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Raddoppio dei termini: rileva la legge al momento del fatto

Una società ha impugnato un avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari, ma entro quelli raddoppiati. La società sosteneva che una modifica legislativa, intervenuta prima dell’accertamento ma dopo la scoperta della violazione, aveva innalzato la soglia di punibilità, rendendo la condotta non più penalmente rilevante e inapplicabile il raddoppio dei termini. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la normativa da considerare per il raddoppio dei termini è quella in vigore al momento dell’accertamento della violazione e della trasmissione della notizia di reato, essendo irrilevanti le successive modifiche normative più favorevoli.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei termini: quale legge si applica se cambia la soglia penale?

L’istituto del raddoppio dei termini di accertamento fiscale è da sempre al centro di accesi dibattiti. La possibilità per l’Amministrazione finanziaria di avere un tempo maggiore per contestare le violazioni tributarie, in presenza di un sospetto reato, è una potente arma anti-evasione, ma deve essere bilanciata con il principio di certezza del diritto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico: cosa succede se, dopo la scoperta della violazione, una nuova legge innalza la soglia di punibilità, rendendo il fatto non più penalmente rilevante? Vediamo come i giudici hanno risolto la questione.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata riceveva un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2011, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava maggiori imposte dirette e IVA. L’avviso veniva notificato nel 2018, quindi oltre il termine ordinario di decadenza, fissato al 31 dicembre 2016.

L’Amministrazione finanziaria aveva però applicato il cosiddetto raddoppio dei termini, giustificato dal fatto che, nel corso della verifica, erano emersi indizi di reato tributario (dichiarazione infedele). Per questo motivo, l’Ufficio aveva trasmesso la notizia di reato all’Autorità giudiziaria nell’aprile del 2015, quando la violazione superava la soglia di rilevanza penale allora vigente.

Successivamente, nell’ottobre 2015, una riforma legislativa (D.Lgs. n. 158/2015) aveva innalzato tale soglia. Di conseguenza, l’evasione contestata alla società, pur rimanendo una violazione amministrativa, non costituiva più un reato. La società ha quindi impugnato l’atto, sostenendo che, al momento della notifica dell’accertamento, non sussistevano più le condizioni per il raddoppio dei termini.

La Questione Giuridica: Successione di Leggi e Termini di Accertamento

Il nodo centrale della controversia era stabilire quale legge dovesse regolare il potere di accertamento dell’Agenzia: quella in vigore al momento in cui è stata scoperta la violazione e trasmessa la denuncia, o quella, più favorevole, in vigore al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento?

Il contribuente invocava una sorta di ‘abolitio criminis’ con effetti retroattivi sui poteri dell’Ufficio. L’Agenzia, al contrario, sosteneva la piena legittimità del proprio operato, basandosi sul principio del tempus regit actum (l’atto è regolato dalla legge del suo tempo).

Le Motivazioni della Cassazione sul Raddoppio dei Termini

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. Le motivazioni dei giudici sono chiare e si basano su principi fondamentali del diritto.

Il punto cruciale, secondo la Corte, è che la rilevanza penale della violazione tributaria, ai fini dell’applicazione del raddoppio dei termini, deve essere valutata con riferimento al momento in cui la violazione stessa viene accertata e l’obbligo di denuncia sorge. Questo momento coincide con la conclusione delle attività ispettive, formalizzata con la notifica del Processo Verbale di Constatazione (PVC), e la conseguente trasmissione della notizia di reato alla Procura.

Nel caso specifico, questi eventi si erano verificati nel 2015, prima dell’entrata in vigore della modifica legislativa che ha innalzato la soglia di punibilità. A quell’epoca, l’obbligo di denuncia sussisteva e, con esso, si erano cristallizzati i presupposti per l’estensione del termine di accertamento.

La Corte ha inoltre precisato che il principio del favor rei (applicazione della legge più favorevole al reo), tipico del diritto penale, non si applica in questo contesto. Tale principio riguarda le sanzioni, non le norme procedurali che disciplinano i poteri dell’Amministrazione finanziaria. La normativa sui termini di accertamento, infatti, non ha natura sanzionatoria ma attiene all’esercizio del potere impositivo, ed è quindi governata dal principio tempus regit actum.

In sostanza, una volta che il presupposto per il raddoppio dei termini si è legittimamente verificato secondo la legge vigente in quel momento, una successiva modifica normativa non può avere l’effetto di ‘annullare’ retroattivamente quel presupposto e ridurre il termine a disposizione dell’Ufficio.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha stabilito un principio di diritto molto importante: ‘In materia tributaria, la rilevanza penale dell’illecito tributario, ai fini del cd. raddoppio dei termini per l’accertamento, […] va valutata con riferimento all’epoca in cui è stata commessa la violazione ed è stato effettuato l’accertamento, che coincide con la notifica del processo verbale di constatazione e la conseguente trasmissione della denuncia all’Autorità giudiziaria, essendo questo il momento in cui si conclude la fase di accertamento della condotta di evasione, avente rilevanza penale, non rilevando che, successivamente, a seguito di modifica legislativa, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale’.

Questa pronuncia fornisce una chiara linea guida per contribuenti e professionisti: la valutazione sulla legittimità dell’applicazione del raddoppio dei termini deve essere fatta ‘ex ante’, guardando alla situazione normativa esistente al momento della verifica fiscale e della denuncia, senza poter fare affidamento su eventuali future e più favorevoli modifiche legislative.

Una modifica di legge che alza la soglia di punibilità per un reato tributario annulla il raddoppio dei termini già scattato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la rilevanza penale della violazione, ai fini del raddoppio dei termini, va valutata con riferimento alla legge in vigore al momento in cui la violazione è stata accertata e la denuncia presentata, non essendo influenzata da successive modifiche legislative più favorevoli.

Quale momento è decisivo per stabilire se si applica il raddoppio dei termini?
Il momento decisivo è quello in cui si conclude la fase di accertamento della condotta di evasione, che coincide con la notifica del processo verbale di constatazione (PVC) e la successiva trasmissione della denuncia all’Autorità giudiziaria. Se in quel momento sussisteva l’obbligo di denuncia penale secondo la legge allora vigente, il termine si raddoppia.

Il principio del ‘favor rei’ (trattamento più favorevole al reo) si applica alla disciplina del raddoppio dei termini?
No. La Corte ha chiarito che il principio del ‘favor rei’ riguarda l’applicazione di norme sanzionatorie. La disciplina sul raddoppio dei termini, invece, attiene al potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria e segue il principio del ‘tempus regit actum’, cioè è regolata dalla legge in vigore al momento dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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