Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9162 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9162 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 20226-2017, proposto da:
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv. NOME e NOME COGNOME dai quali è rappresentato e difeso –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 236/10/2017 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 27.01.2017;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 30 gennaio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Cartella di pagamento -Notifica -Ritualità -Raddoppio dei termini
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che COGNOME Giuseppe ha proposto ricorso avverso una cartella di pagamento, avente a presupposto un avviso di accertamento, non impugnato e divenuto definitivo.
IL contribuente, che si doleva della irritualità della notifica dell’atto prodromico e della tardività dell’accertamento e della cartella, adì la Commissione tributaria provinciale di Bari, che con sentenza n. 113/11/2015 ne rigettò le ragioni. L’appello c on cui il COGNOME insisteva nelle sue difese è stato respinto dalla Commissione tributaria regionale della Puglia con sentenza n. 236/10/2017.
Il giudice d’appello ha rilevato che dalla documentazione prodotta dall’ufficio la notificazione dell’atto impositivo risultava corretta. Negava poi una decadenza dell’Agenzia delle entrate dal potere impositivo, applicandosi al caso tanto il raddoppio del termini previsto dal l’art. 37 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 ( ratione temporis vigente), quanto la proroga di un anno, applicabile ai contribuenti che avevano aderito al condono regolato dalla l. n. 289 del 2002.
Il contribuente ha censurato con due motivi la sentenza, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l ‘Agenzia delle entrate con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 30 gennaio 2025 la causa è stata decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 139, 149 e 160 cod. proc. civ., degli artt. 7 e 8, l. n. 890 del 1982, nonché dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe err ato nel riconoscere l’esistenza dell’invio della raccomandata informativa, indispensabile ai fini del regolare adempimento delle operazioni di notifica dell’avviso d’accertamento.
Nella sua difesa il ricorrente sostiene che la documentazione allegata dall’ufficio, ed in particolare della spedizione della raccomandata informativa, non fosse idonea a provare l’effettivo compimento della procedura, stante la diversa documentazione in possesso del contribuente.
RGN 20226/2017 A parte che, ai fini del rispetto del principio di specificità, il motivo doveva essere corredato dalla riproduzione in ricorso dei diversi documenti nella disponibilità del ricorrente, in ogni caso, sulla questione, il giudice
regionale ha eseguito una specifica verifica, accertando gli stadi di esecuzione della notifica dell’avviso d’accertamento, compreso quello della immissione nella cassetta postale della raccomandata di avviso di avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale (CAD), per assenza del destinatario d ella notificazione dell’atto impositivo, nonché della avvertenza che per l’ipotesi di mancato ritiro del plico dall’ufficio nel termine di dieci giorni, la notificazione si sarebbe perfezionata.
Si tratta di un accertamento in fatto, la cui rivalutazione non può essere operata in sede di legittimità, tanto più che, a fronte di documentazione prodotta dall’Agenzia delle entrate e proveniente dall’operatore postale, dunque fidefaciente, l’unica possibilità riconosciuta al contraddittore sarebbe stata quella della proposizione della querela di falso. Diversamente, ove la difesa del contribuente avesse inteso dolersi di un errore percettivo del giudice regionale, avrebbe dovuto far ricorso ad altro strumento difensivo. Il motivo e dunque infondato.
Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 43, c omma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 57 , comma 3, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 2, comma 5 ter, l. n. 148 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n 3, cod. proc civ. Il giudice d’appello non avrebbe correttamente applicato la disciplina, all’epoca vigente, del raddoppi o dei termini per l’accertamento, così come quella relativa alla previsione di un una ulteriore proroga annuale per la notifica tanto dell’avviso d’accertamento quanto della cartella, applicabile ai soggetti aderenti al condono previsto di cui alla l. 2 dicembre 2002, n. 289.
Anche questo motivo risulta destituito di fondamento.
L’ ‘art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni in l. n. 248 del 2006, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, aveva previsto, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, che gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiassero relativamente al periodo di imposta in cui fosse stata commessa la violazione. L’art. 37, comma 25, del d.l. n. 223 cit. introdusse analoga disposizione in materia di Iva, con modifica dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché l’accertamento per cui è causa afferisca al 200 2, cioè ad un periodo di imposta antecedente quello nel quale la normativa è stata introdotta. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 37, comma 26, del d.l. citato, il raddoppio dei termini si applicava dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, fossero ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento.
Deve invece escludersi l’applicabilità delle modifiche introdotte dall’art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonché quelle introdotte dall’art. 1, commi 130, 131 e 132, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, con cui infine è stata soppressa la disciplina relativa al raddoppio dei termini ordinari.
Quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia, prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 cit., la stessa non si applica alle violazioni punibili, che siano state constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica risalente al luglio del 2012). Quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla l. n. 208 cit. per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale
decreto (cfr. Cass., 3 agosto 2023, n. 23662; 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728).
Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini, con la sola esclusione dell’irap, deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. Cass., 13 settembre 2018, n. 22337; 30 maggio 2016, n. 11171; 2 luglio 2020, n. 13481).
Il principio trova riscontro nella sentenza 20 luglio 2011, n. 247, della Corte Costituzionale, secondo cui l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento » (cfr. anche Cass., 30 ottobre 2018, n. 27629).
Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
Non vi è dunque neppure obbligo di esternare le ragioni in base alle quali l’Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l’applicazione da scelte discrezionali.
Il raddoppio dei termini afferisce tanto alle imposte quanto alle sanzioni, considerato che proprio l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, richiama espressamente la materia delle sanzioni, tra quelle per le quali si
fa addirittura salva la pregressa disciplina, così come introdotta dal d.l. del 2006.
Sulle solide basi di questa disciplina questa Corte ha pertanto affermato che i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d. lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini, se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost. (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33793).
Il giudice regionale, nel decidere la presente controversia, ha tenuto conto della disciplina positiva e dei principi di diritto enunciati da questa Corte. D’altronde manca ogni concreto riferimento a sollecitazioni d el contribuente perché fosse verificata almeno la sussistenza astratta dei presupposti dell’obbligo di denuncia , e comunque nulla è riprodotto in punto nel ricorso, ai fini del rispetto del principio di specificità.
Quanto infine all’ulteriore slittamento di un anno dei tempi di notifica degli atti impositivi, ex art. 2, comma 5 ter, l. n. 148 del 2011, posto che in sentenza trova espressa conferma che il contribuente ebbe incontestatamente accesso al condono tombale ex l. 289 del 2002, risultano altrettanto tempestivi gli atti notificati, senza che possa ritenersi che le due discipline di proroga fossero non cumulabili, trattandosi di discipline non solo autonome, ma soprattutto sorrette da ragioni ben distinte.
Il ricorso va in definitiva rigettato e le spese processuali vanno liquidate secondo le regole della soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025