Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32052 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32052 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5267/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 3653/24/14 depositata il 04/07/2014.
Udita la relazione svolta nella PUBBLICA UDIENZA del l’ 11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 3653/24/14 del 04/07/2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 111/25/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE nei confronti di due avvisi di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA relative agli anni d’imposta 2002 e 2003 .
1.1. Come emerge dagli atti di causa, con gli avvisi di accertamento veniva contesta alla società contribuente l’indebita deduzione di costi e l’indebita detrazione dell’IVA conseguenti all’utilizzazione di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE (di seguito WCS) e da RAGIONE_SOCIALE (di seguito SRA), ritenute soggettivamente inesistenti.
1.2. La CTR accoglieva l’appello di AE, evidenziando che: a) sebbene i costi potevano essere dedotti anche con riferimento ad operazioni soggettivamente inesistenti, tuttavia la società contribuente ne doveva provare la certezza e l’inerenza e delle stesse non vi era prova; b) le due società estere erano soggetti privi di operatività, uffici e dipendenti, sicché nessuna ragione aveva RAGIONE_SOCIALE di effettuare pagamenti nei loro confronti; c) il raddoppio dei termini di accertamento conseguenti alla pendenza di un procedimento penale riguardava anche l’IRAP .
Avverso la sentenza di appello RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso COGNOME deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto la nullità dell’atto impositivo in ragione della mancata produzione in giudizio della denuncia di reato, legittimante il raddoppio dei termini, che ha originato un procedimento penale al quale la società contribuente è rimasta del tutto estranea. Né potrebbe dirsi che l’Ufficio abbia criticamente valutato un processo verbale di constatazione trasmesso dai verificatori prima alla Procura della Repubblica e poi ad AE.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto la sussistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento nonostante l’utilizzo palesemente pretestuoso della notizia di reato da parte di AE, non essendosi verificata la fattispecie delittuosa contestata ed essendosi, comunque, il reato già prescritto al momento della sua trasmissione alla Procura delle Repubblica.
1.2. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che il raddoppio dei termini riguardi anche l’IRAP.
1.3. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che il raddoppio dei termini riguardi anche l’IVA.
I superiori quattro motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, riguardando questioni tra di loro connesse.
2.1. Con riferimento al raddoppio dei termini per l’accertamento, la CTR ha affermato che : a) non è messa in discussione l’esistenza del procedimento penale da cui deriva il raddoppio e la mancata allegazione della notitia criminis non è idonea ad inficiare la regolarità procedurale; b) dal procedimento penale sono emersi reati di cui è stata investita l’Autorità giudiziaria nello svolgimento di un compito istituzionale, senza che ci siano stati strumentalizzazioni o abusi; c) una volta sussistente il presupposto per la proroga dei termini, l’accertamento può essere effettuato sull’intera posizione fiscale del contribuente e non soltanto in relazione ai fatti aventi rilevanza penale; d) ciò vale non solo per le imposte dirette e l’IVA, ma anche per l’IRAP.
2.2. Orbene, le affermazioni della CTR, fatto salvo quanto subito si dirà con riferimento all’IRAP, sono conformi all’orientamento giurisprudenziale formatosi sulla questione.
2.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile ratione temporis , sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (anche se questa non sia stata materialmente presentata, sia stata archiviata o presentata oltre i termini di decadenza), prescindendo dall’esito del giudizio penale (che può, dunque, concludersi con la prescrizione o l’estinzione del reato per altra causa) e, quindi, dalla concreta rilevanza penale della condotta, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche
introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. n. 29988 del 13/10/2022; Cass. n. 27250 del 15/09/2022; Cass. n. 24576 del 09/08/2022; Cass. n. 22337 del 13/09/2018; Cass. n. 11620 del 14/05/2018; Cass. n. 26037 del 16/12/2016; Cass. n. 16728 del 09/08/2016; Cass. n. 11171 del 30/05/2016; Cass. n. 22587 del 11/12/2012).
2.3.1. Il superiore indirizzo giurisprudenziale, che tiene conto di Corte cost. n. 247 del 2011, è ampiamente consolidato e implica che « ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario » (Cass. n. 13481 del 02/07/2020).
2.3.2. Peraltro, « il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali » (Cass. n. 10483 del 03/05/2018; conf. Cass. n. 4742 del 24/02/2020; Cass. n. 14204 del 24/05/2019; Cass. n. 10973 del 18/04/2019; Cass. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 28713 del 09/11/2018).
2.4. Applicando i superiori principi al caso di specie, deve ritenersi che l’accertamento per cui è controversia è stato tardivamente notificato con riferimento alla ripresa IRAP, con conseguente accoglimento del quarto motivo di ricorso, mentre è del tutto legittimo per le altre imposte.
2.5. Non v’è alcuna necessità di produzione o di valutazione della denuncia penale formulata, essendo pacifico che un procedimento
penale è stato iniziato. Né rileva l’eventuale insussistenza del reato o la sua prescrizione, essendo tali valutazioni rimesse al giudice penale. I primi due motivi sono, pertanto, palesemente infondati.
2.6. Infine, con riferimento alla ripresa IVA, non può in astratto escludersi l’obbligo di denuncia penale nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti: il contribuente in regime cd. di reverse charge non è legittimato alla detrazione dell’IVA e, pertanto, non è escluso che l’autofatturazione operata da RAGIONE_SOCIALE possa integrare il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, essendo , come già ricordato, la valutazione della effettiva sussistenza dello stesso rimessa al giudice penale (cfr. Cass. n. 13481 del 2020, cit.). Ne consegue che anche il quinto motivo va ritenuto infondato.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi TUIR) e dell’art. 8 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella l. 26 aprile 2012, n. 44, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto i costi dedotti non inerenti, legando la propria valutazione alla circostanza che gli stessi siano stati sostenuti con riferimento a servizi resi da soggetti inesistenti. Non essendo contestato che il costo per detti servizi sia stato reso, il giudice di appello non avrebbe potuto ritenere l’insussistenza dell’inerenza.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. È noto che, in materia di fatture emesse per operazioni inesistenti, la deducibilità dei costi va verificata alla luce dell’art. 8 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella l. 26 aprile 2012, n. 44.
3.2.1. I l comma 1 della menzionata disposizione ha sostituito l’art. 14, comma 4 bis , della l. n. 537 del 1993, nel modo che segue: «Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo
unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 cod. proc. pen., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 del citato codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 cod. pen.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 cod. proc. pen., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 cod. proc. pen., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
3.2.2. Con riferimento ai costi per operazioni soggettivamente inesistenti, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati -di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) -non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi
stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016; Cass. n. 27566 del 2018, cit.; Cass. n. 32587 del 12/12/2019; Cass. n. 4645 del 21/02/2020).
3.3. Nel caso di specie, la CTR non si è limitata ad escludere l’inerenza in relazione alla soggettiva inesistenza dei cedenti i servizi, ma ha affermato che la società contribuente, sulla quale grava il relativo onere, ha omesso di fornire la prova non solo dell’inerenza, ma anche della certezza di detti costi; con ciò compiendo un accertamento di fatto che non è messo in discussione dal vizio di violazione di legge proposto dalla ricorrente.
Con il sesto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., omessa pronuncia in ordine alle osservazioni mosse con riferimento alle violazioni concernenti l’IVA, assolta in regime di reverse charge dalla stessa società contribuente.
4.1. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la nullità ella sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso motivazione apparente in ordine alla legittimità della ripresa IVA.
I motivi possono essere unitariamente considerati e sono infondati.
5.1. La motivazione della CTR, che riconosce espressamente la legittimità della ripresa IVA da parte di AE, non è né omessa e nemmeno apparente, anche se la questione va precisate nei termini che seguono.
5.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di IVA, e con riguardo al regime del “reverse charge” o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA » (Cass. n. 4250 del 10/02/2022; si vedano anche Cass. S.U. n. 22727 del 20/07/2022; Cass. n. 20419 del 14/07/2023, emessa proprio con riferimento ad altra causa tra le medesime parti e alla cui ampia motivazione integralmente si rimanda).
5.3. Nel caso di specie, la CTR ha accertato che le operazioni poste in essere da RAGIONE_SOCIALE, in regime di inversione contabile, sono soggettivamente inesistenti. Ne deriva, pertanto, che, in applicazione dei superiori principi, deve escludersi che la controricorrente possa detrarre l’IVA concernente dette fatture, anche in ragione della mancata allegazione della buona fede.
Resta da esaminare il profilo sanzionatorio, concernente l’applicabilità dello ius superveniens , sul quale ha dedotto la società contribuente con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
6.1. La questione è stata oggetto di un contrasto giurisprudenziale composto dalla recente Cass. S.U. n. 22727 del 2022, cit., la quale ha ritenuto che il regime sanzionatorio più favorevole, sancito dalla parte finale dell’art. 6, comma 9bis .3, del d.lgs. n. 471 del 1997, per le
operazioni inesistenti soggette al regime contabile del reverse charge , attiene esclusivamente alle operazioni che siano anche astrattamente esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, e a quelle che, pur imponibili, siano state realizzate in buona fede, ma non anche alle operazioni imponibili oggettivamente e soggettivamente inesistenti, qualora ne sia stato provato l’elemento psicologico.
6.2. In tale ultimo caso (che è poi quello oggetto del presente giudizio) trova applicazione la sanzione prevista dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, finalizzata ad osteggiare le condotte potenzialmente destinate alla realizzazione di intenti frodatori ed evasivi mediante l’esercizio della detrazione in assenza dei requisiti sostanziali.
6.3. Spetterà, dunque, al giudice del rinvio la valutazione in ordine alla sanzione concretamente applicabile.
In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto nonché all’applicazione delle sanzioni e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche con riferimento all’aspetto sanzionatorio e alle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.