Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
Indagini finanziarie- Scudo fiscale- Art. 13bis d.l. 78/2009- Preclusione- Notifica del questionario- Idoneità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11788/2016 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 9858/2015, depositata in data 10/11/2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/03/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento parziale n. TF7010904745/2013, relativo all’anno di imposta 2007, l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione nei confronti di NOME COGNOME un maggior reddito a fini Irpef, Irap e Iva, determinato a seguito di indagini finanziarie.
Il contribuente impugnava tempestivamente l’atto dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta (C.T.P.), la quale rigettava il ricorso.
La Commissione tributaria regionale della Campania (C.T.R.), adita dal contribuente, riformava parzialmente la sentenza di primo grado. I giudici in particolare, preso atto che nelle more del giudizio era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale del 6 ottobre 2014, n. 228, con la quale era stata dichiarata la parziale incostituzionalità dell’art. 32, comma 2, n. 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, statuivano che i prelevamenti riscontrati sul conto corrente intestato al contribuente non potevano comunque concorrere a formare il maggior reddito da lavoro autonomo accertato in capo allo stesso, così accogliendo sul punto l’appello.
I restanti motivi venivano invece rigettati. Nello specifico, con riferimento all ‘eccezione di intervenuta decadenza dell’avviso, i giudici d’appello ritenevano irrilevante l ‘omessa allegazione all’accertamento della denuncia e la mancata invocazione del cd. raddoppio dei termini da parte dell’Amministrazione finanziaria ; con riferimento alla mancata allegazione all’avviso di accertamento del questionario notificato Q00184/2009 e richiamato in avviso , ritenevano infondata la dedotta violazione dell’art. 7 della legge 7 luglio 2000, n. 212, trattandosi di atto già notificato alla parte contribuente e quindi nella di lei
disponibilità; infine ritenevano infondata la questione concernente la opposizione dello scudo fiscale ritenuto inapplicabile a causa della già intervenuta notificazione del questionario citato, sul rilievo per cui la notifica del questionario integra l’esatto inizio di un’attività di accertamento tributario e non un atto propedeutico alla medesima.
Ricorre per la cassazione della sentenza NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi.
L ‘Agenzia delle
Entrate resiste con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 05/03/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 , n. 600 e dell’art. 57 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificati dall’art. 37 l. 4 luglio 2006, n. 223, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.; censura la ritenuta legittimità, da parte dei giudici di appello, del raddoppio dei termini di decadenza dell’azione accertatrice in conseguenza delle violazioni aventi natura penale, in quanto la denuncia non era allegata all’avviso di accertamento; deduce inoltre che il raddoppio non è applicabile all’IRAP, pure oggetto di ripresa.
1.1. Il motivo è fondato solo in riferimento all’IRAP .
L’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , prevede che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione». Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, la configurabilità del reato che importa l’obbligo di denuncia, indipendentemente dall’effettiva
presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. n. 17586/2019; Cass. n. 22337/2018; Cass. n. 11171/2016), non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (Cass. n. 9974/2015; Cass. n. 9322/2017).
Ancora, «in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento» (Cass. n. 23628/2017).
Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Per verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità», con la
precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
Ne consegue che la censura sollevata dal ricorrente è priva di fondamento, poiché si basa su un presupposto errato, ovvero la necessità di una specifica allegazione della denuncia all’avviso di accertamento, denuncia che peraltro, come evidenziato dal giudice d’appello, è stata prodotta in giudizio a seguito della proposizione dell’eccezione di decadenza.
Il motivo è invece fondato in riferimento all’IRAP.
Il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento ad essa, poiché non è un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali (Cass. n. 20435/2017; Cass. n. 4775/2016; Cass. n. 23629/2017).
Con il secondo motivo NOME COGNOME deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 7 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. , censurando la mancata allegazione all’avviso di accertamento sia dell’invito a produrre giustificazioni che del questionario, il che avrebbe precluso al giudice la verifica della fondatezza della pretesa impositiva.
2.1. Il motivo è infondato.
Secondo costante giurisprudenza di questa Corte l’accertamento c.d. per relationem , che fa riferimento ad atti non allegati, è legittimo purché gli atti siano conosciuti o conoscibili dal contribuente (Cass. n. 18073/2008); la norma citata, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende riferirsi ad atti di cui il
contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 29968/2019; Cass. n. 15327/2014).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha peraltro censurato la statuizione della CTR che assume come notificati detti atti.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 -bis d.l. n. 78/2009, convertito nella l. n. 102/2010, nella parte in cui richiama l’art. 14 d. l. 25 settembre 2001, n. 350, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ; critica la sentenza nella parte in cui non considera che il ricorso al c.d. scudo fiscale da parte del contribuente era intervenuto in data antecedente al l’inizio dell’attività accertativa ; non può considerarsi tale l’invio del quest ionario, poichè esso faceva riferimento a redditi diversi da quelli poi divenuti oggetto dell’accertamento impugnato.
3.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
In materia di scudo fiscale, la presentazione della dichiarazione riservata di cui all’art. 13bis d.l. n. 78 del 2009, conv. in l. n. 102 del 2009, non è preclusiva del potere di accertamento tributario ove il contribuente, alla data di presentazione della stessa, avesse già, ai sensi dell’art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001, conv. in l. n. 409 del 2001, «formale conoscenza» dell’avvio dell’attività di accertamento; tale condizione non si esaurisce nella «formale notifica» di un atto ma ricorre anche nel caso del compimento di attività – quali, tra l’altro, gli accessi, le ispezioni, le verifiche, la partecipazione al contraddittorio, l’invio e la risposta a questionari, le acquisizioni probatorie ed istruttorie – che abbiano coinvolto il contribuente e si siano tradotte in atti del procedimento specifici e di contenuto pertinente – la cui valutazione è di competenza del giudice di merito – all’accertamento medesimo (Cass. n. 21697/2020; Cass. n. 1321/2022).
La CTR, con accertamento in fatto, ha verificato esattamente il ricorrere di tale circostanza mentre il motivo di ricorso evidenzia un
elemento, cioè che il questionario facesse riferimento a redditi diversi da quelli poi divenuti oggetto di accertamento, che non solo non è riconducibile al dedotto vizio di violazione o falsa applicazione di legge, bensì alla ricostruzione in fatto della fattispecie concreta, ma senza neanche indicare in quale sede o fase processuale abbia dedotto tale circostanza; dalla stessa trascrizione del motivo del ricorso originario del contribuente, contenuta a pagina 12 del ricorso, emerge infatti che l ‘ originaria doglianza era diversa ed era connessa alla inidoneità del questionario a costituire atto di verifica rilevante ai sensi delle predette disposizioni.
Con il quarto motivo il ricorrente invoca la rideterminazione delle sanzioni, in considerazione della modifica al l’art. 1 d. lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997 ad opera dell’art. 15 d. lgs. del 24 settembre 2015, n. 158, che, intervenuto nelle more del giudizio, ha previsto una sanzione amministrativa comminabile nella fattispecie più contenuta rispetto a quella applicata a suo tempo al contribuente.
4.1. Il motivo è fondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in materia di sanzioni amministrative tributarie, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015 e vigente dal 1° gennaio 2016, è applicabile ai procedimenti in corso, in forza del principio del favor rei di cui all’art. 3 d. lgs. 5 dicembre 1997, n. 472, a condizione che il processo sia ancora in corso e che perciò non sia ancora definitiva la parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (cfr., tra le altre, Cass. n. 8716/2021; Cass. n. 32740/2024; Cass. n. 25809/2024).
Né può essere esclusa la fondatezza della richiesta alla luce della generica affermazione della difesa erariale secondo la quale l’ufficio, in sede di iscrizione a ruolo, procede sempre al ricalcolo delle sanzioni.
In conclusione, il ricorso è fondato unicamente per le ragioni attinte dal primo motivo, in relazione all’Irap, e al quarto motivo; la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito, in diversa composizione, per nuovo esame e perché valuti l’applicazione del ricalcolo delle sanzioni alla luce della disciplina favorevole, applicabile anche retroattivamente.
P.Q.M.
accoglie il primo, nei termini indicati, e il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 05/03/2025.