Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15195 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15195 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13737/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME O (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 668/2016 depositata il 09/02/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dalla
Consigliera NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc: CTR), con la sentenza n. 668/2016 depositata in data 09/02/2016, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 1949/2015 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva accolto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione contro l’avviso di accertamento avente per oggetto la ripresa a titolo di IVA per l’anno 2004.
Il fulcro della motivazione con la quale la CTR ha respinto l’appello si incentra sulla questione inerente al cd. raddoppio del termine di cui all’art. 37 d.l. n. 223 del 2006. Difatti, nel caso di specie l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004 è stato notificato in data 16/12/2011. La CTR ha ritenuto fondate le contestazioni del contribuente rilevando che:
-l’amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE era deceduto e non era stato comunque citato nell’avviso di accertamento impugnato, dove non è indicato neppure il nomen del reato, né fatto alcun cenno alla denuncia all’autorità giudiziaria, in mer ito alla quale non risulta depositata neppure una copia;
il giudice tributario -alla luce di quanto precisato da C. cost. n. 247 del 2011 -deve compiere una valutazione « ora per allora » e accertare se l’amministrazione abbia agito con imparzialità o se abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni per fruire ingiustificatamente del più ampio termine di accertamento;
-l’amministrazione finanziaria, sia nell’avviso di accertamento che negli atti difensivi, non dice niente in ordine alla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 37, commi da 24 e 26, cit. e non prova, neppure in appello, la ricorrenza dell’obbligo di denuncia ai sensi e per gli effetti dell’art. 331 c.p.p., considerate le circostanze evidenziate dal contribuente (decesso dell’amministratore, omessa indicazione della fattispecie di reato e della presentazione, o meno, denuncia davanti all’autorità giudiziaria, fino all’omessa allegazione della denuncia stessa.
2.1. La CTR ha, quindi, concluso che, nel caso di specie, il giudice tributario non fosse stato messo nelle condizioni di poter operare il dovuto riscontro dei presupposti di legge per difetto della relativa prova di cui resta onerata l’amministrazione finanziaria. Inoltre, la legislazione più recente introduce limiti più rigorosi all’applicaz ione del termine per l’accertamento. Se è vero che l’art. 2 d.lgs. n. 128 del 2015 non ha efficacia retroattiva, è altrettanto vero -ad avviso della CTR -che con la nuova disposizione il legislatore ha inteso recepire proprio l’atteggiamento più rigoroso dei giudici di merito che ancorava il raddoppio all’effettività della presentazione della denuncia alla circostanza che la stessa fosse presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 24321/2023 depositata in data 09/08/2023 questa Corte ha disposto la sospensione del giudizio e il rinvio a nuovo ruolo a seguito dell’istanza presentata dalla società contribuente, in data 22/05/2023.
L’Agenzia delle Entrate, con istanza depositata in data 24/06/2024, ha chiesto la fissazione dell’udienza, rilevando che la Direzione
INDIRIZZO di Roma aveva comunicato che la causa non risultava interessata da domande di definizione della controversia ex art. 1 d.l. n. 197 del 2022.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare occorre rilevare che, in ragione della mancata produzione della documentazione relativa alla definizione agevolata ex art. 1 legge 23/12/2022, n. 197 e della precisazione dell’Agenzia delle Entrate e del mancato riscontro da parte della Direzione Provinciale 1 di Roma dell’istanza di definizione agevolata, deve essere deciso il ricorso, non venendo, pertanto, in rilievo la questione relativa all’interpretazione dell’art. 1, comma 236, legge n. 197 cit. oggetto dell’ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite 05/03/2025, n. 5830.
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell’art. 57, comma 3, d.P.R. 26/10/197 2, n. 633 nella versione applicabile ratione temporis , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. La parte ricorrente censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, dove si afferma che nell’atto impositivo l’ufficio « nulla dice, chiarisce, comprova in ordine alla configurabilità, nella specie, dell’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74», con la conseguenza che il giudice non è stato messo nelle condizioni di fare il riscontro di legge sulla sussistenza dell’obbligo di denuncia. Tale affermazione è chiarita da l successivo riferimento al decesso dell’amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, all’omessa citazione nell’avviso di accertamento del nome del reato, all’omessa indicazione dell’avvenuta (o meno) denuncia dell’autorità giudiziaria, all’omessa allegazione dell’eventuale denuncia. Tuttavia,
l’operatività del raddoppio dei termini di accertamento è condizionata solamente al fatto che l’ufficio impositore, in sede di motivazione dell’avviso di accertamento, delinei e comprovi l’esistenza degli estremi che concretizzano un reato tributario, consentendo al giudice di non svolgere una prognosi postuma in ordine alla sussistenza degli estremi del reato e, quindi, dell’esistenza dell’obbligo di denuncia. Tale requisito non è, tuttavia, necessario, dal momento che il giudice tributario può ben valutar e se dall’atto impositivo emergano o meno con sufficiente chiarezza gli elementi del reato da denunciare.
2 .2. Allo stesso tempo è altresì irrilevante il fatto che l’ufficio non abbia materialmente adempiuto all’obbligo di denuncia, considerata la formulazione dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1973 applicabile, ratione temporis, al caso in esame. Tale norma è stata, peraltro, interessata da una pronuncia della Corte costituzionale che ha escluso i dubbi di incostituzionalità in ordine ai termini raddoppiati (C. cost. n. 247 del 2011). In sostanza, ciò che rileva, ai sensi dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 per il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario è la sussistenza di un obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. e, quindi, l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato (Cass., 07/10/2015, n. 20043).
Il ritardo o l’omissione di denuncia assumono rilevanza sotto il profilo della responsabilità penale del pubblico ufficiale e non, invece, sotto quello dell’operatività del raddoppio. Anche la presenza di cause estintive del reato non incide sull’obbligo di denuncia e, quindi, sull’operatività del raddoppio dei termini, trattandosi di circostanze il cui vaglio è riservato al giudice penale.
2 .3. L’art. 2, d.lgs. 05/08/2015, n. 128 secondo il quale il raddoppio non opera quando la denuncia sia trasmessa o presentata oltre la scadenza ordinaria dei termini -precisa, al comma 3, che: « sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei
provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valre una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati lala data di entrata in vigore del presente decreto.»
Successivamente, l’art. 1, legge 28/12/2015, n. 208, con il comma 130, ha espunto dal testo dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 il riferimento al raddoppio dei termini e, con il comma 132, ha stabilito che: « Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente artic olo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5 -quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni. » Contrariamente a quanto ritenuto
dalla CTR, l’innovazione introdotta rende ragione del fatto che la normativa previgente sul raddoppio dei termini di accertamento, in presenza di reati tributari non condiziona l’operatività di tale raddoppio. 2.4. Il motivo di ricorso è fondato.
Nel caso in esame trova applicazione, ratione temporis , la versione dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui: « In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. »
Questa Corte ha rilevato che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., nella legge n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass., 10/01/2025, n. 666).
Il raddoppio dei termini, nel testo dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 vigente ratione temporis , consegue, poi, al mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato,
anche se l’azione penale non è perseguita o è intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass., 10/01/2025, n. 600; Cass., 28/06/2019, n. 17586).
In ordine ai fatti di rilievo penale che determinano il sorgere dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. occorre richiamare quanto precisato dalla Corte costituzionale, secondo cui: « Il giudice tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta ‘prognosi postuma’) circa la loro ricorr enza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un piú ampio termine di accertamento. È opportuno precisare che: a) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare detti presupposti è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal censurato terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972; b) il correla tivo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario -è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato; c) gli eventuali limiti probatori propri del processo tributario hanno, pertanto, una ridotta incidenza nella specie e, comunque, non costituiscono oggetto delle sollevate questioni. » (C. cost. 25/07/2011, n. 247).
Dalla pronuncia della Corte costituzionale emerge come il sindacato ex post del giudice tributario non presupponga un’analitica individuazione delle ipotesi di reato da parte dell’amministrazione, ma richieda, semmai, un motivo di impugnazione articolato dal contribuente, circa l’eventuale uso pretestuoso delle disposizioni concernenti il raddoppio
dei termini. Di conseguenza, nella prospettiva del giudice costituzionale la questione si inquadra nell’esercizio del diritto di difesa del contribuente a fronte dell’esercizio del potere impositivo (non nei termini ordinari, ma) in quelli speciali disciplinati nella formulazione dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 applicabile al caso di esame, senza determinare alcun appesantime nto dell’onere motivazionale da parte dell’amministrazione finanziaria che evochi la disposizione speciale che consente, in virtù dell’astratta configurazione di un’ipotesi di reato, l’emissione dell’atto impositivo oltre quelli che sarebbero i termini ordinari di legge.
Non assumono, poi, valore eventuali cause di estinzione del reato, che, se assumono rilievo in ambito penale, non intaccano il presupposto che radica l’applicazione della norma speciale (art. 57, comma 3, cit.) rispetto a quella ordinaria altrimenti applicabile (art. 57, comma 1, cit. ).
La sentenza impugnata è quindi errata, dal momento che si è ancorata a un dato meramente formale e cioè la mancata indicazione della fattispecie di reato nell’avviso di accertamento in cui veniva, comunque, dato atto della ricorrenza di un’ipotesi che imponeva l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., senza verificare in concreto (secondo il principio iura novit curia), la ricorrenza di una delle ipotesi di reato disciplinate nel d.lgs. n. 74 del 2000.
Il primo motivo di ricorso deve, quindi, ritenersi fondato.
Con il secondo motivo è stata denunciata, in via subordinata, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per travisamento delle prove in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c.
3 .1. La ricorrente espone che l’ufficio a pag. 6 dell’avviso di accertamento dava atto che nel caso di specie ricorrevano i presupposti di cui all’art. 37, commi 24 -26, d.l. n. 223 del 2006 che disciplinano i termini di accertamento di cui all’art. 43 d.P.R . n. 600 del 1973 e 57
d.P.R. n. 633 del 1972, fissandoli nel doppio dell’ordinario del termine di decadenza per l’azione di accertamento. L’ufficio aveva evidenziato che le modalità di cessione del compendio immobiliare rivelavano intenti fraudolenti o comunque evasivi collegati a incrementi di crediti IVA e conseguenti richieste di rimborso. In particolare, quello chiesto da RAGIONE_SOCIALE, per l’annualità 2002 (pari a Euro 7.516.457,00) derivante dall’IVA relativa all’acquisto del compendio immobiliare fatto da NOME RAGIONE_SOCIALE riguardava un immobile strumentale, formalmente ceduto, nell’arco temporale di circa un anno, da RAGIONE_SOCIALE ad NOME RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima a RAGIONE_SOCIALE, ma di fatto retrocesso nella disponibilità del venditore (NOME RAGIONE_SOCIALE) anziché dell’acquirente (RAGIONE_SOCIALE).
RAGIONE_SOCIALE risultava essere costantemente a credito IVA (incrementato nel 2001 con l’acquisto da RAGIONE_SOCIALE). In particolare, la cessione a RAGIONE_SOCIALE nel 2002 non comportò il versamento di alcuna imposta, atteso che l’IVA dovuta di Euro 15.108.441,00 fu neutralizzata dal credito dell’anno precedente, pari a Euro 16.858.711. Di conseguenza, laddove la CTR afferma che l’avviso di accertamento « nulla dice quanto alla apoditticamente ritenuta ricorrenze, nel caso di specie in esame, dei presupposti di cui all’art. 37, commi da 24 a 26 … che disciplinano i termini di accertamento … fissando al doppio dell’ordinario termine di decadenza per l’azione dell’attività di accertamento» ha travisato il contenuto della prova documentale costituita dall’avviso di accertamento.
2. Il secondo motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
In accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria del Lazio che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria del Lazio che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 27/03/2025.