Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20556 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20556 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3497/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della BASILICATA n. 284/2016 depositata il 28/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 21 dicembre 2010 la Guardia di Finanza di Potenza avviava una verifica a carico della società “RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il controllo dell’adempimento degli obblighi ai fini IVA ed II.DD. in relazione agli anni di imposta 2009 e 2010. Successivamente, il controllo veniva esteso agli anni dal 2005 al 2008 ed in relazione a tale periodo veniva redatto processo verbale di constatazione in data 20.10.2011.
In particolare, in relazione all’anno 2006 la Guardia di Finanza constatava che la società aveva contabilizzato fatture passive, emesse dal RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto lavori relativi alla costruzione di un opificio industriale, con indicazione generica della prestazione resa tale da non consentire il controllo di inerenza ed effettività dei costi, anche in carenza di documentazione contabile ed extra contabile.
Contestava altresì la contabilizzazione di fatture passive emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, aventi ad oggetto fornitura di pellami. Al riguardo, i verificatori rilevavano che la ditta COGNOME non esercitava attività di commercio pellami, ma solo di rappresentanza; non aveva una sede effettiva né dipendenti; la sede dichiarata coincideva con uno studio contabile; non aveva dipendenti ed era un soggetto evasore totale.
Sulla base di ciò, i militari disconoscevano l’Iva relativa alle fatture contestate e portata in detrazione ed escludevano la componente negativa di reddito, ritenendo tali operazioni oggettivamente inesistenti.
Sulla base del PVC redatto, consegnato alla parte, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Ufficio Controlli di Potenza emetteva
gli avvisi di accertamento nn. TC301T100191/2006, TC301T100200/2006, TC301T100207/2006, TC302T103049/2006 sia nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE rettificando il reddito di impresa dichiarato per il 2006, sia nei confronti dei soci, NOME COGNOME, NOME e NOME, rettificando il reddito da partecipazione da essi dichiarato.
La società e i soci impugnavano con distinti ricorsi gli avvisi di accertamento dinanzi alla CTP di Potenza che con la sentenza n. 702/2/2014 depositata in data 26/09/2014, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva.
Avverso tale pronuncia, l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla CTR della Basilicata. Resistevano la società e i soci con appello incidentale.
La CTR adita, con sentenza n.284/01/2016 pronunciata in data 01/03/2016 e depositata in data 01/03/2016, rigettava l’appello dell’Agenzia osservando che non sussistevano i presupposti per il raddoppio dei termini e, inoltre, che i motivi d’appello dell’Ufficio non erano specifici.
L’ Agenzia propone ora ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resistono la società e i soci NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 D.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., per non aver la CTR rilevato che il motivo di doglianza oggetto dell’appello incidentale, relativo alla decadenza dal potere impositivo, meramente riproposto, era stato espressamente respinto dalla CTP con conseguente formale soccombenza sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 comma 3 e 60 D.P.R. n. 600/1973, art. 57 D.P.R. n. 633/1972, come modificati dai commi 24 e 25 dall’art. 37 D.L. 223/2006, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto inoperante il raddoppio dei termini in relazione a tutti gli avvisi di accertamento, tutti notificati nell’anno 2012.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del D.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per non aver la CTR ritenuto che l’atto di appello dell’Ufficio enunciasse in modo compiuto le ragioni di impugnazione, indicasse i capi della sentenza di cui si chiedeva la riforma e le ragioni sottese.
Con il quarto motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 D.lgs. 546/1992 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da carenza di motivazione ovvero da motivazione meramente apparente laddove ha affermato che ‘le eccezioni poste a base dell’accoglimento restano, quindi, interamente assorbite nelle valutazioni di diritto e, per quanto attiene al merito, esse risultano ampiamente espresse già nella sentenza gravata per cui, questo Collegio, ritiene, a latere, condividere le valutazioni fatte dal primo Giudice’.
Necessita preliminarmente rilevare che la socia NOME deve ritenersi costituita anche a titolo personale. Invero, benché ella non figuri nell’intestazione del controricorso, risulta aver sottoscritto due volte la procura: la prima quale legale rappresentante della società di persone; la seconda è perspicuamente e ragionevolmente evincibile a titolo personale in funzione della propria costituzione in qualità anche di socia dell’ente .
Il primo motivo è infondato.
Parte ricorrente adduce che il giudice d’appello non sarebbe stato investito della questione rappresentata dal ‘raddoppio dei termini’ per l’accertamento tributario . In realtà, emerge palesemente dagli atti di causa che la questione relativa all’applicazione dell’art. 43, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973 è stata veicolata ab initio dalla contribuente e in seguito ribadita in appello. Quindi la censura si mostra eccentrica rispetto al perimetro del giudizio, delle censure in esso trasfuse, del thema decidendum delineatosi. In effetti, il ricorso originario, testualmente riportato in parte qua , evidenziava che ‘ l’accertamento opposto va dichiarato nullo perché operato oltre il termine di decadenza di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/73 ‘; la sentenza della CTP di Potenza letteralmente si occupava del profilo relativo alla ‘ disciplina del raddoppio dei termini in presenza di notizia di reato ‘; l’appello della parte contribuente conteneva la riproposizione dell” eccezione di decadenza dal potere d’accertamento per il decorso del termine previsto dall’art. 43 del D.P.R: n. 600/73’.
Il secondo motivo è fondato.
Con riferimento, invece, al cd. raddoppio dei termini deve premettersi che in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento, previsti nei commi primo e secondo, sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. In via parallela, ai fini IVA, per effetto della novella prevista dal comma 25 del citato d.l. n. 223/2006, è stato inserito il medesimo capoverso, all’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, dopo il secondo comma. Come già affermato da questa Corte « in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli
artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile ‘ratione temporis’, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza », come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, « senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati » (Cass. nn. 16728 del 2016 e 26037 del 2016). Nelle citate pronunce questa Corte ha precisato che « non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza », applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice. Tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando « né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e giudizio tributario » (Cass. n. 16728 del 2016 cit.). È, quindi, estraneo al perimetro del presente giudizio lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente
presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, delle legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari. La prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128/2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva siano notificati entro il 31 dicembre 2015.
Ciò premesso, secondo la disciplina applicabile alla presente fattispecie, il raddoppio dei termini deriva, pertanto -diversamente da quanto opinato dalla CTR -dal mero riscontro di fatti comportanti ‘ l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. ‘, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia perseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass. n. 11171 del 2016; Cass. n. 24576 del 2022). La Corte costituzionale (sent. n. 247/2011 cit.) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale
delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento ».
Il terzo motivo è fondato.
Esso contesta la ritenuta non specificità dei motivi, cogliendo nel segno.
Invero, l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 21745 del 2006). Questa Corte ha anche affermato che ‘ Ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice ‘ (Cass. n. 23781 del 2020). Le Sezioni Unite hanno soggiunto ‘ Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione
delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata ‘ (Cass., Sez. Un., n. 36481 del 2022).
Dallo stralcio dell’atto d’appello trascritto per autosufficienza in ricorso (v. pagg. 26 e segg.) si ricava ch e l’Agenzia enucleava partitamente le censure, in particolare insistendo sulla ‘ Legittimità e fondatezza della pretesa erariale’ , quindi diffusamente soffermandosi, da un lato, sulla ‘ Contabilizzazione fatture passive emesse dal RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE ‘, dall’altro, sulla ‘ Contabilizzazione delle fatture della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME.
Nell’alveo del primo mezzo di gravame, rubricato sub 1., si evidenziava precisamente come le fatture emesse dal Centro Commerciale Lucano recassero ‘ la generica dicitura …’costruzione di un opificio industriale’ ‘, senza una puntuale descrizione dell’oggetto della prestazione, utile a consentire ‘ il controllo sulla qualità, quantità ed effettività della prestazione cartolarizzata nelle fatture ‘. ” ‘ Legittimità e fondatezza della pretesa erariale ‘. Veniva, inoltre, dedotto come le lacune descrittive non fossero state colmate dalla richiesta di ‘ esibizione di documentazione, anche extra contabile, probatoria dell’effettività, qualità e quantità del costo, che consentisse di superare la genericità delle fatture e permettesse di effettuare i controlli allo stato preclusi ‘ . Si insisteva, infine, nello stigmatizzare la connotazione delle fatture inidonee a rispondere ad ‘ un’esigenza di trasparenza contabile ‘, chiarendo in
modo puntuale le ‘ prestazioni rese ‘. Si concludeva segnalando come il contribuente non fosse stato ‘ in grado di esibire alcuna documentazione che consentisse di circostanziare la genericità delle fatture e di provare l’effettività, certezza e determinabilità del costo ‘.
Nel secondo mezzo, rubricato sub 2., l’Agenzia minuziosamente riporta il contenuto delle operazioni di verifica condotte dai militari della Guardia di Finanza, segnalando la peculiarità della regolazione della ‘ quasi totalità ‘ dei pagamenti ‘ mediante utilizzo del conto ‘cassa” , pur a fronte della cospicuità degli importi. L’Ufficio ha puntualizzato anche come la COGNOME fosse un ‘ evasore totale ‘, non avesse ‘ mai effettuato acquisti e/o importazioni di pellame ‘, non avesse una ‘ sede effettiva ‘, bensì una mera sede legale coincidente con uno studio professionale, non avesse depositato strutture contabili, non disponesse di dipendenti. Su queste basi l’ erario ha stigmatizzato in maniera comprensibile e precisa che ‘ il giudice provinciale non ha fatto buona applicazione dei principi posti dal legislatore e dalla giurisprudenza in materia di operazioni inesistenti ‘. In buona sost anza, l’atto d’appello conteneva tutto quanto necessario a porre il giudice di seconde cure in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure.
Il quarto motivo è infondato.
La sentenza ben lascia cogliere la propria ratio decidendi , che alligna nell’accoglimento, da parte della CTR, di una questione preliminare.
La nullità invocata presuppone la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, quindi una motivazione che non consente di « comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato », non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un « ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo
procedimento enunciativo », logico e consequenziale, « a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo esclusivamente quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124). In altri termini, è essenziale che la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulti, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del « minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., 13 aprile 2021, n. 9627).
Nella specie, tuttavia, la sentenza impugnata è adeguatamente motivata, in quanto ha a suo modo spiegato le ragioni poste a fondamento del convincimento maturato. Viene in rilievo, in definitiva, una motivazione esistente e sufficiente, correlata alla fattispecie concreta portata alla sua cognizione. La decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della
pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione
In ultima analisi, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e il quarto motivo. La sentenza di merito va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Basilicata in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso, respinge il primo e il quarto motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Basilicata in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025.