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Raddoppio dei termini: quando l’accertamento è valido

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un contribuente, confermando la legittimità di un avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari. La Corte ha ribadito che il raddoppio dei termini è applicabile quando emergono fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale, come l’uso di fatture false, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’esito del procedimento penale. La decisione ha inoltre chiarito la legittimità della condanna alle spese legali a favore dell’ente impositore, anche se difeso da propri funzionari.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei termini: quando basta il sospetto di reato per l’accertamento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per i rapporti tra Fisco e contribuente: il raddoppio dei termini per l’accertamento in presenza di reati tributari. La Suprema Corte ha confermato un principio consolidato, specificando che per estendere i tempi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate è sufficiente il mero riscontro di fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale, anche se questa non viene poi presentata o il procedimento si conclude con un’archiviazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata che aveva ricevuto un avviso di accertamento per maggiori imposte (IVA, IRES e IRAP) relative all’anno d’imposta 2004. L’atto era stato notificato nel 2012, quindi oltre i termini ordinari di decadenza. L’Agenzia delle Entrate giustificava la notifica tardiva applicando il cosiddetto raddoppio dei termini, poiché l’accertamento era scaturito da un Processo Verbale di Constatazione (PVC) della Guardia di Finanza che ipotizzava l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, e in primo grado la Commissione Tributaria Provinciale gli aveva dato ragione, annullando l’avviso perché notificato tardivamente. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, aveva ribaltato la decisione, ritenendo legittima l’azione dell’Ufficio. Il contribuente ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e le Condizioni per il Raddoppio dei Termini

Il ricorso del contribuente si basava su due motivi principali:
1. Violazione di legge sull’operatività del raddoppio dei termini: si sosteneva che non sussistessero le condizioni per l’estensione del periodo di accertamento e che la sentenza d’appello fosse nulla per motivazione carente.
2. Violazione sulle spese legali: si contestava la condanna al pagamento delle spese, poiché l’Agenzia delle Entrate si era costituita in giudizio con propri funzionari e non con avvocati esterni.

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, fornendo importanti chiarimenti.

Le Motivazioni della Decisione

Sul primo punto, la Suprema Corte ha ribadito il suo orientamento costante. Il raddoppio dei termini di accertamento, secondo la normativa applicabile ai fatti di causa (ratione temporis), scatta automaticamente in presenza di fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale. Ciò che conta è il riscontro di elementi che facciano sorgere il sospetto di un reato tributario (come, nel caso specifico, l’uso di fatture false emesse da società ‘cartiere’).

La Corte ha specificato che l’applicazione del termine raddoppiato è indipendente:
* Dall’effettiva presentazione della denuncia penale.
* Dall’inizio dell’azione penale.
* Dall’esito del procedimento penale (che potrebbe concludersi con un’assoluzione, un proscioglimento o una condanna).

Nel caso in esame, i giudici di merito avevano accertato la presenza di ‘sicuri profili di comportamento penalmente rilevante a livello fiscale’, come fatturazioni fittizie, operazioni con società fantasma e triangolazioni finalizzate all’evasione. Questa valutazione di fatto, secondo la Cassazione, è sufficiente a giustificare il raddoppio dei termini e non è sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, la motivazione non è meramente apparente ma fondata su elementi concreti.

Anche il secondo motivo relativo alle spese legali è stato respinto. La Corte ha spiegato che nel processo tributario vige una norma speciale (art. 15, comma 2-sexies, D.Lgs. 546/1992) che prevale sulla regola generale del codice di procedura civile. Tale norma consente di liquidare le spese processuali a favore dell’ente impositore anche quando questo è assistito in giudizio da propri funzionari, applicando le tariffe previste per gli avvocati con una riduzione del 20%.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di accertamento tributario: la lotta all’evasione fiscale, soprattutto quella connessa a fenomeni fraudolenti, giustifica un ampliamento dei poteri di controllo dell’Amministrazione Finanziaria. Per i contribuenti, ciò significa che la scoperta di indizi di reato durante una verifica può legittimare un’azione accertativa anche a distanza di molti anni dal periodo d’imposta contestato. La decisione chiarisce inoltre che la difesa ‘in house’ da parte dell’Agenzia delle Entrate non la esonera dal diritto a ottenere il rimborso delle spese legali in caso di vittoria, secondo le specifiche regole del contenzioso tributario.

Quando si applica il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale?
Si applica quando, nel corso di un’attività di controllo, emergono fatti che comportano l’obbligo di denuncia per reati tributari, come ad esempio l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. È sufficiente il riscontro di seri indizi di reato.

È necessario che sia stata presentata una denuncia penale perché i termini di accertamento siano raddoppiati?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il raddoppio dei termini opera indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia penale, dall’inizio dell’azione penale e dall’esito finale dell’eventuale procedimento penale.

Se l’Agenzia delle Entrate si difende in giudizio con i propri funzionari, può ottenere la condanna del contribuente al pagamento delle spese legali?
Sì. Nel processo tributario esiste una norma specifica (art. 15, comma 2 sexies, del D.Lgs. 546/1992) che permette la liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore anche in questo caso, applicando le disposizioni previste per gli avvocati con una riduzione del 20%.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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