le argomentazioni dell’Ufficio, si era limitata ad affermazioni generiche, omettendo di specificare quali sarebbero stati gli importi ‘analiticamente indicati dalla ricorrente’ inferiori alla soglia penale. La motivazione si appalesava nel complesso vuota di contenuto sia fattuale che giuridico, lasciando completamente oscure le ragioni del rigetto delle doglianze della parte appellante.
Il motivo è infondato.
1.1.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per
cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U. 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U. 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
1.2. Ciò posto, nel caso in esame la decisione soddisfa il minimo costituzionale, posto che, dalla pur sintetica motivazione si evince che il ragionamento del giudice di seconde cure è stato nel senso di ritenere rilevante esclusivamente l’atto impositivo oggetto del giudizio, dal quale non emergeva il superamento della soglia penale idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, senza che potessero assumere rilevanza fatti diversi da quelli oggetto dell’accertamento impugnato, con ciò intendendo implicitamente riferirsi alle precedenti attività di controllo, relative al medesimo anno di imposta, che avevano portato all’emissione di un primo avviso di accertamento.
Con il secondo motivo, l’Ufficio lamenta « Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c .», assumendo che la sentenza emessa dai giudici del rinvio avrebbe, comunque, fatto malgoverno dei principi di diritto enunciati nell’ordinanza n. 28880/2021 a proposito dell’individuazione dei presupposti per l’operatività della disciplina sul raddoppio dei termini per l’esercizio dell’attività accertativa di cui all’art. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ed all’art. 57, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo vigente ratione temporis . Evidenzia, al riguardo, che sin dagli esiti del primo PVC sussistevano i presupposti per configurare in capo ai militari verificatori l’obbligo di denuncia penale per il reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000. L’attività di verifica non si era esaurita con il PVC del 24.09.2009, ma veniva proseguita mediante indagini di carattere finanziario, le cui risultanze venivano illustrate
nel P.V.C. integrativo del 17.12.2013, all’interno del quale, con riferimento al medesimo periodo di imposta 2006, venivano contestati ulteriori ricavi (rispetto a quanto già contestato con il primo P.V.C.) non contabilizzati e non dichiarati. Anche il secondo P.V.C. veniva trasmesso all’Autorità Giudiziaria, la quale avviava il procedimento penale n. 228/14/21, come documentato con la nota della cancelleria della Procura presso il Tribunale di Genova trasmessa all’Ufficio, a mezzo mail, in data 5.08.2016, prodotta in grado di appello sub. 4, e che, per mero tuziorismo difensivo, era stata nuovamente prodotta nel giudizio di rinvio. Peraltro, i militari della Guardia di Finanza erano ben consapevoli dell’operatività del raddoppio dei termini accertativi, posto che a pag. 20 del PVC del 24.09.2009, veniva evidenziato che il Nucleo di Polizia Tributaria aveva avviato nei confronti della Signora COGNOME la richiesta di autorizzazione per l’avvio di indagini finanziarie, con espressa ‘ riserva di integrare il presente atto con le risultanze dell’esame della documentazione bancaria come sopra acquisita ‘. Per l’effetto, nel caso di specie il termine di decadenza per l’emissione di avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2006 veniva a scadere il 31.12.2015 e la notifica dell’avviso di accertamento integrativo n. TL3012202005/2014 oggetto della presente controversia era dunque da ritenersi tempestiva. Risulterebbe, pertanto, chiara, secondo l’Agenzia delle Entrate, la violazione delle norme richiamate, con conseguente invalidità della pronuncia resa all’esito del giudizio di rinvio, che aveva ritenuto determinante il mancato superamento della soglia di punibilità in ordine al solo atto impugnato, omettendo di ampliare il proprio oggetto di osservazione all’intera attività di controllo relativa all’anno di imposta 2006 e dunque omettendo di considerare che, ove il termine per l’accertamento fosse stato quello ‘raddoppiato’ in conseguenza del primo P.V.C. del 2009, lo stesso termine valeva
anche per l’accertamento integrativo conseguente al P.V.C. del 2013.
3.Con il terzo ed ultimo motivo, l’Agenzia deduce « illegittimità della sentenza, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis», osservando che la scarna motivazione della decisione violerebbe le norme riportate in rubrica, che stabiliscono che, fino alla scadenza del termine indicato (ordinario o raddoppiato), gli accertamenti possono essere integrati o modificati mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi specificamente indicati nell’atto integrativo a pena di nullità. Il Giudice del rinvio non aveva tenuto conto della natura di accertamento integrativo dell’atto impositivo oggetto di causa, in quanto emesso in conseguenza di una più ampia attività di controllo che aveva dato luogo, per la stessa annualità, ad un primo P.V.C. e ad un primo avviso di accertamento, nei quali veniva contestata alla contribuente una condotta integrante gli estremi soggettivi e oggettivi del reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000 ed ad un secondo P.V.C., che aveva condotto all’emissione del secondo avviso di accertamento, relativamente al medesimo anno di imposta.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
La prima sentenza di appello, cassata con ordinanza n. 28880/2021, aveva respinto il gravame proposto dall’Agenzia delle entrate, ritenendo inapplicabile il raddoppio dei termini di accertamento per mancata prova dell’esperimento dell’azione penale nei confronti della contribuente.
Questa Corte ha accolto il secondo motivo del ricorso per cassazione, con il quale era stata censurata la suddetta pronuncia per avere la CTR erroneamente subordinato l’applicazione della
disciplina in materia di raddoppio dei termini di accertamento alla prova dell’effettiva instaurazione del procedimento penale, statuendo che « va osservato che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario» (Cass. n. 13481 del 2020; conf. Cass. n. 17586 del 2019). Nel caso in esame, risulta dal ricorso per cassazione che l’Agenzia delle entrate, costituendosi in primo grado, ha evidenziato che nella nota di trasmissione all’Ufficio del processo verbale di constatazione posto a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato si riferiva che le risultanze di detto p.v.c. erano state segnalate alla Procura della Repubblica e che esse costituivano gli esiti di una ulteriore attività di verifica in relazione al medesimo anno di imposta, essendo già stato instaurato a carico della contribuente -a seguito di un precedente p.v.c. -il procedimento penale n. 1283/09/45 per il reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000. Orbene la sentenza impugnata non si è fatta carico di verificare se, come sostenuto dall’Ufficio, sussistesse l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione, limitandosi ad asserire l’assenza di qualsivoglia collegamento tra il procedimento penale n. 1283/09/45 e l’atto
impugnato, pur essendo quest’ultimo stato emesso a seguito di ulteriore attività di verifica nei confronti della medesima contribuente e per la stessa annualità, sì da poter in astratto configurare, in relazione al periodo di imposta in contestazione, la sussistenza di violazioni penali rilevanti ai fini del raddoppio dei termini di accertamento. Conclusivamente, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
4.1.La C.T.R., nella pronuncia qui impugnata, appare aver travisato il principio di diritto contenuto nell’ordinanza sopra riportata, avendo inteso che l’applicabilità dell’istituto del raddoppio dei termini dovesse essere valutata esclusivamente in relazione al secondo avviso di accertamento, oggetto di impugnazione nel presente giudizio, senza tener conto della vicenda complessiva, espressamente menzionata nell’ordinanza, che, con riguardo all’anno di imposta 2006, aveva visto l’emissione di un primo avviso di accertamento, basato sul PVC del 2009, cui la contribuente aveva prestato acquiescenza, e di un secondo avviso di accertamento integrativo, basato sul P.V.C. del 2013, relativo al medesimo anno di imposta.
L’esistenza di una tale limitazione del tema di indagine non può desumersi, a parere di questa Corte, dal contenuto dell’ordinanza di questa Corte sopra riportata.
4.2. Di conseguenza, la C.T.R, limitando l’indagine ad una parte soltanto della complessiva attività di controllo, che si era invece articolata in due fasi distinte, ciascuna delle quali aveva dato origine ad un autonomo avviso di accertamento – il secondo scaturito dalle indagini bancarie svolte dalla Guardia di Finanza -, si è posta in contrasto con quanto dispone l’art. 43, comma 4, del
D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis , secondo cui l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate entro il termine ( ordinario o raddoppiato) previsto dalla legge a pena di decadenza ai commi precedenti.
Di contro, ove ritenuto operante l’istituto del raddoppio dei termini in relazione ai fatti contestati con il P.V.C. del 2009, secondo i parametri interpretativi fissati da questa Corte nell’ordinanza n. 28880/2021, il medesimo termine raddoppiato dovrà valere anche per gli eventuali ulteriori accertamenti integrativi relativi allo stesso anno di imposta (cfr. Cass. n. 5501/2022), purchè notificati, come in effetti è stato nel caso in esame, entro il 31.12.2015, ciò a prescindere dalla sussistenza o meno di autonomi profili di responsabilità penale, essendosi il termine raddoppiato sostituito una volte per tutte a quello originario.
5.Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: in presenza dei presupposti per il raddoppio dei termini ex art. 43 del d.p.r. n. 600/73, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con legge n. 208/2015, l’istituto opera anche in relazione agli eventuali accertamenti integrativi ex art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, relativi al medesimo anno di imposta, a prescindere dalla sussistenza o meno di autonomi profili di responsabilità penale.
6.Il ricorso va, pertanto, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria affinchè, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.