Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23696 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23696 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23733/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE (EMAIL -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA n. 1568/2016 depositata il 17/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1568/2016 depositata in data 17/03/2016, ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE società cooperativa in liquidazione ( hinc: la società contribuente o la contribuente) contro la sentenza n. 8123/2014, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva, a sua volta, respinto il ricorso proposto dalla contribuente contro gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, con i quali era stato contestato l’uso di fatture per operazioni inesistenti, emesse da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (nel periodo d’imposta 2007) e da RAGIONE_SOCIALE (per il peri odo d’imposta 20 08), riprendendo a tassazione i relativi importi ai fini IRES, IVA e IRAP.
2. La CTR ha ritenuto che:
-nel caso di specie trovava applicazione l’art. 43 d.P.R. n. 600 del 2003, così come modificato dall’art. 37, comma 24, d.l. n. 223 del 2006, con il conseguente raddoppio dei termini per le ipotesi di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., essendo sufficiente -secondo quanto rilevato da C. cost. n. 247 del 2011 -il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia;
-secondo quanto precisato da Cass., 18/07/2014, n. 16456 l’art. 8 d.l. n. 16 del 2012, da un lato, ha previsto che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi i componenti positivi di reddito direttamente afferenti ai costi per operazioni oggettivamente inesistenti, anche se imputati a conto economico e dichiarati dal contribuente, non sono considerati imponibili entro i limiti dell’ammontare dei correlati componenti negativi per operazioni inesistenti; dall’altro lato, è intervenuto, in relazione
all’antigiuridicità della fattispecie in esame sotto il profilo sanzionatorio, sia con l’introduzione di una sanzione dal 25 al 50 per cento dei componenti negativi illecitamente dedotti a carico dell’utilizzatore di fatture oggettivamente inesistenti (commisurata all’impo rto dei costi esposti sui documenti contabili falsi), sia con l’esclusione dell’applicabilità degli istituti del concorso e della continuazione;
-secondo i principi generali grava sul contribuente l’onere di provare che i componenti positivi che hanno concorso nell’accertamento alla formazione del reddito sono fittizi, perché ricavi direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (Cass., n. 25967 del 2013). Di conseguenza, una volta accertata la fittizietà degli acquisti non c’è alcun obbligo per l’amministrazione di riconoscere la fittizietà delle vendite (e di escludere i relativi ricavi), al fine di prevenire a una corretta determinazione del reddito, considerata la persistenza dell’onere probatorio in capo al contribuente;
anche in ambito IRAP -dove vale il principio di derivazione della base imponibile dalle risultanze di bilancio -nel caso di accertamento di costi per servizi che siano indeducibili, la rettifica dei dati di bilancio giustifica la loro tassazione ai fini IRAP, se incidono sul valore della produzione netta, indipendentemente dal fatto che derivino da fatture oggettivamente inesistenti oppure da altre forme di manipolazione della contabilità o del bilancio.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973; violazione del termine decadenziale quadriennale: nullità degli avvisi di accertamento per inapplicabilità del cd. raddoppio dei termini ai sensi dell’art. 360, primo comma, n . 3, cod. proc. civ. -ius superveniens : applicazione del comma 132 delle legge n. 208 del 2015.
1.1. Con tale motivo di ricorso la parte ricorrente rileva come, ai sensi della legge di stabilità del 2016, gli atti impositivi notificati usufruendo del termine lungo sono legittimi solo se la denuncia penale è stata tempestivamente inoltrata. In sostanza, il comma 132 cit. legge n. 208 del 2015 non cita più la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 158 del 2015, che faceva salvi gli accertamenti e i provvedimenti notificati in data precedente all’entrata in vigore del decreto. Ad avviso di parte ricorrente si tratta, infatti, di una normativa procedimentale, come tale dotata di effetti retroattivi. La parte ricorrente rileva come, a fronte dei due avvisi di accertamento notificati nel mese di novembre 2013, la società contribuente è stata informata -solo al momento delle controdeduzioni di cui la C.N.R. costituiva uno degli allegati -del fatto che la denuncia di reato era stata inviata in data 17/06/2013, cioè quando i termini ordinari di decadenza dell’azione accertativa erano ormai spirati.
1.2. Il primo motivo di ricorso è infondato , limitatamente all’IRES e all’IVA, ma non all’IRAP .
1.3. In relazione ai rapporti tra i termini di accertamento previsti negli artt. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 si possono distinguere tre diverse normative (con la conseguente necessità di regolare il relativo regime intertemporale):
a) nella versione vigente nei periodi d’imposta interessati (2007 e 2008) tanto l’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 che l’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 facevano riferimento alla violazione che comportasse l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000;
b) l’art. 2 d.lgs. n. 128 del 2015 interviene sia sull’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 che sull’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, prevedendo che il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria prevista nei commi 1 e 2 degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 d.P.R. n. 633 del 1973. L’a rt. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 prevede, poi, che: « Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. »
Ora, considerato che la stessa ricorrente dà atto (v. pag. 12 del ricorso in cassazione) che gli avvisi di accertamento sono stati notificati nel novembre del 2013, è evidente che tali avvisi, da un lato, sono stati notificati nel vigore di una disposizione che riconosceva il raddoppio dei termini in presenza dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. e, dall’altro lato, che anche la disposizione di cui all’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 entrata in vigore il 02/09/2015, in data successiva a quella della notifica degli avvisi -détta un’apposita norma transitoria in cui fa salvi gli effetti degli avvisi notificati (regolarmente) nel vigore di una
diversa disposizione normativa che si è andati a modificare proprio con la disciplina del 2015;
le previsioni del terzo comma dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 sono abrogate per effetto della riformulazione delle disposizioni appena richiamate ad opera dell’art. 1, commi 130 e 131, legge 28/12/2015, n. 208, con la conseguente eliminazione della disciplina relativa al raddoppio dei termini.
Il comma 132 dell’art. 1 legge n. 208 del 2015 prevede che: « Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto
dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decretolegge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni. »
1.4. Il ricorrente sovrappone, quindi, impropriamente l’abrogazione implicita con l’irretroattività della norma. In altre, parole, dalla lettura degli artt. 2 d.lgs. n. 128 2015 e 1 legge n. 208 del 2015 è evidente che in merito ai medesimi periodi di imposta si assista a un fenomeno di successione di leggi nel tempo: nel vigore del d.lgs. n. 128 del 2015 non è sufficiente, ai fini del raddoppio dei termini, l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., ma è necessario che quest’ultima sia presentata prima dell o spirare dei termini per l’accertamento previsti nell’art. 43, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e nell’art. 57, commi 1 e 2, d.P.R. n. 633 del 1972; diversamente, con la legge n. 208 del 2015 non è previsto più il raddoppio dei termini in presenza di una violazione che comporti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. Nondimeno, l’art. 1, comma 132, legge n. 208 del 2015, nel dettare la disciplina per gli avvisi relativi ai periodi d’imposta anteriori al 2016 non può che regolare senza contravvenire al principio di irretroattività -che gli avvisi non ancora emessi alla data della sua entrata in vigore.
Tale conclusione è, del resto, conforme a quanto precisato da questa Corte, secondo la quale, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già
notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass., 10/01/2025, n. 666).
1.5. Diversamente, il motivo, come già rilevato, è fondato con riferimento all’IRAP, in quanto secondo quanto secondo questa Corte il cd. raddoppio dei termini, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non si applica all’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., 10/01/2025, n. 600).
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (cd. principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 7 legge n. 212 del 2000.
2.1. Con tale motivo la ricorrente rileva che la CTR non si è pronunciata sul motivo dell’appello relativo alla violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 7 legge n. 212 del 2000, per omessa allegazione della denuncia all’avviso di ac certamento de quo, che non può che comportarne, in ogni caso, la nullità. In sostanza, se l’amministrazione ha l’obbligo di portare al l’attenzione della CTR la copia della notizia di reato al fine di consentire all’organo giudicante l’autonoma valutazione della fondatezza e correttezza della stessa, sulla base del cd. meccanismo della prognosi postuma, non è comprensibile la ragione logica e giuridica per cui lo stesso documento non possa essere considerato quale elemento essenziale anche dell’apparato motivazionale dell’atto impositivo.
2.2. In via preliminare, occorre evidenziare che la sentenza impugnata dà atto nella parte espositiva della censura proposta
dall’odierna parte ricorrente, richiamando alla lettera b) dell’esposizione dei motivi di ricorso introduttivo davanti al giudice di prime cure, la censura de qua, per poi rilevare che in sede di appello sono stati riproposti gli stessi motivi.
2.3. Ciò premesso, il motivo è da ritenere assorbito con riferimento all’IRAP (in conseguenza dell’accoglimento parziale del primo motivo, v. supra , sub 1.5.) e infondato per il resto. Deve, infatti, ritenersi che la censura svolta con il secondo motivo di ricorso in cassazione sia stata rigettata dalla CTR, nella parte in cui -richiamando Cass., 07/10/2015, n. 20043 -ha rilevato che il raddoppio dei termini consegue al mero riscontro dei fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente d alla presentazione della denuncia. Di conseguenza, nell’ambito della versione dell’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 applicabile ratione temporis al caso in esame, non è necessaria la presentazione della denuncia penale -che la parte ricorrente, peraltro, a pag. 12 del ricorso in cassazione (nell’esposizione del primo motivo) dichiara essere successiva alla stessa notifica degli avvisi di accertamento -ma solo l’obbligo ex art. 331 c.p.p. Ne consegue che l’omessa allegazione di tale denuncia all’av viso di accertamento non determina alcuna forma d’invalidità di quest’ultimo , considerato che il giudice tributario è, comunque, messo in condizioni di valutare se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle norme (C. cost. 25/07/2011, n. 247). Peraltro, la Corte costituzionale ha precisato sul punto che: « Il giudice tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obblig o di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta ‘prognosi postuma’) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con
imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un piú ampio termine di accertamento. È opportuno precisare che: a) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare detti presupposti è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il piú ampio potere accertativo attribuitole dal censurato terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972; b) il correlativo te ma di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato; c) gli eventuali limiti probatori propri del processo tributario hanno, pertanto, una ridotta incidenza nella specie e, comunque, non costituiscono oggetto delle sollevate questioni. » (C. cost. n. 247 del 2011, cit. considerato 5.3).
Con il terzo motivo è stata denunciata , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012 e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione al rilievo n. 1 ai fini IRES ed IRAP.
3.1. La società contribuente ha richiamato il testo dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, evidenziando che si tratta di una disposizione funzionale a evitare che, in sede di verifica fiscale, siano contestati redditi che risultano non realmente conseguiti. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui si contesti l’uso di fatture oggettivamente inesistenti, attestanti, quindi, costi fittizi, alla indeducibilità di tali costi non può accompagnarsi la tassazione ai fini IRES ed IRAP dei ricavi dichiarati connessi alla vendita fittizia. Non è stata dimostrata, pertanto, l’attendibilità del parametro attraverso il quale sarebbero stati determinati gli elementi positivi di reddito collegati a costi derivanti da fatture falsi. Tanto più che i ricavi
considerati fittizi -e quindi non imponibili -nel periodo d’imposta 2007 sono stati illegittimamente recuperati a tassazione nel periodo d’imposta 2008.
3.2. Passando all’esame del motivo di ricorso questa Corte , anche recentemente, ha affermato che, in tema di accertamento IVA e delle imposte sui redditi con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, l’applicazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, costituente ius superveniens ed avente portata retroattiva, comporta che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass., 11/04/2024, n. 9900). A tali principi risulta essersi attenuta l’amministrazione finanziaria secondo quanto si legge a pag. 18 del controricorso -quantificando (con rinvio al foglio 7 del PVC) l’ammontare dei componenti positivi afferenti a spese relative a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, individuati come ricavi fittizi derivanti da giroconti di fatture da emettere.
3.3. Sotto il profilo relativo alla ripartizione dell’onere della prova la sentenza impugnata nel rigettare il motivo d’appello ha richiamato un precedente di questa Corte pienamente coerente con Cass., n. 9900 del 2024. Si tratta, in particolare, dell’orientamento secondo il quale, in tema di imposte sui redditi – e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti – grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla
formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 20/11/2013, n. 25967; in senso conforme v. anche Cass., 08/10/2014, n. 21189 e Cass., 19/12/2019, n. 33915).
Di conseguenza, è pienamente condivisibile il rilievo dell’amministrazione finanziaria, secondo il quale eventuali contestazioni relative ai conteggi fatti da quest’ultima avrebbero dovuto essere provate dalla società contribuente. Il motivo è, pertanto, assorbito dall’accoglimento del primo motivo, in parte qua , con riferimento all’IRAP e infondato con riferimento all’IRES.
Con il quarto motivo di ricorso è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione del divieto di doppia imposizione ex art. 67 d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione al rilievo n. 2 ai fini IRAP.
4.1. Con tale motivo la ricorrente ha censurato la violazione del divieto di doppia imposizione ai fini dell’IRAP, considerato che i costi per servizi ripresi a tassazione con il rilievo n. 2 -in quanto non iscritti nel conto economico -sono stati recuperati a tassazione anche ai fini IRAP.
4.2. Rileva, quindi, che negli atti impositivi oggetto di causa è stata accertata l’ indeducibilità dal valore della produzione lorda non solo dei costi derivanti da fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (di cui al rilievo n. 1), ma anche di costi per servizi deducibili, giacché non esposti nel conto economico (pari a Euro 311.398 per l’anno 2007 e 1.000.000 per l’anno 2008) per una presunta violazione del principio di derivazione del reddito dal risultato del bilancio (rilievo n. 2). La società ricorrente ritiene, tuttavia, illegittima tale ripresa a tassazione, risolvendosi in una doppia imposizione a fini IRAP degli stessi costi già recuperati a
tassazione con il rilievo n. 1. Difatti, entrambi i rilievi riguardano elementi negativi di reddito che compongono il medesimo e unico conto sottoposto a controllo (n. 621 -spese per prestazione di servizi). A conferma della sovrapposizione dei rilievi occorre rilevare che l’ammontare dei costi per servizi fittizi ripresi a tassazione (ai fini IRAP) con il rilievo n. 1 copre quasi la totalità dei costi contabilizzati e dichiarati dalla società.
4.3. Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento, in parte qua , del primo motivo di ricorso con riferimento all’IRAP.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il primo motivo di ricorso, limitatamente all’IRAP. Deve essere dichiarato assorbito il quarto motivo di ricorso, mentre il secondo e il terzo motivo devono essere rigettati nei limiti di cui in motivazione e dichiarati assorbiti per il restante.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata senza rinvio limitatamente all’IRAP e , decidendo nel merito, gli avvisi di accertamento impugnati devono essere annullati limitatamente all’ IRAP.
6.1. Le spese di lite del presente giudizio devono essere compensate tra le parti.
…
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti della motivazione; dichiara assorbito il quarto motivo; rigetta il secondo e il terzo motivo, nei limiti di cui in motivazione e li dichiara assorbiti per il restante;
cassa la sentenza impugnata limitatamente all’IRAP e decidendo nel merito annulla gli avvisi di accertamento impugnati limitatamente all’IRAP ;
dispone la compensazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025.