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Raddoppio dei termini: obbligo di denuncia non richiesto

La Corte di Cassazione ha chiarito che, per la normativa applicabile ai periodi d’imposta antecedenti al 2016, il raddoppio dei termini di accertamento fiscale scatta in presenza di fatti penalmente rilevanti, anche senza una formale denuncia penale. L’ordinanza analizza il caso di un avviso di accertamento notificato a un socio oltre i termini ordinari. La Corte ha stabilito che la sola esistenza dell’obbligo di denuncia è sufficiente per attivare il raddoppio dei termini, annullando la decisione di merito che richiedeva la prova della denuncia stessa.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini Fiscali: Basta l’Obbligo di Denuncia

Il tema del raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale rappresenta un punto cruciale nei rapporti tra Fisco e contribuente, specialmente quando emergono profili di rilevanza penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sulla normativa applicabile ai periodi d’imposta antecedenti al 2016, stabilendo che la semplice esistenza di fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale è sufficiente per attivare l’estensione dei termini, senza che sia necessaria l’effettiva presentazione della denuncia stessa. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata e, per trasparenza, al suo socio, ritenuto amministratore di fatto. L’atto impositivo contestava, per l’anno d’imposta 2004, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e costi indeducibili, con conseguente recupero del maggior reddito di partecipazione in capo al socio. Quest’ultimo impugnava l’avviso, e la Commissione tributaria regionale accoglieva le sue ragioni, annullando l’atto. Il giudice di merito riteneva che, essendo l’avviso stato notificato oltre il quinto anno, non fosse applicabile il raddoppio dei termini perché l’ufficio non aveva provato di aver denunciato la condotta penalmente rilevante alla Procura della Repubblica. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Disciplina del Raddoppio dei Termini nel Tempo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, censurando la decisione regionale per un’errata applicazione della legge. Il punto centrale della controversia risiede nell’individuazione della normativa corretta da applicare ratione temporis. La normativa di riferimento, per l’annualità 2004, è quella introdotta dall’art. 37 del D.L. n. 223/2006. Tale disciplina prevedeva che i termini di accertamento raddoppiassero in presenza di una violazione fiscale che comportasse l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000. Il presupposto era quindi l’esistenza di una condotta penalmente rilevante, non l’effettivo invio della denuncia all’autorità giudiziaria.

Successivamente, il legislatore è intervenuto a più riprese, prima con il D.Lgs. n. 128/2015, che ha circoscritto il raddoppio dei termini ai soli casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente trasmessa entro il termine ordinario di decadenza, e poi con la Legge n. 208/2015, che ha soppresso del tutto la disciplina. Tuttavia, la stessa normativa ha previsto delle clausole di salvaguardia per gli atti già notificati, come nel caso di specie, rendendo inapplicabili le modifiche successive.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato, supportato anche da una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011). Per la disciplina vigente all’epoca dei fatti, l’unica condizione per il raddoppio dei termini era la sussistenza oggettiva dell’obbligo di denuncia penale. Questo obbligo sorge dal mero riscontro di fatti che presentano indizi di reato. La presentazione effettiva della denuncia, il suo esito o l’inizio dell’azione penale sono irrilevanti ai fini dell’estensione del termine di accertamento. Il giudice tributario, se investito della questione, deve limitarsi a una valutazione prognostica (prognosi postuma) per verificare se, al momento dei fatti, sussistessero elementi tali da far sorgere l’obbligo di denuncia, senza che l’amministrazione finanziaria abbia agito in modo pretestuoso per garantirsi un termine più ampio.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma che, per le annualità d’imposta per cui erano ancora pendenti i termini di accertamento all’entrata in vigore del D.L. 223/2006, il raddoppio dei termini opera automaticamente in presenza di indizi di reato tributario. La prova della presentazione della denuncia penale non è un requisito necessario. Questa interpretazione, sebbene superata dalle normative successive per i periodi d’imposta più recenti, rimane fondamentale per la gestione del contenzioso relativo agli anni passati, proteggendo gli effetti degli avvisi di accertamento già notificati sotto il vigore della precedente disciplina e confermando un approccio sostanziale basato sulla gravità della condotta del contribuente.

Per applicare il raddoppio dei termini di accertamento, è sempre necessaria la denuncia penale?
No. Per i periodi d’imposta a cui si applica la disciplina introdotta dal D.L. n. 223/2006 (come nel caso analizzato, relativo al 2004), il raddoppio dei termini è automatico se la violazione fiscale comporta l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dalla sua effettiva presentazione.

Quale normativa disciplina il raddoppio dei termini per i periodi d’imposta antecedenti al 2016?
La normativa di riferimento è quella introdotta dall’art. 37 del D.L. n. 223/2006. Le modifiche successive, che hanno reso più restrittivi i requisiti (richiedendo la denuncia effettiva) o hanno soppresso l’istituto, non si applicano retroattivamente agli avvisi di accertamento già notificati prima della loro entrata in vigore.

Cosa deve verificare il giudice tributario quando viene contestata l’applicazione del raddoppio dei termini?
Il giudice tributario deve controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ‘ora per allora’ (cosiddetta ‘prognosi postuma’) per accertare se, sulla base degli elementi disponibili, l’amministrazione finanziaria avesse il dovere di segnalare i fatti all’autorità giudiziaria, senza aver agito in modo pretestuoso o strumentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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