Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5131 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5131 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
Oggetto: Tributi –
Accertamento – Raddoppio dei termini – Disciplina transitoria Modifica della soglia di rilevanza penale dell’evasione prima dell’avviso di accertamento
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 1224/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione volontaria, rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso (PEC: EMAIL;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2044/20/2021, depositata il 4.06.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
– La CTP di Milano accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l ‘avviso di accertamento per l’anno 2011, con il quale erano state recuperate maggiori imposte dirette e IVA;
con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate , osservando, per quanto qui ancora rileva, che:
nel caso in esame sussistevano i presupposti per il cd. raddoppio dei termini;
alla fattispecie si applicava la nuova disciplina introdotta con il d.lgs. n. 208 del 2015 (riguardante gli avvisi di accertamento che, alla data della sua entrata in vigore, non erano stati già notificati e relativi ai periodi imposta precedenti a quelli in corso alla data del 31.12.2016), che consentiva il raddoppio dei termini ordinari, per gli accertamenti scaturenti da violazioni comportanti l’obbligo di denuncia per i reati tributari, solo nel caso in cui tale denuncia fosse presentata o trasmessa entro la scadenza del termine ordinario di accertamento;
l’Ufficio aveva presentato la denuncia in data 2.04.2015 e, quindi, entro il predetto termine;
la rilevanza delle modifiche apportate alla fattispecie di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015, consistenti nell’innalzamento delle soglie di rilevanza penale, doveva essere valutata con riferimento al momento in cui era stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, essendo irrilevante che successivamente fosse venuto meno l’obbligo di denuncia penale;
nel momento in cui la denuncia era stata trasmessa sussisteva l’obbligo di presentarla;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
l ‘A genzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione de ll’istituto del ‘raddoppio dei termini’ di cui
all’art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015 (con riferimento all’ abolitio criminis parziale dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ad opera dell’art. 4 del d.lgs. n. 158 del 2015, e in applicazione dei principi generali di successione della legge penale nel tempo, di cui all’art. 2, comma 2, cod. pen. e del tempus regit actum ), violazione e/o falsa applicazione degli artt 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che all’accertamento in esame si applicasse il cd. ‘raddoppio dei termini’, visto che, prima della scadenza del termine ordinario di accertamento, il reato alla base del raddoppio era stato abrogato; precisa che, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento (emesso in data 2.05.2018), la relativa norma penale (art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000) era stata modificata dall’art. 4 del d.lgs. n. 158 del 2015 (entrato in vigore il 22.10.2015 e, quindi, prima della scadenza del termine ordinario per l’accertamento, che era il 31.12.2016), in quanto la soglia di punibilità prevista da quest’ultima disposizione è stata elevata da 50.000 a 150.000 euro , mentre la maggiore IRES accertata nella specie ammontava ad euro 142.413,00 e la maggiore IVA ad euro 52.222,00, sicché al momento della notifica dell’avviso di accertamento non sussistevano più le condizioni che consentivano all’Amministrazione finanziaria di avvalersi del termine raddoppiato;
– con il secondo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’istituto del ‘raddoppio dei termini’ di cui all’art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015, così come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, con riferimento all’ abolitio criminis parziale dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ad opera dell’art. 4 del d.lgs. n. 158 del 2015, nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973
e 57, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato che nel caso in esame è stato fatto un uso pretestuoso del raddoppio dei termini di accertamento, nel senso indicato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, posto che l’avviso di accertamento è stato emesso solo in data 2.05.2018, nonostante alla data dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015, erano ancora pendenti i termini di ordinari di decadenza del potere di accertamento;
-con il terzo motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto sussistente un’evasione di imposta superiore ad euro 150.000,00, omettendo di esaminare la circostanza relativa alla quantificazione delle imposte evase, nel senso che erano inferiori alla predetta soglia di punibilità;
il primo e il secondo motivo, che per connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati;
occorre premettere che, in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43, del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;
come già affermato da questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri
indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza» , come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016);
nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza », applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice;
tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.);
-alla predetta disciplina sono state successivamente introdotte alcune modifiche e, segnatamente, la prima, dall’art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la
denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari; la prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015;
– quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);
-ciò premesso, poiché l’avviso di accertamento impugnato risulta notificato nel 2018, la fattispecie in esame, come ha correttamente precisato il giudice di appello, rientra nel regime transitorio previsto dalla l. n. 208 del 2015, in quanto riguarda il periodo di imposta 2011
(e, quindi, anteriore a quello in corso al 31.12.2016) e l’atto impositivo non è stato notificato entro il 2.09.2015, sicché il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera -nel caso delle indicate violazioni penali -a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel «primo periodo» del medesimo comma 132 (cioè entro il termine di 5 o 7 anni, a seconda che la dichiarazione sia stata o meno presentata), non essendo più sufficiente, in questo caso, il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia;
la CTR ha accertato che nel caso in esame, ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, la denuncia penale è stata presentata in data 2.04.2015 e, quindi, entro il termine ordinario di accertamento, per il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del
2000, quando la violazione accertata aveva ancora rilevanza penale;
ciò posto, come ha rilevato la ricorrente, la norma penale sulla base della quale era scattato il ‘raddoppio’ dei termini di accertamento, ovvero l’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 , che prevede il reato di ‘dichiarazione infedele’, è stata modificata dall’art. 4 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7/10/2015 n. 223) e tale modifica legislativa è entrata in vigore il 22/10/2015 e ciò prima della scadenza dell’ordinario termine di accertamento, che era il 31/12/2016;
– a seguito di detta modifica legislativa la soglia di punibilità prevista per la fattispecie di dichiarazione infedele dal nuovo art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 è stata elevata da 50.000 a 150.000 euro di imposta evasa e, quindi, incideva sulla rilevanza penale della fattispecie in esame, in relazione alla quale sia l’IRES che l’IVA non superavano le nuove soglie;
la ricorrente sostiene che l’Amministrazione non poteva beneficiare del ‘raddoppio’ dei termini previsti per l’accertamento, per mancanza dei relativi presupposti, in quanto l’avviso di accertamento era stato emesso in data 2.05.2018 e, quindi, oltre il termine ordinario di decadenza dal potere impositivo, quando la violazione accertata non aveva più rilevanza penale, essendo ininfl uente che l’avesse all’epoca in cui era stata trasmessa la denuncia penale (in data 2.04.2015);
come ha già affermato questa Corte, ‘In materia tributaria, la soglia di rilevanza penale di cui all’artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente “ratione temporis”, relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine ‘ (Cass. n. 13483 del 30/06/2016);
benchè la richiamata pronuncia riguardi una fattispecie diversa, in cui la rilevanza penale dell’illecito tributario era venuta meno a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, il principio affermato assume una valenza generale e risulta applicabile anche al caso in esame, nel senso che la rilevanza penale della violazione, ai fini dell’applicazione della disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata non solo con riferimento al l’epoca di commissione della violazione, ma anche in relazione al momento in cui è stato effettuato l’accertamento;
-la rilevanza penale della violazione tributaria, che consente all’Amministrazione di avvalersi del termine ‘raddoppiato’ per svolgere l’accertamento, deve sussistere , quindi, nel momento in cui è stata accertata la violazione e questo coincide con la notifica del PVC e la conseguente trasmissione della denuncia all’Autorità giudiziaria, essendo questo il momento in cui si conclude la fase di accertamento della condotta di evasione, avente rilevanza penale;
-nella specie, l’accertamento della violazione era stato effettuato prima dell ‘innalzamento della soglia di punibilità, intervenuta con l’entrata in vigore, in data 22.10.2015, della modifica legislativa, atteso che il PVC era stato notificato in data 19.03.2015 e la denuncia era stata trasmessa all’Autorità giudiziaria in data 2.04.2015;
la CTR si è attenuta ai richiamati principi, perché ha affermato che la soglia di rilevanza penale dell’illecito tributario doveva essere valutata con riferimento al momento in cui era stata accertata la violazione tributaria avente rilevanza penale ed era stata trasmessa la relativa denuncia, ritenendo che fosse irrilevante, ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, la successiva modifica della soglia di punibilità e, conseguentemente, il venir meno dell’obbligo di denuncia;
-la successiva notifica dell’avviso di accertamento non rileva ai fini della applicazione della disciplina del raddoppio dei termini, in quanto l’accertamento della violazione è avvenuto con la consegna del PVC e la successiva trasmissione della denuncia penale;
né rileva in questa sede il principio del ‘favor rei’, in quanto la questione non riguarda l’applicazione di norme sanzionatorie, ma unicamente l’individuazione della disciplina attributiva del potere di accertamento;
-ne consegue anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, posto che la pretestuosità dell’azione accertativa non può essere
ri ferita ai tempi di notifica dell’avviso di accertamento, dovendosi considerare che l’atto impositivo è stato notificato nel periodo in cui l’Amministrazione aveva legittimamente beneficiato del più ampio termine per l’accertamento, avendo provveduto tempestivamente alla trasmissione della notizia criminis all’Autorità giudiziaria;
– va pertanto affermato il seguente principio: ‘ In materia tributaria, la rilevanza penale dell’illecito tributario, ai fini del cd. raddoppio dei termini per l’accertamento, come regolato dalla disciplina transitoria prevista dalla legge n. 208 del 2015, applicabile “ratione temporis”, va valutata con riferimento all’epoca in cui è stata commessa la violazione ed è stato effettuato l’accertamento, che coincide con la notifica del processo verbale di constatazione e la conseguente trasmissione della denuncia all’Autorità giudiziaria, essendo questo il momento in cui si conclude la fase di accertamento della condotta di evasione, avente rilevanza penale, non rilevando che, successivamente, a seguito di modifica legislativa, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale ‘ – il terzo motivo è inammissibile, non solo perché non rispecchia i parametri imposti dalla nuova formulazione del vizio di legittimità di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014), ma anche perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata;
dopo avere constatato che nel caso in esame le soglie di punibilità erano state superate, sulla base della disciplina normativa applicabile prima della modifica legislativa di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, la CTR, nel respingere la tesi erariale, secondo la quale un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 condurrebbe a ritenere che la soglia di punibilità si riferisca al complesso delle imposte evase in sede dichiarativa e non
alle imposte singolarmente considerate, ha precisato, richiamando sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2018, che, ai fini della verifica del superamento della soglia di punibilità della dichiarazione infedele riferita all’imposta evasa, di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 74 del 2000, ‘ si deve aver riguardo alle singole imposte ‘ e che ‘ l’evasione relativa alle imposte sui redditi e quella dell’IVA, pertanto, non si sommano, neppure nel caso di presentazione di una dichiarazione unificata, possibile sino al 2016, ai sensi dell’art 3, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’articolo 3, comma 136, della L. 23 dicembre 1996, n. 662), nel testo anteriore alle modifiche operate dall’art. 1, comma 641, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)”;
la CTR, quindi, si è limitata a chiarire che, ai fini della verifica del superamento della soglia di punibilità, occorreva fare riferimento all’entità delle singole imposte e non al complesso delle imposte evase in sede dichiarativa, avendo già in precedenza verificato che le singole imposte evase superavano la soglia penalmente rilevante con riferimento alla disciplina applicabile all’epoca dell’accertamento ;
il ricorso va, dunque, rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, che liquida in euro 5.800,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 3 dicembre 2024