Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8713 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8713 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 10033-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME è rappresentato e difeso –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 3868/14/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 29.09.2017;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 15 gennaio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza emerge che l’Agenzia delle entrate notificò un avviso d’accertamento alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e per essa alla legale rappresentante nonché a COGNOME NOME, ritenuto l’amministratore di fatto della società. L’atto impositivo era s tato emesso , con riguardo all’anno
Accertamento
–
Raddoppio
dei termini – Configurabilità
d’imposta 2004, per l’emissione di fatture, in parte perché afferenti ad operazioni ritenute inesistenti, in parte perché relative a costi ritenuti indeducibili, in entrambe le fattispecie contestandosi l’indebita detrazione dell’iva . L’ufficio notificò al COGNOME un ulteriore avviso d’accertamento, con il quale pretese il recupero del 40% del maggior reddito accertato in capo alla società, corrispondente agli utili di partecipazione.
Il COGNOME propose ricorso avverso entrambi gli avvisi di accertamento. La Commissione tributaria provinciale di Mantova, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 259/01/2014 accolse il ricorso relativo all’atto notificato alla società (società cancellata dal registro delle imprese il 7 settembre 2012, a fronte di un atto impositivo emesso il 10 dicembre 2013) e rigettò quello notificato al COGNOME per il maggior reddito di partecipazione accertato.
La pronuncia fu impugnata dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con sentenza 3868/14/2017 accolse le ragioni dell’appello, annullando l’avviso d’accertamento emesso nei riguardi del COGNOME.
La Commissione, nello specifico, posto che l’atto impositivo era stato notificato oltre il quinto anno successivo a quello in cui il maggior reddito era stato conseguito, ha ritenuto inapplicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento, mancando la prova che l’ufficio avesse provveduto a denunciare presso la Procura della Repubblica la condotta omissiva del COGNOME, penalmente rilevante.
La ricorrente ha censurato la sentenza con un unico motivo, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso il contribuente.
N ell’adunanza camerale del 15 gennaio 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 57, comma 3, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (entrambi ratione temporis vigenti), dell’art. 4, l. n. 74 del 2000, dell’art. 331 c.p.p., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla declaratoria di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertare le maggiori imposte, per inapplicabilità del raddoppio dei
termini, così come introdotto dal l’art. 37 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248.
L’Agenzia delle entrate si duole dell’ erronea affermazione del giudice regionale, secondo cui, in relazione alla disciplina vigente ratione temporis e al fine del raddoppio dei termini d’accertamento nei confronti del contribuente, che con la propria condotta perfezionava un illecito penalmente rilevante, vi fosse la necessità di denunciare all’autorità competente la suddetta condotta.
Il motivo è fondato.
Deve rammentarsi che l’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni in l. n. 248 del 2006, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, aveva previsto, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., che gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiassero relativamente al periodo di imposta, in cui fosse stata commessa la violazione. L’art. 37, comma 25, del d.l. n. 223 cit. introdusse analoga disposizione in materia di Iva, con modifica dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché l’accertamento per cui è causa afferisca al 2004 , cioè ad un periodo di imposta antecedente quello nel quale la normativa è stata introdotta. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 37, comma 26, del d.l. citato, il raddoppio dei termini si applicava dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, fossero ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento.
Deve invece escludersi l’applicabilità delle modifiche introdotte dall’art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonché quelle introdotte dall’art. 1, commi 130, 131 e 132, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, con cui infine è stata soppressa la disciplina relativa al raddoppio dei termini ordinari.
Quanto alla prima modifica perché, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia, prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 cit., la stessa non si applica
alle violazioni punibili, che siano state constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica risalente al dicembre del 2013). Quanto alla seconda perché il regime transitorio previsto dalla l. n. 208 cit. per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 3 agosto 2023, n. 23662; 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728).
Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini , con la sola esclusione dell’irap, deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. Cass., 13 settembre 2018, n. 22337; 30 maggio 2016, n. 11171; 2 luglio 2020, n. 13481).
Il principio trova riscontro nella sentenza 20 luglio 2011, n. 247, della Corte Costituzionale, secondo cui l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una
valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento » (cfr. anche Cass., 30 ottobre 2018, n. 27629).
Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
Non vi è dunque neppure obbligo di esternare le ragioni in base alle quali l’Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l’applicazione da scelte discrezionali.
Il raddoppio dei termini afferisce tanto alle imposte quanto alle sanzioni, considerato che proprio l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, richiama espressamente la materia delle sanzioni, tra quelle per le quali si fa addirittura salva la pregressa disciplina, così come introdotta dal d.l. del 2006.
Sulle solide basi della disciplina appena illustrata questa Corte ha pertanto affermato che i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d. lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini, se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112
Cost. (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33793; 15 settembre 2022, n. 27250).
Il giudice regionale, nel decidere la presente controversia, non ha tenuto conto della disciplina positiva, né dei principi di diritto enunciati da questa Corte.
La sentenza va pertanto cassata e il giudizio deve essere rimesso alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, dovrà decidere la causa, tenendo conto delle regole e dei principi enunciati in questa pronuncia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, cui, in diversa composizione, demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 15 gennaio 2025