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Raddoppio termini accertamento: IRES, IVA e IRAP

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 33908/2024, ha chiarito i limiti di applicazione del raddoppio termini accertamento in materia fiscale. Il caso riguardava una società che aveva ricevuto un avviso di accertamento integrativo per il 2008, basato su elementi emersi da un’indagine penale. La Corte ha accolto parzialmente il ricorso del contribuente, stabilendo che il raddoppio dei termini è legittimo per IRES e IVA, in quanto violazioni a esse relative possono avere rilevanza penale, ma non per l’IRAP, le cui infrazioni non sono presidiate da sanzioni penali. La decisione ha quindi annullato l’accertamento limitatamente all’IRAP per intervenuta decadenza dei termini.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio Termini Accertamento: La Cassazione Distingue tra IRES, IVA e IRAP

Con una recente e significativa ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento sul raddoppio termini accertamento, specificando i confini applicativi di questo istituto in relazione ai diversi tributi. La decisione analizza la legittimità di un avviso di accertamento emesso oltre i termini ordinari, basato su elementi emersi da un procedimento penale. La Corte ha stabilito un principio dirimente: il raddoppio è valido per IRES e IVA, ma non per l’IRAP, in quanto le violazioni relative a quest’ultima non sono penalmente rilevanti. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per contribuenti e professionisti del settore.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata si è vista notificare nel 2015 un avviso di accertamento integrativo relativo all’anno d’imposta 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’inesistenza soggettiva di alcuni acquisti, recuperando a tassazione l’IVA e disconoscendo la deducibilità dei relativi costi ai fini IRES e IRAP.
L’atto impositivo era ‘integrativo’ rispetto a uno precedente e si fondava su ‘nuovi elementi’ derivanti da un procedimento penale avviato presso la Procura della Repubblica. Poiché l’accertamento era stato notificato oltre i termini ordinari di decadenza, l’Ufficio aveva applicato il cosiddetto ‘raddoppio dei termini’, previsto in caso di violazioni fiscali che integrano anche un reato.
La società ha impugnato l’atto, contestando sia la legittimità dell’accertamento integrativo (sostenendo che non vi fossero ‘nuovi elementi’) sia, soprattutto, l’illegittima applicazione del raddoppio dei termini, che aveva consentito all’Ufficio di agire oltre i tempi previsti.

Il raddoppio termini accertamento nel giudizio di Cassazione

Dopo due gradi di giudizio sfavorevoli, la società ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su diversi motivi. I punti centrali della controversia vertevano sulla legittimità dell’accertamento integrativo e sull’applicazione del raddoppio termini accertamento.

La questione dei nuovi elementi per l’accertamento integrativo

Il contribuente sosteneva che l’accertamento integrativo fosse illegittimo perché fondato su documentazione già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria al momento del primo accertamento. La Corte, tuttavia, ha rigettato questa tesi, chiarendo che gli elementi emersi nell’ambito di un procedimento penale, autorizzati all’uso in sede fiscale dall’Autorità Giudiziaria, costituiscono ‘nuovi elementi’ a tutti gli effetti. La conoscenza di tali elementi, anche se basati su documenti contabili preesistenti, è ‘sopravvenuta’ per l’ufficio accertatore e giustifica l’emissione di un atto integrativo.

Raddoppio termini per IRES e IVA, ma non per l’IRAP

Il motivo di ricorso più importante, e parzialmente accolto, riguardava l’applicazione del raddoppio termini accertamento. La società lamentava che l’Amministrazione Finanziaria avesse illegittimamente esteso i termini, in assenza di una tempestiva trasmissione della notizia di reato. La Cassazione ha ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, confermando che, per la normativa applicabile ai fatti (anteriore alle riforme del 2015), il raddoppio era legato al solo ‘obbligo’ di denuncia penale, non alla sua effettiva presentazione. Di conseguenza, per IRES e IVA, imposte le cui violazioni possono configurare reati, il raddoppio era legittimo.
Tuttavia, la Corte ha specificato che lo stesso principio non poteva valere per l’IRAP. Il raddoppio dei termini, infatti, si applica solo quando la violazione fiscale ha anche rilevanza penale. Poiché le disposizioni normative sull’IRAP non sono presidiate da sanzioni penali, l’Amministrazione non poteva beneficiare di un termine più lungo per l’accertamento di questo specifico tributo.

La motivazione della sentenza e la prova presuntiva

Infine, la società contestava la nullità della sentenza di secondo grado per motivazione apparente, sostenendo che i giudici avessero recepito acriticamente le tesi dell’Ufficio senza un’adeguata valutazione delle prove. Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la motivazione dei giudici di merito fosse sufficiente a ricostruire l’iter logico-giuridico della decisione, basata sulla discrepanza tra dati contabili e bilancio e sulla mancata fornitura di prove contrarie da parte del contribuente, in linea con il principio dell’onus probandi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un’attenta distinzione dell’ambito applicativo del raddoppio dei termini. Ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui il presupposto per l’estensione dei termini di accertamento è l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato tributario. Questo legame tra accertamento fiscale e potenziale illecito penale giustifica il maggior tempo a disposizione dell’Amministrazione per le verifiche.
Nel caso specifico, le contestazioni relative a IRES e IVA (per l’uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti) rientravano in fattispecie penalmente rilevanti ai sensi del D.Lgs. 74/2000. Pertanto, per questi tributi, l’applicazione del raddoppio dei termini è stata considerata corretta.
Al contrario, la Corte ha evidenziato che nessuna norma penale sanziona le violazioni in materia di IRAP. L’assenza di un presidio penale fa venir meno il presupposto stesso per l’applicazione del raddoppio dei termini. Ne consegue che l’azione accertatrice per l’IRAP, essendo stata esercitata oltre il termine ordinario di decadenza, era illegittima. La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata su questo punto, accogliendo il ricorso del contribuente limitatamente all’IRAP.

Le Conclusioni

La pronuncia della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, stabilisce in modo netto che il raddoppio termini accertamento non è un istituto applicabile indistintamente a tutti i tributi, ma solo a quelli per i quali le violazioni possono integrare un reato. Questo principio tutela il contribuente da un’estensione ingiustificata dei poteri di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria per imposte come l’IRAP. In secondo luogo, conferma la legittimità dell’accertamento integrativo basato su prove emerse in sede penale, rafforzando gli strumenti a disposizione del Fisco per contrastare l’evasione. Infine, la decisione ribadisce che, pur con le modifiche normative successive, per gli avvisi notificati prima del 2015, ciò che rileva ai fini del raddoppio è la mera esistenza dell’obbligo di denuncia e non il suo effettivo adempimento entro i termini ordinari.

Il raddoppio dei termini di accertamento si applica anche all’IRAP?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il raddoppio dei termini non può trovare applicazione per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali, a differenza di quanto accade per IRES e IVA.

Per applicare il raddoppio dei termini, la denuncia penale deve essere trasmessa entro i termini ordinari di accertamento?
No. Secondo la disciplina applicabile al caso in esame (anteriore alle riforme del 2015), il raddoppio dei termini era giustificato dalla sola sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorgesse o venisse adempiuto.

Un accertamento integrativo può basarsi su prove scoperte durante un’indagine penale?
Sì. La Corte ha affermato che le violazioni emerse nell’ambito di un procedimento penale costituiscono ‘nuovi elementi’ che legittimano l’emissione di un avviso di accertamento integrativo, anche se la documentazione contabile di base era potenzialmente già nota ad altre amministrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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