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Raddoppio dei termini: quando è legittimo l’avviso

Una società ha ricevuto un avviso di accertamento fiscale ben oltre la scadenza ordinaria. L’Agenzia delle Entrate ha giustificato il ritardo applicando il raddoppio dei termini di accertamento, basandosi su prove di illeciti fiscali. La Corte di Cassazione ha confermato che la sola esistenza di fatti che configurano un reato tributario è sufficiente per attivare il raddoppio dei termini, indipendentemente dalla presentazione di una denuncia penale o dall’esito di un eventuale processo. Il ricorso del contribuente è stato respinto.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini di Accertamento: Basta il Sospetto di Reato

Il raddoppio dei termini di accertamento è uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’evasione fiscale. Ma quali sono i presupposti per la sua applicazione? È sufficiente il mero sospetto di un reato tributario o è necessaria una denuncia formale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza, confermando un orientamento consolidato: per raddoppiare i tempi dell’accertamento, basta la presenza di fatti che comportino l’obbligo di denuncia penale, a prescindere dall’effettiva presentazione della stessa e dall’esito del procedimento penale.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata e il suo liquidatore impugnavano una sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva ritenuto legittimo un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005, notificato nel 2012. Secondo il contribuente, l’atto era tardivo, poiché notificato oltre il termine ordinario di decadenza del 31 dicembre 2010.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, aveva applicato il raddoppio dei termini di accertamento previsto dalla normativa all’epoca vigente, sostenendo di aver riscontrato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La Commissione di primo grado aveva dato ragione al contribuente, ma la decisione era stata ribaltata in appello. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, ritenendolo infondato su entrambi i motivi sollevati. In primo luogo, ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate riguardo all’applicazione del raddoppio dei termini. In secondo luogo, ha respinto la contestazione relativa alla condanna al pagamento delle spese legali, nonostante l’Agenzia si fosse difesa in giudizio tramite i propri funzionari.

Le Motivazioni sul raddoppio dei termini di accertamento

Il cuore della decisione risiede nel primo motivo di ricorso. La Corte ha ribadito il suo costante orientamento secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, nel regime applicabile ratione temporis, è attivato dal semplice riscontro di fatti che impongono l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.

Questo significa che non è rilevante:
1. L’effettiva presentazione della denuncia penale.
2. L’inizio effettivo dell’azione penale.
3. L’esito del procedimento penale (che potrebbe concludersi con un’archiviazione, un proscioglimento o una condanna).

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse adeguatamente motivato la sua decisione, evidenziando la presenza di “sicuri profili di comportamento penalmente rilevante a livello fiscale”. Tali profili includevano l’uso di fatture fittizie, società fantasma e operazioni finanziarie sospette, elementi sufficienti a integrare l’obbligo di denuncia e, di conseguenza, a giustificare l’estensione dei termini per l’accertamento.

Le Motivazioni sulla Condanna alle Spese

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alle spese processuali, è stato giudicato infondato. Il contribuente sosteneva che l’Agenzia, essendo rappresentata da propri funzionari e non da avvocati del libero foro, non avesse diritto al pagamento degli onorari.

La Corte ha chiarito che nel processo tributario vige una norma speciale, l’art. 15, comma 2-sexies, del D.Lgs. 546/1992. Questa disposizione prevede esplicitamente che, anche quando l’ente impositore è assistito da propri funzionari, si applicano le regole sulla liquidazione del compenso spettante agli avvocati, sebbene con una riduzione del 20%. Tale norma specifica prevale sulla regola generale del codice di procedura civile, rendendo la doglianza del ricorrente inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di fondamentale importanza pratica: il rischio di subire un accertamento fiscale per un periodo di tempo raddoppiato è concreto e si basa sulla natura oggettiva dei fatti contestati. Se dall’istruttoria emergono elementi che configurano un reato tributario (come l’uso di fatture false), l’Amministrazione Finanziaria ha il diritto e il dovere di estendere i termini per l’accertamento. Per i contribuenti e i loro consulenti, ciò significa che la soglia di attenzione deve rimanere alta ben oltre i termini ordinari, poiché la scoperta di indizi di reato può riaprire periodi d’imposta che si credevano ormai chiusi.

Quando è legittimo il raddoppio dei termini di accertamento fiscale?
È legittimo quando l’amministrazione finanziaria riscontra fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale, come l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o altri illeciti tributari. La presenza di seri indizi di reato è sufficiente.

È necessaria una condanna penale per applicare il raddoppio dei termini?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il raddoppio dei termini è indipendente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’esito del processo penale. Ciò che conta è l’esistenza di fatti che oggettivamente integrano un’ipotesi di reato.

L’Agenzia delle Entrate può ottenere il pagamento delle spese legali se si difende con i propri funzionari?
Sì. Nel processo tributario, una norma specifica (art. 15, comma 2-sexies, D.Lgs. 546/1992) consente la liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore anche se assistito da propri funzionari, applicando una riduzione del 20% sull’importo complessivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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