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Raddoppio termini accertamento: basta il processo penale

Un accertamento fiscale basato sul raddoppio termini accertamento era stato annullato perché l’Amministrazione Finanziaria non aveva provato l’invio della denuncia penale. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che la pendenza di un procedimento penale è di per sé prova sufficiente per giustificare la proroga dei termini. Il ricorso incidentale del contribuente è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse, essendo risultato pienamente vittorioso nel grado precedente.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio Termini Accertamento: La Prova della Denuncia Non È Necessaria

In materia di raddoppio termini accertamento, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: la pendenza di un procedimento penale è di per sé una prova sufficiente per giustificare la proroga dei termini, senza che l’Agenzia delle Entrate debba dimostrare in giudizio di aver presentato la denuncia. Questa decisione chiarisce un aspetto procedurale cruciale, con importanti implicazioni sia per l’amministrazione finanziaria che per i contribuenti.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine fiscale nei confronti del tesoriere di un’organizzazione non a scopo di lucro. Secondo le autorità, l’uomo aveva distratto ingenti somme di denaro dal conto dell’ente per trasferirle sui conti correnti personali suoi e della moglie, utilizzandole per scopi privati come la ristrutturazione di un immobile. Sulla base di questi rilievi, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato al contribuente, per l’anno d’imposta 2012, un maggior reddito non dichiarato, qualificando le somme come proventi illeciti. L’atto impositivo era stato notificato nel dicembre 2018, oltre i termini ordinari di accertamento, avvalendosi appunto della proroga prevista in caso di reati tributari. Parallelamente, erano stati avviati due procedimenti penali a carico del contribuente. Il contribuente impugnava l’atto e sia il giudice di primo grado che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado annullavano l’accertamento. La motivazione era che l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito la prova della presentazione della denuncia penale, ritenuta un presupposto indispensabile per poter beneficiare del raddoppio dei termini.

Il Ricorso in Cassazione e la questione del raddoppio termini accertamento

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel richiedere la prova specifica della denuncia. Secondo l’Amministrazione, la semplice esistenza di procedimenti penali, emersi nel corso delle indagini tributarie e documentati negli atti processuali, era sufficiente a dimostrare la sussistenza dei presupposti per il raddoppio termini accertamento. Il contribuente, a sua volta, ha proposto un ricorso incidentale, lamentando che i giudici d’appello avessero dichiarato inammissibile e assorbito il suo appello incidentale (relativo ad altre questioni, come la violazione del contraddittorio preventivo) con una motivazione troppo generica.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate. I giudici hanno affermato che, ai fini della proroga dei termini di accertamento, non è necessaria la prova in giudizio della specifica comunicazione della notizia di reato da parte dell’Agenzia. Se è pendente un procedimento penale e le informative della polizia giudiziaria sono state acquisite, queste circostanze sono sufficienti a giustificare l’applicazione del raddoppio dei termini. La sentenza di merito è stata quindi cassata perché non si è attenuta a questo principio, e il caso è stato rinviato alla Corte di Giustizia Tributaria per una nuova valutazione. Per quanto riguarda il ricorso incidentale del contribuente, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Il motivo risiede nella carenza di interesse ad agire: il contribuente era risultato pienamente vittorioso nel giudizio d’appello, poiché l’atto impositivo era stato annullato. Secondo la Cassazione, una parte che vince completamente non ha titolo per impugnare la sentenza, neppure per le questioni che sono state assorbite o non esaminate. Tali questioni potranno essere riproposte davanti al giudice del rinvio, a seguito della cassazione della sentenza favorevole.

Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un punto fermo di notevole importanza pratica. Per l’applicazione del raddoppio termini accertamento, l’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a depositare in giudizio la denuncia penale che ha dato origine all’azione penale. La prova della pendenza del procedimento penale, desumibile dagli atti, è considerata sufficiente a legittimare la proroga. Questo alleggerisce l’onere probatorio per l’ente impositore e rafforza la sua posizione nei contenziosi in cui la tempestività dell’accertamento è contestata. Per i contribuenti, significa che la strategia difensiva non può più fondarsi unicamente sulla mancata produzione in giudizio della denuncia da parte del Fisco.

Per il raddoppio dei termini di accertamento, l’Agenzia delle Entrate deve provare di aver presentato una denuncia penale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se è già pendente un procedimento penale nel quale sono state acquisite informative della polizia giudiziaria, questa circostanza è sufficiente ai fini del raddoppio dei termini, non essendo necessaria un’ulteriore prova della comunicazione della notizia di reato.

Una parte che ha vinto completamente in appello può presentare un ricorso incidentale in Cassazione?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del contribuente poiché, essendo risultato pienamente vittorioso nel giudizio di appello, non aveva un interesse giuridicamente rilevante a impugnare la sentenza, neanche per le questioni assorbite o non esaminate.

Cosa succede alle questioni non esaminate in appello perché “assorbite” se la sentenza viene annullata dalla Cassazione?
La parte interessata ha la facoltà di riproporre tali questioni dinanzi al giudice del rinvio, cioè il giudice a cui la Cassazione rimanda il caso per una nuova decisione nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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