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Raddoppio dei termini: onere della prova sul Fisco

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale non è automatico. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di dimostrare concretamente i presupposti dell’obbligo di denuncia penale a carico del contribuente, inclusa la potenziale configurabilità di un reato tributario che superi le soglie di punibilità. In assenza di tale prova, l’avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari è illegittimo.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei termini: onere della prova sul Fisco

I termini entro cui l’Amministrazione Finanziaria può effettuare un accertamento fiscale sono perentori e la loro violazione determina l’illegittimità dell’atto. Esiste tuttavia un’eccezione nota come raddoppio dei termini, che consente al Fisco di avere più tempo a disposizione in presenza di reati tributari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che l’applicazione di questa misura eccezionale non è automatica e impone all’Agenzia delle Entrate un preciso onere probatorio.

I Fatti del Caso: La Plusvalenza Contestata

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per una presunta maggiore imposta IRPEF su una plusvalenza derivante dalla cessione di una quota di partecipazione societaria. Il contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo che fosse stato notificato oltre i termini di legge. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado gli hanno dato ragione, annullando l’accertamento. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla legittimità del proprio operato in virtù del raddoppio dei termini di accertamento.

La Questione del Raddoppio dei Termini

Il raddoppio dei termini è un istituto che estende il periodo di decadenza per l’azione accertatrice del Fisco quando emerge un fatto che comporta l’obbligo di presentare una denuncia penale per uno dei reati previsti dalla normativa tributaria. Secondo la difesa dell’Agenzia, era sufficiente che l’amministrazione avesse ravvisato, in astratto, la sussistenza di fatti che comportassero tale obbligo, senza la necessità di dimostrare l’effettivo inoltro della denuncia all’autorità giudiziaria. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi proprio sulla portata di questo onere e sulle condizioni necessarie per applicare legittimamente l’estensione dei termini.

L’Onere della Prova e la Prognosi Postuma

La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di provare i presupposti per l’applicazione del raddoppio dei termini grava interamente sull’Amministrazione Finanziaria. Non è sufficiente un generico riferimento a un presunto ‘disegno fraudolento’ o a una possibile evasione. Il giudice tributario, di fronte alla contestazione del contribuente, deve compiere una valutazione ‘ora per allora’ (la cosiddetta ‘prognosi postuma’) per verificare se, al momento dei fatti, sussistessero concretamente gli elementi che imponevano all’ufficio di sporgere denuncia penale.

Le Motivazioni della Cassazione

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato diverse carenze nell’operato dell’Agenzia delle Entrate che hanno portato al rigetto del ricorso. In primo luogo, l’Amministrazione non aveva nemmeno specificato quale reato tributario sarebbe stato astrattamente configurabile a carico del contribuente. Questo ha impedito al collegio giudicante di effettuare la necessaria ‘prognosi postuma’.

In secondo luogo, e in modo decisivo, la Corte ha analizzato le soglie di punibilità previste per i reati tributari all’epoca dei fatti (anno 2005). L’imposta evasa contestata al contribuente (circa 11.869 euro) era nettamente inferiore alle soglie di punibilità previste per la dichiarazione fraudolenta (oltre 77.000 euro) o infedele (oltre 103.000 euro). Di conseguenza, mancava persino l’astratta configurabilità di una fattispecie criminosa. Se non c’è reato, non può esserci l’obbligo di denuncia e, pertanto, non può scattare il raddoppio dei termini.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza le garanzie per il contribuente, riaffermando che il raddoppio dei termini di accertamento è una misura eccezionale e non può essere utilizzata in modo strumentale per superare la scadenza dei termini ordinari. L’Amministrazione Finanziaria deve giustificare in modo puntuale e rigoroso la sua applicazione, indicando il reato ipotizzato e dimostrando che i fatti contestati superano le soglie di rilevanza penale. In assenza di questa prova rigorosa, l’avviso di accertamento notificato oltre i termini ordinari deve essere considerato illegittimo e, quindi, annullato.

Quando si applica il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale?
Si applica quando sussistono i presupposti per l’obbligo di denuncia penale per uno dei reati tributari previsti dalla legge. Non è sufficiente un mero sospetto, ma devono essere presenti elementi concreti che configurino, almeno in astratto, un illecito penale.

Chi deve provare i presupposti per il raddoppio dei termini?
L’onere della prova grava interamente sull’Amministrazione Finanziaria. È l’Agenzia delle Entrate che deve dimostrare al giudice la sussistenza dei fatti che hanno generato l’obbligo di denuncia, giustificando così il suo più ampio potere accertativo.

Il superamento della soglia di punibilità penale è necessario per il raddoppio dei termini?
Sì. La Corte ha chiarito che se l’imposta evasa contestata è inferiore alle soglie di punibilità previste dalla legge per i reati tributari, non si può configurare nemmeno in astratto una fattispecie criminosa. Di conseguenza, viene a mancare l’obbligo di denuncia penale e il raddoppio dei termini non può essere applicato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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