Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27026 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27026 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1933/2016 R.G. proposto da: NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.PER LA SICILIA SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 2405/2015 depositata il 08/06/2015.
nonché
sul ricorso iscritto al n. 1934/2016 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PER LA SICILIA SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 2404/2015 depositata il 08/06/2015.
nonché
sul ricorso iscritto al n. 1937/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PER LA SICILIA SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 2406/2015 depositata il 08/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/10/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
A seguito di segnalazioni del RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, in ragione di situazioni collegate sotto il profilo tributario e di astratta rilevanza penale per ipotesi di concorso, la Guardia di finanza di Enna iniziava una verifica fiscale nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE conclusosi con processo verbale di constatazione del 16 Dicembre 2010, ed avente ad oggetto gli adempimenti fiscali per gli anni di imposta dal 2004 al 2008, estesi poi anche all’anno 2003, periodo in cui la verificata aveva forma di società in nome collettivo. Ne seguiva un disconoscimento di costi dedotti, perché riferibili ad un anno diverso da quello in cui erano stati contabilizzati e, per l’effetto del maggior reddito ricostruito in capo alla società, corrispondente maggiore imposta era recuperata in capo ai due soci, proporzionalmente alla loro partecipazione societaria.
Con distinti ricorsi i soci signori NOME e NOME COGNOME, nonché la RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE avversavano ciascuno l’atto impositivo di cui era destinatario, proponendo ricorso giurisdizionale, senza però trovare apprezzamento nei gradi di merito, donde hanno proposto tre distinti, ma analoghi, ricorsi per cassazione affidati a sette motivi, cui replica a ciascuno il patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Preliminarmente, occorre procedere alla riunione dei ricorsi, sia perché riguardanti il medesimo anno di imposta, sia perché
scaturenti da unico pvc, sia perché scaturenti da sentenze analoghe, sia perché strutturati sui medesimi motivi. Soprattutto, la riunione va disposta in ragione del litisconsorzio necessario fra società di persone e soci, in dipendenza dell’unitarietà dell’accertamento, pur -come si vedrànell’autonomia RAGIONE_SOCIALE posizioni tributarie che si realizza nel caso concreto.
Al proposito, questa Corte rammenta che, fin dalla sentenza RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite n.14815 del 4 giugno 2008, è stato statuito come “In materia RAGIONE_SOCIALE, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei redditi RAGIONE_SOCIALE società di persone e RAGIONE_SOCIALE associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci RAGIONE_SOCIALE stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio” (conforme, tra le molte, Cass. 20 aprile 2016 n.7789). Tale principio è stato affinato ritenendo non necessario il
rinvio al primo giudice, disponendo le riunione per economia processuale e rispetto della ragionevole durata del processo quando: a) vi sia identità di causa petendi dei ricorsi; b) simultanea proposizione degli stessi avverso sostanziale avviso unitario di accertamento da cui scaturiscono le rettifiche reddituali per società e soci; c) simultanea trattazione degli afferenti processi in entrambi i gradi di merito; d) identità sostanziale RAGIONE_SOCIALE decisioni ivi adottate (cfr. Cass. V, n. 3830/2010, Cass. V, n. 3789/2018).
Disposta dunque la riunione degli rgn. 1934/2016 e 1937/2016 al precedente rgn. 1933/2016 , si può procedere all’esame dei motivi.
Vengono proposti sette motivi di ricorso.
Con il primo motivo si profila censura i sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 132 del medesimo codice e 118 RAGIONE_SOCIALE disposizioni attuative, nonché dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992. Nella sostanza, si lamenta carenza di motivazione per argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi , mancando di indicare le ragioni di diritto a sostegno della decisione e limitandosi a richiamare per relationem la sentenza del giudice di primo grado senza in alcun modo esaminare le censure sollevate dall’appellante, qui ricorrente.
Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 del medesimo codice. Nel concreto, si lamenta che la sentenza in scrutinio abbia omesso di pronunciarsi in ordine a quanto dedotto dall’appellante circa l’inapplicabilità alla fattispecie in esame della disciplina sul raddoppio dei termini con conseguente intervenuta decadenza del potere impositivo ai sensi dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. Si afferma che, nel concreto, nessuna denuncia penale è stata presentata nei confronti di esso contribuente, e nega che la denuncia o la sussistenza di fatti
astrattamente di rilevanza penale nei confronti della società comporti il raddoppiamento dei termini per la ripresa a tassazione, anche nei confronti dei soci.
Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 43, comma due bis , del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. Nel concreto si contesta l’affermazione della sentenza in scrutinio che ha fatto salvo l’avviso di accertamento emesso oltre il termine di decadenza ordinario, facendo valere il cosiddetto raddoppio dei termini. Specifica ancora che il raddoppiamento dei termini non può valere ai fini Irap, né per l’indebita deduzione di costi non di competenza, trattandosi di profili non sanzionati dal decreto legislativo n. 74 del 2000 per i quali, quindi, non è previsto il raddoppio dei termini.
Con il quarto motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile, sollevando eccezione di giudicato per contrasto con precedente giudicato esterno, intervenuto sugli stessi elementi comuni non suscettibili di nuovo giudizio, in violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 del codice civile. La parte privata specifica che con la sentenza numero 3060/21/14 la Commissione RAGIONE_SOCIALE regionale per la Sicilia, sezione di Caltanissetta, aveva già riconosciuto che le indagini della polizia RAGIONE_SOCIALE sugli anni di imposta dal 2003 al 2008 si fondavano su dichiarazioni rilasciate dalla signora COGNOME NOME, laddove ha riferito di avere emesso fatture di comodo in tale arco temporale a vantaggio della società della parte qui ricorrente. Tale circostanza, pure nota e riportata nella sentenza in scrutinio, è stata obliterata con motivazione che si afferma contrastare con il giudicato.
Con il quinto motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 12, comma quinto, della legge numero 212
del 2000. Nello specifico, si contesta la permanenza dei verificatori per oltre 30 giorni lavorativi nella sede della società contribuente verificata, donde erra il giudice di merito nella sentenza in scrutinio, laddove afferma che la violazione di tale termine non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento.
Con il sesto motivo si prospetta censura, da ritenersi proposta ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile, per violazione falsa applicazione dell’articolo 7 della legge numero 212 del 2000, nonché dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973. Nel concreto viene contestato alla sentenza in scrutinio di aver ritenuto validi ed efficaci gli atti impositivi, in quanto motivati con rinvio al processo verbale di constatazione, senza che tali provvedimenti presupposti siano stati allegati.
Con il settimo ed ultimo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 109 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986 e 2423 bis del codice civile. Nella sostanza si contesta l’impermeabilità della deduzione dei costi, che se anche sostenuti in un certo anno, possono essere dedotti in annualità successiva, quando in quest’ultima siano stati ritenuti certi e definitivi. In altri termini il principio di competenza viene circoscritto ai soli componenti certi e determinabili, laddove i componenti la cui esistenza non sia provata o l’ammontare non sia determinabile debbono essere imputati quando queste condizioni si realizzeranno.
In ordine alla posizione della società, è rilevante e va esaminato con priorità il motivo attinente al raddoppio dei termini per adottare l’atto impositivo.
In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., va esaminato ed accolto il terzo motivo del ricorso, la cui fondatezza assorbe ogni altra questione
dibattuta fra le parti. La causa, infatti, può essere decisa sulla base della questione di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, secondo l’indirizzo espresso da questa Corte: “a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica RAGIONE_SOCIALE soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine RAGIONE_SOCIALE questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (Cass. V, n. 363/2019; Cass. n. 11458/2018; Cass. n. 12002/; Cass. S.U. n. 9936/2014).
Particolare menzione necessita infatti il riferimento all’IRAP. È pacifico che il d.lgs. n. 74/2000 non prevede tale imposta fra quelle per cui vi è tutela penale, donde non può essere raddoppiato il termine per l’emissione dell’atto impositivo in assenza di tale guarentigia. Sul punto è già intervenuta questa Suprema Corte di Legittimità, affermando che in tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (cfr. Cass. VI-5, n. 10483/2018).
Pur di fronte alla precisa eccezione del patrono erariale in controricorso, ove afferma che il motivo era stato proposto in primo grado sotto il diverso profilo del mancato superamento della soglia di punibilità (p. 7 del ricorso introduttivo di primo grado), affermazione non contestata da parte contribuente, la censura è stata affinata in sede di memoria in primo grado e riproposta nei gradi successivi. Un tanto soddisfa l’onere di specificità dell’impugnazione, essendo sufficiente la volontà di voler cont rastare la pretesa impositiva, rilevando l’illegittimità dell’avviso di accertamento sul presupposto della violazione di legge che permette al giudice di modulare la pretesa impositiva facendo leva sugli
elementi sostanziali. La natura impugnatoria – accertatoria della giurisdizione RAGIONE_SOCIALE, si riflette nel suo carattere misto oggettivo e soggettivo e muove da un atto introduttivo teso alla demolizione di un provvedimento amministrativo a contenuto impositivo al fine di accertare l’esatto perimetro dell’obbligazione RAGIONE_SOCIALE, sicché resta preclusa al giudice di merito la cognizione di vizi del provvedimento non esplicitamente prospettati nel termine decadenziale fissato per la notifica del ricorso. (cfr. Cass. V, n. 10779/2007; n. 13742/2015; Cass.VI -5, n. 11223/2016; n. 15769/2017). Pertanto, il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” RAGIONE_SOCIALE parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c. in tal modo determinando l’ammontare effettivo RAGIONE_SOCIALE imposte e RAGIONE_SOCIALE sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del “quantum” della pretesa RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass. V, n. 3080/2021).
Pertanto, il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, è fondato e merita accoglimento.
Per quanto attiene alla posizione dei soci, occorre esaminarne la distinta qualificazione attraverso il prisma della differente ripresa a tassazione, attinente alla maggiore Irpef per il disconoscimento di costi portati in deduzione dalla società , e dell’autonomia di giudizio
che riguarda i soci, dove il giudicato relativo alla società non si estende nei loro confronti per i tributi personali.
I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente, imperniandosi sulla disciplina del raddoppio dei termini per emettere l’atto impositivo in presenza di fatti astrattamente costituenti reato, evidenziando ora la mancata pronuncia in ordine al relativo capo di domanda, ora l’appiattimento sulla sentenza di primo grado, ora l’illegittimità del raddoppio dei termini con riferimento all’IRAP.
I primi tre motivi non possono essere accolti. Giudice del fatto processuale, questa Corte di legittimità ha esaminato la motivazione della sentenza in scrutinio e la trova congrua e coerente, con adesione alle argomentazioni della sentenza di primo grado, autonomamente e criticamente valutate, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non si intravede qui ragione per discostarsi. Ed infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011). Peraltro, non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita
pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. III, n. 24953/2020).
Infatti, per questa Suprema Corte di legittimità, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti b) ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass., S.U. n.14815/2008). Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta ” per relationem ” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica.
Né, peraltro, può esserci violazione di legge in ordine al raddoppio dei termini per l’adozione dell’atto impositivo, sull’assunto che -nel concreto- non vi è stata denuncia/querela o comunque atto di impulso per l’esercizio dell’azione penale. Su questo p unto preciso, è consolidato l’orientamento per cui non è necessario (né richiesto dalla norma) il preventivo esercizio dell’azione penale, bastando l’astratta ipotesi di fatto costituente reato. Più precisamente, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva
presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011 (Cass. V, n. 24576/2022). Altresì, in tema di accertamento tributario, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari di una società in accomandita semplice determina il raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, anche del reddito imputato “per trasparenza” ai soci accomandanti. (Cass. T, n. 15999/2024).
5 . Particolare menzione necessita il riferimento all’IRAP. Ed infatti, dal tenore degli atti impositivi controversi è ben chiaro che il raddoppio dei termini ordinari di accertamento è stato invocato dall’Ufficio «poiché nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE sono state contestate violazioni che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen.». Ciò posto, in forza del principio dell’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei redditi RAGIONE_SOCIALE società di persone e dei soci RAGIONE_SOCIALE stesse ex art. 5 del T.U.I.R., non può dubitarsi del fatto che il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari determini il raddoppio dei termini per l’accertamento anche del reddito imputato «per trasparenza» al socio. Invero, come già ritenuto da questa Corte, l’addebito fiscale al socio discende ope legis dall’accertamento effettuato nei confronti della società, nella quale (con particolare riguardo alla società in nome collettivo) alcuni soci rivestono la posizione di amministratori ed altri sono dotati di amplissimi poteri di controllo, sì da escludere un rapporto di alterità (e la qualità di terzi) dei membri della compagine sociale rispetto all’ente collettivo non personificato: e tanto rileva allorquando sia ipotizzata la contestazione di un fatto di reato agli amministratori sociali, con contegno tenuto in vista di un vantaggio (illecito) comune, costituito dal maggiore reddito sociale imputato per trasparenza ai soci (in tal senso, con riferimento ad una società in nome collettivo, Cass. 16/12/2016, n. 26037; per l’applicabilità del
raddoppio dei termini ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, cfr. Cass. 7/10/2015, n. 20043).
A confutare gli ulteriori rilievi mossi dall’impugnante, basti il richiamo al consolidato indirizzo ermeneutico espresso dal giudice della nomofilachia, al quale si intende qui dare continuità. Muovendo dalla lettura costituzionalmente orientata della materia offerta dalla Consulta nella sentenza del 25 luglio 2011, n. 247, questa Corte, proprio con riferimento a fattispecie (quale quella in esame) disciplinate ratione temporis dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 nella formulazione modificata dal d.l. n. 223 del 2006, vanno ribaditi i seguenti principi di diritto: (a) il raddoppio dei termini per l’accertamento si applica anche alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento (4 luglio 2006) di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALE disposizioni dettate dal d.l. n. 223 del 2006, questo effetto derivando non dalla natura retroattiva della norma, ma dalla protrazione ex nunc dei termini, non ancora scaduti, di accertamento RAGIONE_SOCIALE violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio di cui all’art. 11, primo comma, disposizioni preliminari al codice civile; (b) il raddoppio dei termini si correla automatica alla speciale condizione obiettiva della ricorrenza di fatti implicanti, in guisa di seri indizi, l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia (né, a fortiori, della produzione di essa nel giudizio), dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo, restando in particolare irrilevante l’esito del processo penale (con decisione di proscioglimento per intervenuta prescrizione, di assoluzione o di condanna) in ragione dell’autonomia di esso rispetto al processo tributario (per l’affermazione di questi principi, cfr. Cass. Cass. 7/10/2015, n. 20043; Cass. 09/08/2016, n. 16728; Cass. 16/12/2016, n. 26037; Cass. 11/04/2017, n. 9322; Cass. 08/05/2017, n. 11207; Cass. 10/01/2018, n. 409; Cass. 14/05/2018, n. 11620; Cass. 13/09/2018, n. 22337; Cass.
30/10/2018, n. 27629; Cass. 19/12/2019, n. 33793; Cass. 02/07/2020, n. 13481 cfr. altresì Cass. 28/01/2021, n. 1883).
Atteso il riscontro in fatto compiuto dalla sentenza impugnata («nel caso in esame la società è stata accusata di reati tributari e denunciata alla magistratura penale»), non sussistono dunque le violazioni prospettate dal ricorrente.
A completamento di questo profilo, va ricordato che la sentenza in scrutinio risulta coerente anche con l’opera di cesello con cui il Giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha affinato la disciplina de qua . Ed infatti, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini per la notificazione degli avvisi di accertamento previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis , in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, non è, alla luce della interpretazione di cui alla sentenza n. 247 del 2011 della Corte cost., cumulabile con la proroga biennale di cui all’art. 10 della l. n. 289 del 2002 per i soggetti che non si sono avvalsi del condono o che non abbiano potuto farlo, mentre va considerato, ai fini della decadenza dal potere impositivo dell’Amministrazione, il massimo dell’ampliamento temporale previsto dalla singola normativa ad essa più favorevole (cfr. Cass. T, n. 9010/2024). Pertanto, va ribadito il principio di diritto per cui l’obbligo di denuncia penale fa scattare il raddoppiamento dei termini per l’emissione degli atti impositivi nei confronti dei soci di società di persone sulle imposte dovute ‘per trasparenza’, anche se la ripresa a tassazione nei confronti della società siasi risolta in annullamento.
I primi tre motivi non possono quindi essere accolti.
.VI. Deve ora esaminarsi il quarto motivo, laddove si eccepisce contrasto di giudicato con precedente sentenza che ha vagliato criticamente gli elementi su cui si àncora l’ipotesi di reato che ha dato scaturigine al raddoppio dei termini, ritenendoli destituiti di fondamento ed inattendibili. Tale precedente sentenza è citata nella
pronuncia in scrutinio, donde avrebbe dovuto rilevare il giudicato esterno. Al contrario, a pag. 4, primo capoverso, della sentenza qui impugnata, il collegio nisseno rappresenta come nel precedente giudizio ‘non avesse contezza RAGIONE_SOCIALE fatture emesse dalle cc.dd. cartiere’, essendosi limitato solo a scrutinare la motivazione dell’atto impositivo, con profili, quindi, di mera coerenza interna del provvedimento amministrativo. Pertanto, non può parlarsi di identico accertamento dei medesimi fatti in altro giudizio, cioè del presupposto del giudicato esterno da estendere alla controversia qui in oggetto. Peraltro, ed in limine , è irrilevante che gli elementi di astratta rilevanza penale si siano rivelati inconsistenti in un momento futuro all’inizio RAGIONE_SOCIALE indagini di polizia RAGIONE_SOCIALE, poiché è dato acquisito che in tema di accertamento tributario, per il raddoppio dei termini ex artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, è sufficiente l’emersione di elementi da cui derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale e non rilevano i successivi esiti dell’accertamento né il fatto che gli atti impositivi siano fondati su elementi privi di rilevanza penale, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine (cfr. Cass. T, n. 20409/2023).
Neppure il quarto motivo può quindi essere accolto.
Con il quinto motivo ci si duole che la sentenza in scrutinio abbia ritenuto irrilevante la violazione procedimentale di cui all’art. 12, comma quinto, l. n. 212/2000 che vieta la permanenza dei verificatori nei locali dell’azienda verificata per più di tr enta giorni lavorativi consecutivi. La sentenza in scrutino, a pag. 3, primo capoverso, ove tratta del profilo, risulta coerente con i principi sanciti da questa Suprema Corte di legittimità. Ed infatti, in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, della legge 27 luglio
2000, n. 212, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (cfr. Cass. V, n. 7584/2015; cfr., altresì, n. 2055/2017; n. 6779/2022).
Il quinto motivo non può essere accolto.
Con il sesto motivo si propone censura per violazione dell’art. 7 della l. n. 212/2000, per non essere stati allegati all’atto impositivo i documenti presupposti su cui si fonda.
A pag. 3, secondo capoverso, correttamente la sentenza in scrutinio rileva che tale mancata allegazione non produce effetto caducatorio del provvedimento amministrativo qualora gli atti presupposti e non allegati siano conosciuti -nel loro contenuto fondamentale- dal contribuente. Ed infatti, nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per relationem , è comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (cfr. Cass. T, n. 8016/2024). Altresì, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione RAGIONE_SOCIALE, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (cfr. Cass. V, n. 29968/2019). Né può essere scrutinata in questa sede l’affermazione per cui il collegio d’appello non avrebbe verificato se il PVC presupposto fosse stato consegnato o meno alla parte e se
comunque avesse verificato se la conoscenza degli atti presupposti fosse adeguata: trattasi invero di profili meritali, non proponibili avanti questa Suprema Corte di legittimità che mirano ad ottenere un apprezzamento dei fatti diverso ed opposto rispetto quello cui è prevenuto il giudice del gravame.
Donde il sesto motivo non può essere accolto.
Con il settimo ed ultimo motivo si protesta violazione RAGIONE_SOCIALE diposizioni sull’imputazione dei costi deducibili, richiamando il temperamento al principio di competenza per le spese che vengono a consolidarsi in anno successivo rispetto alla loro assunzione. Laddove non si tratti di pagamenti con cadenza rateale, debbono essere portati in deduzione nell’anno in cui diviene certo il loro ammontare. Nel caso in esame, la sentenza in scrutino ha appurato che la ripresa a tassazione si è concretata nel disconoscimento di costi portati in deduzione nel 2003, per prestazioni di noleggio fatturate in anni successivi. Con apprezzamento di merito non suscettibile di scrutinio in Cassazione, la sentenza d’appello ha valutato che la prestazione si sia prolungata e che i relativi costi siano diventati certi e determinati in un anno di imposta successivo a quello in cui sono stati portati in deduzione, dando prevalenza alla natura della prestazione ed alla data di fatturazione, quale completamento e ‘cristallizzazione’ dell a spesa da portare -in quel momento- a deduzione.
Il motivo si configura prima inammissibile che infondato. Ed infatti, è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in
sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Peraltro, ed in ogni caso, in materia di imposte sui redditi e con riguardo al reddito d’impresa, il principio di competenza, stabilito dall’art. 75 (poi 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, prescinde dal momento nel quale il documento giustificativo del costo viene acquisito o viene esibito, giacché, se si ritenesse il contrario, si verrebbe a collegare, inammissibilmente, l’imputabilità del costo non a fatti oggettivi e ad effetti ben precisi, individuabili nel tempo alla stregua della norma, ma alla volontà di soggetti che avrebbero la possibilità di fornire il documento rappresentativo del costo nel momento più opportuno, a seconda della convenienza. Il citato art. 75 (ora 109) consente una deroga solo per le ipotesi nelle quali nel periodo di competenza “non sia ancora certa l’esistenza” RAGIONE_SOCIALE spese o il loro ammontare non sia “determinabile in modo obiettivo” (Cfr. Cass. V, n.8577/2006). Ed infatti, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione; né l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 cod. civ., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (cfr. Cass. V, n. 6331/2008).
Neppure il settimo motivo può essere accolto.
In definitiva, il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, è fondato e merita accoglimento. Non residuando
ulteriore accertamento da espletarsi in fatto, il giudizio può essere definito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente limitatamente all’IRAP.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per contro, il ricorso dei soci è infondato e dev’essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte riunisce al presente i ricorsi rgn. 1934/2016 e rgn. 1937/2016.
Accoglie il ricorso rgn. 1937/2016, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente limitatamente all’IRAP. Compensa fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna l’Amministrazione controricorrente alla rifusione dele spese del giudizio di legittimità che liquida in €.quattormilacento/00, oltre ad €.200,00 per esborsi, rimborso in misura forfettaria del 15%, oltre ad Iva e cpa nei termini di legge.
Rigetta i ricorsi rgn. 1933/2016 e rgn. 1934/2016, condanna le parti private, in solido tra loro, alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE in €.diecimilacento/00, oltre alle spese prenotate a d ebito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei soci ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 02/10/2024.