Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16948 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16948 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
Oggetto: IRPEF 2007-2008-2009 -Redditi di partecipazione – Società in accomandita semplice – Art. 5 t.u.i.r. Raddoppio dei termini – Art. 43 d.P.R. n. 600/1973 -Denuncia penale -Necessità – Esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8106/2022 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME che ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, n. 1081/02/2021, depositata in data 27 settembre 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La ricorrente impugnava gli avvisi di accertamento nn. TQY01X202744/2014, TQY01X202745/2014 e TQY01202746/2014, con i quali le veniva imputato, nella veste di socia accomandante della società RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per gli anni d’imposta 20072008-2009, un maggior reddito di partecipazione ex art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
L’accertamento scaturiva da un controllo contabile effettuato nei confronti della società (destinataria di precedente avviso, non impugnato e definito con adesione) all’esito del quale l’Agenzia delle e ntrate aveva contestato alla sas RAGIONE_SOCIALE l’utilizzo di fatture, rilasciate alla società RAGIONE_SOCIALE, per operazioni oggettivamente inesistenti.
L a ricorrente deduceva l’illegittimità dell’atto impositivo sul presupposto che gli avvisi di accertamento venivano notificati oltre i termini di decadenza, assumendo che non poteva operare nei suoi confronti il raddoppio dei termini per sussistenza di fattispecie penalmente rilevante (utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti) di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600/1973 . Nel merito, la contribuente eccepiva che la pretesa erariale doveva essere ridotta in eguale misura rispetto alla riduzione che era stata effettuata nei confronti della società a seguito dell’accertamento per adesione.
La Commissione tributaria provinciale di Ancona rigettava il ricorso, ritenendo applicabile al caso di specie il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 d.P.R. 600/1973.
La contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale delle Marche, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza .
L’Ufficio si costituiva c ontestando l’avverso assunto .
La CTR accoglieva parzialmente l’appello , affermando che il recupero erariale doveva essere ridotto in eguale misura rispetto a
quello operato nei confronti della società di cui la contribuente era stata socia accomandante, rilevato che in sede di adesione vi era stato il riconoscimento dell’effettività di alcuni dei costi contestati, con conseguente rideterminazione del reddito ripreso a tassazione.
La CTR rigettava la doglianza relativa alla tardività degli avvisi di accertamento, statuendo, per quanto di interesse, che a rilevare fosse la sola sussistenza dell’obbligo di denuncia, a nulla rilevando l’effettiva presentazione della denuncia o l’accertamento penale del reato.
Affermava, poi, che in virtù del principio di unitarietà dell’accertamento del maggior reddito emesso nei confronti della società e dei soci, il raddoppio dei termini doveva operare anche nei confronti della socia accomandante in ragione della sussistenza di fattispecie penalmente rilevante.
Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi ad un unico motivo.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 20/05/2025.
Considerato che:
Con il primo (ed unico) strumento di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione del DPR n. 600 del 1973, art. 43 e del DPR n. 633 del 1972, art. 57, in quanto la Commissione Tributaria Regionale delle Marche ha violato le norme applicabili alla fattispec ie laddove ha confermato la legittimità dell’accertamento in relazione all’applicabilità del c.d. raddoppio dei termini con riguardo alle violazioni non oggetto di denuncia penale nei confronti della contribuente/socia accomandante». Censura, in particolare, l’ impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto, in virtù di un ‘ automatismo transitivo ‘ , che il raddoppio dei termini potesse operare anche nei confronti della socia accomandante, benché fosse pacifico che nessuna notizia di reato era stata trasmessa in tal senso alla Procura della Repubblica di Ancona (pag. 13 del ricorso).
Deduce la propria estraneità alla gestione societaria, avendo assunto la qualifica di socia accomandante della RAGIONE_SOCIALE con l’auspicio, poi disatteso, di ottenere una occupazione lavorativa presso detta società. Afferma, poi, di non avere alcun legame di parentela o semplice vicinanza con gli altri soci. Infine, il raddoppio dei termini trova applicazione nei confronti del soggetto a cui è attribuito l’illecito e non anche con riferimento a coloro che risultano estranei al reato, come stabilito dal principio di colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. D eve premettersi che in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento, previsti nei commi primo e secondo, sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. In via parallela, ai fini IVA, per effetto della novella prevista dal comma 25 del citato d.l. n. 223/2006, è stato inserito il medesimo capoverso, all’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, dopo il secondo comma.
1.3. Questa Corte regolatrice ha ripetutamente statuito che, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art.
1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016).
Nelle citate pronunce questa Corte ha precisato che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice.
Tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p. p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e giudizio tributario (in termini, Cass. 15/05/2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/2016 cit.; a ben vedere, sul cd. doppio binario tra giudizio penale e giudizio tributario è successivamente intervenuto il legislatore con l’introduzione dell’art. 21bis d.lgs. 74/2000 ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 87/2024, la cui applicazione nella fattispecie è però esclusa).
1.4. Ciò premesso, secondo la disciplina applicabile alla fattispecie oggetto di scrutinio, il raddoppio dei termini deriva, pertanto, dal mero riscontro di fatti comportanti “l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.’, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o, di condanna (Cass. 30/05/2016, n. 11171).
La Corte costituzionale (sentenza n. 247/2011) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» (Cass. 10/01/2025, n. 600).
1.5. La CTR ha ritenuto assolto, da parte dell’Ufficio, l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia onde giustificare il raddoppio dei termini per l’esercizio del potere accertativo. Sul punto, la giurisprudenza ha più volte chiarito che non è necessario che una specifica contestazione venga indirizzata al socio accomandante, ritenendosi sufficiente che la notizia di reato sia indirizzata al legale rappresentante della società.
Più precisamente, q uanto all’applicabilità delle conclusioni finora svolte alla posizione del socio di società di persone, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di accertamento tributario, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari di una società in accomandita semplice determina il raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis , anche del reddito imputato “per trasparenza” ai soci accomandanti (Cass. 07/06/2024, n. 15999).
La CTR ha, quindi, fatto corretta applicazione dei principi enucleati in materia da questa Corte e sopra riportati.
Il ricorso va, per tutto quanto esposto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 maggio 2025.