Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9010 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9010 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25955/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma INDIRIZZO, presso l’Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato, che la rappresenta e difende per legge.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’AVV_NOTAIO, con domicilio presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO, come da procura speciale.
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2024/2016, depositata l’8 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso;
udita per l’Avvocatura generale dello Stato l’AVV_NOTAIO;
udito per la controricorrente l’AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Con avvisi relativi ai periodi d’imposta 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate, all’esito di verifica della Guardia di finanza e del conseguente processo verbale di constatazione, aveva accertato, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto lussemburghese, le imposte (RAGIONE_SOCIALE, Irap ed Iva) dovute e non versate sul reddito imponibile prodotto in Italia, irrogando altresì le relative sanzioni. L’atto impositivo era fondato sul presupposto che la contribuente, società formalmente di diritto lussemburghese, fosse in realtà effettivamente residente in Italia.
Avverso gli atti impositivi la contribuente propose distinti ricorsi che la Commissione tributaria provinciale di Milano, dopo averli riuniti, accolse parzialmente, ritenendo (così come risulta dal ricorso e dal controricorso) che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere di accertamento:
relativamente agli avvisi per le annualità 2000 e 2001, stante la non cumulabilità del più ampi termini di accertamento, previsto dall’art. 43, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, con la proroga biennale di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002, prevista per i contribuenti che non si avvalgono del condono disciplinato dagli artt. da 7 a 9 della medesima legge; riguardo agli avvisi per le annualità successive, dal 2002 al 2004, limitatamente alle riprese ai fini Irap, non operando per tale imposta, il maggior termine di cui al predetto art. 43, terzo 3, del d.P.R. n. 600 del 1973.
I ricorsi vennero invece rigettati quanto ai rilievi in materia di RAGIONE_SOCIALE, per gli anni d’imposta dal 2002 al 2004.
Proposto appello sia dall’RAGIONE_SOCIALE che dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, dopo aver riunito le impugnazioni accolse quella della società e rigettò quella erariale, annullando pertanto integralmente tutti gli accertamenti controversi, come si ricava dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza d’appello, che recita « accoglie l’appello ed in riforma della sentenza impugnata , annulla gli avvisi d’accertamento.
Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’Amministrazione, affidandolo ad un motivo.
La contribuente si è costituita con controricorso ed ha prodotto memoria.
Il AVV_NOTAIO generale, nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha depositato requisitoria scritta, chiedendo di accogliere il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo, l’RAGIONE_SOCIALE denunzia « Violazione dell’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57,comma 3, del DPR 633/1972, entrambi nella versione vigente ratione temporis , e dell’art. 331 c.p.p., nonché falsa applicazione dell’art. 2 del D.lgs. 128 del 2015, in relazione all’art. 360, comma 1, п. 3 с.р.с. .», assumendo che la sentenza impugnata avrebbe fondato la ritenuta non operatività del c.d. ‘raddoppio’ dei termini di accertamento su due ragioni, entrambe erronee, ovvero la mancata presentazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della denuncia penale entro i termini ordinari di decadenza dell’accertamento tributario e l’intervenuta prescrizione del reato al momento in cui sono stati emessi gli avvisi di accertamento. Il motivo è in parte fondato e va accolto nei termini che seguono.
Il nodo della controversia consiste nell’individuazione, in diritto, dei presupposti di applicazione, o meno, al caso di specie dell’istituto del ‘raddoppio’ dei termini di accertamento di cui all’art. 43, terzo comma , del d.P.R. n. 600 del 1973, nell’ipotesi di violazione tributaria che comporti l’obbligo di denuncia penale all’autorità giudiziaria. La questione involge profili di diritto intertemporale, atteso le modifiche legislative che si sono susseguite in materia.
Ove poi si pervenisse alla conclusione che il ‘raddoppio’ sia applicabile, eventualmente anche soltanto ad alcuni degli atti impositivi controversi, si porrebbe l’ulteriore problematica della sua cumulabilità, o meno, con il diverso istituto del prolungamento biennale dei termini di accertamento, disposto dal già richiamato art. 10 della legge n. 289 del 2002.
Attesa la componente fattuale dell’accertamento dell’eventuale decadenza, la verifica, in questa sede, dello scostamento della sentenza impugnata dalla corretta applicazione della normativa evocata comporterà necessariamente la rimessione della controversia al giudice a quo , con somministrazione dei principi di diritto da applicare.
2. Tanto premesso, è opportuno evidenziare immediatamente l’infondatezza della censura per quanto riguarda i rilievi degli atti impositivi in materia di Irap. Infatti, come questa Corte ha già chiarito, in tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’Irap, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass. 03/05/2018, n. 10483; Cass. 24/02/2020, n. 4742; Cass. 09/08/2022, n.
24576). In parte qua , quindi, le questioni sollevate dalla ricorrente circa l’applicazione del ‘raddoppio’ previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 sono irrilevanti ed il ricorso va quindi rigettato.
3. Per le imposte diverse dall’Irap, al fine di individuare la normativa applicabile ratione tempori s, questa Corte ha già chiarito che « In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati.» (Cass. 09/08/2016, n. 16728; conformi, ex plurimis , Cass. 16/12/2016, n. 26037; Cass. 14/05/2018, n. 11620; Cass. 19/12/2019, n. 33793).
In particolare, si è precisato che il ‘raddoppio’ dei termini previsto dagli artt. 43, terzo comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011. (Cass. 09/08/2022, n. 24576). In conformità alla motivazione di tale ultimo arresto, deve rilevarsi che è estraneo al perimetro del presente giudizio (che ha per oggetto accertamenti notificati il 28 dicembre 2013, come da sentenza impugnata) lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il ‘raddoppio’ dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del ‘raddoppio’ dei termini ordinari. La prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica, per quanto qui interessa, agli atti impositivi notificati al 2 settembre 2015, quali quelli in oggetto.
Quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 secondo cui il ‘raddoppio’ dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso RAGIONE_SOCIALE indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132, riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’RAGIONE_SOCIALE fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; Cass. 09/08/2016, n. 16728).
Alla luce di tali principi, deve quindi escludersi che, come ha invece ritenuto la sentenza impugnata, l’effettiva presentazione della denuncia di reato all’autorità inquirente, o addirittura l’inoltro della stessa denuncia prima della scadenza del termine ordinario di accertamento, costituissero, nel caso di specie, una condizione necessaria ai fini del ‘raddoppio’ del medesimo termine, essendo invece sufficiente la presenza di seri indizi di reato, che facessero insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale.
Ai fini della valutazione della sussistenza di seri indizi di reato, e della non pretestuosità del ‘raddoppio’ dei termini invocato dall’Amministrazione, rimessa al giudice del merito, non può poi rilevare, come erroneamente ritenuto dalla CTR, l’eventuale avvenuta maturazione della prescrizione del reato tributario al momento nel quale venga notificato l’accertamento.
Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, anche in caso di eventuale prescrizione del reato, ai fini del ‘raddoppio’ dei termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis , rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. 11/04/2017, n. 9322; Cass. 30/06/2021, n. 18451, in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. 09/08/2022, n. 24576, cit.).
In parte qua , il ricorso va quindi accolto.
4. All’esito RAGIONE_SOCIALE valutazioni dei presupposti del ‘raddoppio’ dei termini, ove pervenga alla conclusione che l’art. 43, terzo comma , del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis , sia applicabile, eventualmente anche soltanto ad alcuni degli atti impositivi controversi, il giudice del merito dovrà poi verificare la cumulabilità, o meno, con il diverso istituto della proroga biennale dei termini di accertamento, disposta dal già richiamato art. 10 della legge n. 289 del 2002.
Sul punto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del 25 giugno 2011, ha evidenziato “per completezza” che «non rientrano, pertanto, nel computo dei termini da raddoppiare ai sensi RAGIONE_SOCIALE disposizioni denunciate né la proroga biennale di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002, né il diverso ‘raddoppio’ dei termini dei medesimi primi due commi dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 previsto, nell’ambito degli interventi antievasione e antielusione internazionale nazionale, dal comma 2-bis dell’art. 12 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78». Ed ha aggiunto che, «nel caso in cui i prolungamenti di termini previsti dalle disposizioni denunciate e da altre disposizioni siano astrattamente applicabili in relazione alla medesima fattispecie, l’Amministrazione finanziaria non potrà mai utilizzarli in modo cumulativo al fine di superare il massimo dell’ampliamento temporale previsto dalla singola normativa più favorevole per l’amministrazione. Questa interpretazione esclude che le disposizioni denunciate possono concorrere a rendere irragionevolmente lunghi tempi di accertamento». Principio, quest’ultimo, la cui valenza generale di orientamento dell’interpretazione appare comune alle fattispecie legali di proroga e ‘raddoppio’ dei termini decadenziali per l’accertamento, pur se relative alle diverse tipologie d’imposta.
In applicazione di tale insegnamento del giudice RAGIONE_SOCIALE leggi (ed in coerenza con Cass. 23/06/2021, n. 17928, pur se relativa alla concorrenza con diversa fattispecie di proroga): « In conformità all’interpretazione costituzionalmente orientata suggerita, al fine di escludere che siano resi irragionevolmente lunghi i tempi di accertamento, dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte cost., in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, il c.d. ‘raddoppio’ dei termini per la notificazione degli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 43, co.3, d.P.R. n. 600/1973, vigente ratione temporis , non è cumulabile con la proroga biennale di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 per i soggetti che non si sono avvalsi del condono o che non abbiano potuto farlo. Va, invece, considerato, ai fini della decadenza dal potere
impositivo della Amministrazione, il massimo dell’ampliamento temporale previsto dalla singola normativa più favorevole per l’Amministrazione».
Anche tale principio dovrà pertanto attenersi il giudice del merito, all’esito dei necessari accertamenti in fatto.
PQM
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il 22 marzo 2024