Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 571 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 571 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 7810/2015 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME , rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultim o in Roma INDIRIZZO giusta procura speciale a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1415/8/14, depositata il 22 settembre 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo di
Oggetto:
Accertamento
ricorso, salvi gli effetti della rottamazione parziale delle cartelle impugnate.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE, società esercente l’attività di lavanderia industriale, e i soci NOME COGNOME e NOME COGNOME, impugnavano gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate per Iva, Irap e imposte sul reddito nei confronti della società e, per trasparenza, nei confronti dei soci per Irpef e addizionali per l’anno 2001 in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, riprendendo i costi inesistenti dedotti e l’indebita detrazione Iva.
L’avviso, in particolare, traeva origine da una attività di controllo eseguita nei confronti di società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che avevano realizzato un meccanismo finalizzato a consentire alle società del gruppo di richiedere ingenti rimborsi di imposta e ad aziende terze di dedurre costi inesistenti per attività mai poste in essere.
L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Padova. La sentenza era confermata dalla CTR in epigrafe che riteneva legittimi gli avvisi e fondata la ripresa.
Avverso detta decisione i contribuenti propongono ricorso per cassazione con cinque motivi . L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Nelle more del giudizio, i contribuenti hanno presentato memoria evidenziando di aver presentato istanza di rottamazione delle cartelle di pagamento notificate a seguito delle sentenze di primo e secondo grado. Rinviato il giudizio per l’acquisizione di informazioni, l’Agenzia delle entrate ha confermato che la rottamazione ha riguardato le sole cartelle emesse nel corso del giudizio.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente va dato atto che, con riguardo agli importi riversati nelle cartelle di pagamento ex art. 68 l. n. 546 del 1992, il
giudizio va dichiarato estinto per l’intervenuta definizione agevolata ex art. 6 d.l. n. 193 del 2016.
Permane, peraltro, il contenzioso per la parte residua della ripresa.
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 43, primo e terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, 57, primo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, 331 c.p.p. e 157 c.p. per aver la CTR ritenuto applicabile il raddoppio dei termini dell’accertamento ancorché l’illecito penale fosse già estinto per prescrizione all’avvio dell’istruttoria tributaria.
2.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione del reato ed aver applicato il raddoppio dei termini.
2.2. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 43, primo e terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, 57, primo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 interpretati in conformità ai principio unionali e costituzionali di proporzionalità e correttezza per aver la CTR ritenuto applicabile la disciplina sul raddoppio dei termini accertativi anche in caso di procedimento penale avviato dopo la chiusura dell’istruttoria tributaria e alla notifica dell’accer tamento.
2.3. In via subordinata formula istanza di rimessione alla Corte di giustizia ex art. 367 TFUE e alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 3, 117 e 97 Cost.
2.4. Il quarto motivo denuncia nuovamente la violazione e la falsa applicazione della citata disciplina per aver la CTR ritenuto applicabile la disciplina del raddoppio anche all’Irap.
I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati i primi tre, mentre è fondato il quarto.
3.1. In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 per l’Irpef (e all’Ires) e 57, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 per l’Iva, consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015 e alla l. n. 208 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.
La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto.
Ne deriva che, come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei princìpi enunciati da Corte cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. n. 17586 del 28/06/2019; Cass. n. 22337 del 13/09/2018; Cass. n. 11171 del 30/05/2016; da ultimo Cass. n. 13481 del 02/07/2020), restando altresì privo di ogni rilievo che l’ill ecito, in ipotesi, sia prescritto.
Va infatti sottolineato che -contrariamente a quanto prospetta il ricorso -non si assiste ad una ‘riapertura’ dei termini ma, semplicemente, come pure si è chiaramente espressa la Corte costituzionale, il termine ordinario è quello raddoppiato in presenza del presupposto dell’astratta sussistenza di illiceità penale.
3.2. In evidenza, ciò non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al
fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.
Occorre tuttavia sottolineare che l’ambito di tale accertamento è specificamente delimitato.
La stessa sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011 ha infatti chiarito che, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità », con la precisazione che « il correlativo tema di prova -e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario -è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato » (punto 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
Ne deriva che la contestazione del contribuente -e, a maggior ragione, il controllo ad opera del giudice tributario – non può mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né con riguardo ad eventuali cause estintive, né infine, dal punto di vista del suo autore.
3.3. Nella specie, invero, neppure era contestata la riconducibilità della condotta all’illecito penale e, in ogni caso, la CTR ha fatto buon governo degli anzidetti principi posto che ha correttamente rilevato che « il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale indipendentemente dall’esito di quest’ultima ».
3.4. Per completezza, infine, sono irrilevanti le modifiche introdotte dall’art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 128 del 2015, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, poi, dall’art. 1, commi 130-132, l. n. 208 del 2015.
La prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2 d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta in data 23 ottobre 2013.
Quanto alla seconda novella, il regime transitorio ivi previsto per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 -per cui il raddoppio dei termini di accertamento, stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera purché la denuncia penale sia presentata o trasmessa entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015 (v. Cass. n. 33793 del 19/12/2019; Cass. n. 11620 del 14/05/2018).
3.5. Le richieste di rinvio pregiudiziale e di legittimità, infine, vanno disattese in quanto inammissibile la prima e manifestamente infondata la seconda.
L’intervento della Corte costituzionale, sopra citato, ha infatti definitivamente chiarito la congruità e la conformità della scelta del legislatore ai principi di uguaglianza e proporzionalità e di buona amministrazione, scelta che resta giustificata proprio in relazione alla
qualità delle condotte fraudolente tali da rendere più difficoltoso l’accertamento dell’Ufficio.
Quanto ai profili unionali, l’istanza oltre che manifestamente infondata neppure potendosi ritenere l’assetto normativo in esame irragionevole e carente in punto di proporzionalità -è, prima ancora, inammissibile per assoluta genericità, neppure essendo stati precisati i parametri per la valutazione di rilevanza.
3.6. Va invece accolto il motivo con riguardo alla ripresa Irap posto che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, « non essendo l’Irap un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento » quale applicabile ratione temporis (Cass. n. 10483 del 03/05/2018; Cass. n. 4742 del 24/02/2020).
Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente per non aver la CTR precisato gli elementi a supporto della pretesa fiscale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016; Cass. n. 13977 del 23/05/2019).
4.3. Nella specie, la CTR, sia pure in termini concisi, ha accertato, con un chiaro riferimento ai documenti in atti, che l’oggettiva inesistenza delle fatture derivava sia « per l’inesistenza dello studio di nuovo processo produttivo », sia « per l’assenza di effettività delle
prestazioni di RAGIONE_SOCIALE (priva struttura produttiva, beni strumentali, personale », sia « per la grossolanità dei tentativi di ricostruzione ex post dei servizi a base delle fatturazioni ».
4.4. Si tratta di motivazione per nulla apparente, risolvendosi la censura in una inammissibile contestazione sulla asserita insufficienza della stessa.
In conclusione, va dichiarata l’estinzione parziale del giudizio per l’intervenuta definizione agevolata delle cartelle emesse ex art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992, mentre, per il resto, in accoglimento del quarto motivo, infondati i primi tre motivi e inammissibile il quinto, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso della società limitatamente all’Irap.
Le spese, atteso il complessivo esito del giudizio, vanno compensate per ogni fase e grado.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione parziale del giudizio limitatamente agli importi portati nelle cartelle emesse ex art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992 per intervenuta definizione agevolata; per il resto, accoglie il quarto motivo di ricorso, infondati i primi tre motivi e inammissibile il quinto; in relazione al motivo accolto, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della sola società limitatamente alla ripresa Irap.
Compensa integralmente le spese per ogni fase e grado. Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 8 novembre 2023