Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18046 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE successore di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’ Avv.to NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, avendo la contribuente dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore, al INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 1889, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 7.4.2017, e pubblicata il 24.6.2020;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
OGGETTO: Ires, Iva ed Irap, 2008 – Partners in paradisi fiscali -Indeducibilità -Raddoppio dei termini di accertamento – Condizioni.
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, condividendo le conclusioni di Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza, notificava alla RAGIONE_SOCIALE, cui è succeduta la RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento n. TK7031000973/2014 avente ad oggetto, ai fini Ires, Iva ed Irap, il maggior reddito ritenuto percepito nel 2008 in conseguenza della indeducibilità di taluni costi, perché relativi ad operazioni commerciali concluse con imprese residenti in c.d. paradisi fiscali.
La società impugnava l’avviso di accertamento notificatole, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, proponendo plurime censure ed in particolare, per quanto di interesse in questa sede, contestando la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di esercitare la pretesa tributaria, non potendo operare il raddoppio dei termini di accertamento. La CTP condivideva questa prospettazione della ricorrente ed annullava l’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello, avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. La CTR confermava la pronuncia dei primi giudici.
L’Agenzia delle Entrate ha introdotto ricorso per cassazione avverso la decisione adottata dalla CTR, affidandosi ad un motivo di impugnazione. La società resiste mediante controricorso.
Ragioni della decisione
Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 del Dpr n. 600 del 1973, e dell’art. 57 del Dpr n. 633 del 1972, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di esercitare la pretesa tributaria, non potendo operare il raddoppio del termine di accertamento.
La CTR scrive che ‘per gli avvisi di accertamento come quello contestato nel presente giudizio, relativo all’anno d’imposta 2008 e notificato il 18.04.2014, si impone, ai fini del raddoppio dei termini, la necessità della denuncia da parte dell’Amministrazione anche tramite gli Organi a ciò deputati -essendo stato l’atto notificato anteriormente al 31.12.2016. L’Agenzia delle entrate non ha depositato in giudizio copia di alcuna denuncia penale che potesse riguardare le indagini in esame e, quindi, i termini per l’accertamento sono scaduti’ (sent. CTR, p. 4).
La controricorrente contesta l’inammissibilità del ricorso introduttivo proposto dall’Ente impositore, che domanderebbe in realtà il riesame dell’accertamento di fatto effettuato dal giudice del gravame. La critica non risulta accoglibile, perché l’Amministrazione finanziaria censura la valutazione giuridica espressa dalla CTR delle condizioni che devono ricorrere perché possa ritenersi operante il raddoppio dei termini per la notificazione dell’avviso di accertamento, una questione di diritto, pertanto.
Tanto premesso, la pronuncia adottata dal giudice dell’appello non appare condivisibile.
Questa Corte regolatrice ha avuto occasione di chiarire che ‘in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128
del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati’ (evidenza aggiunta), Cass. sez. VI -V, 14.5.2018, n. 11620.
Si è pure specificato che ‘in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale , ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione , come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della “notitia criminis” entro il termine di decadenza ordinario)’ (evidenza aggiunta), Cass. sez. VI -V, 28.6.2019, n. 17586.
Del resto non si è mancato di ribadire, più di recente, che ‘in tema di termini di decadenza dell’accertamento tributario, previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, sugli atti impositivi notificati alla data del 2 settembre 2015 non incidono le modifiche apportate dapprima dai commi 1 e 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che hanno escluso l’operatività del raddoppio quando la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti, nonché quelle apportate dai commi 130 e 131 dell’art. 1 della l. n. 208 del 2015, che hanno determinato il venir meno della disciplina sul raddoppio, poiché la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015 fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla predetta data, mentre ai sensi dell’art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015 le modifiche recate dai commi 130 e 131 si applicano esclusivamente agli avvisi relativi al periodo d’imposta in
corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi’, Cass. sez. V, 19.9.2024, n. 25191.
4.1. Occorre però ancora specificare che, per quanto attiene al tributo dell’Irap, questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di chiarire che ‘in tema di accertamento, il cd. ‘ raddoppio dei termini ‘ , previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali’, Cass. sez. VI -V, 3.5.2018, n. 10483.
Il ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria risulta pertanto fondato, negli indicati limiti di ragione.
4.2. In sede di rinvio la CTR dovrà anche esaminare le questioni rimaste assorbite, come la ricorrenza delle condizioni perché la denuncia penale dovesse considerarsi obbligatoria.
In definitiva il ricorso deve essere accolto nei limiti esposti, cassandosi la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché proceda a nuovo esame.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie negli esposti limiti di ragione il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi accolti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20.6.2025.