Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33558 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33558 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19609/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME , COGNOME NOME e COGNOME NOME in proprio, rappresentati e difesi dall’ avvocato NOME COGNOME come da procura speciale allegata al ricorso
(PEC: EMAIL);
– ricorrenti –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 93/08/2016, depositata il 18.01.2016.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 24 ottobre 2024.
RILEVATO CHE
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR del Veneto accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza della
Oggetto:
Tributi
CTP di Treviso che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME, nonché da COGNOME NOME e COGNOME NOME in proprio avverso distinti avvisi di accertamento, emessi per IVA e imposte dirette, rispettivamente, per gli anni 2005, 2007 e 2008, a seguito di una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza in relazione all’indetraibilità dell’IVA sull’a cquisto di macchinario agricolo effettuato nel 2005, in quanto riguardante un’operazione ritenuta soggettivamente inesistente, con conseguente indeducibilità dell’ammortamento per gli anni 2007 e 2008 ;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-l’Amministrazione finanziaria non era decaduta dal potere accertativo, in quanto nel caso in esame i termini di accertamento erano raddoppiati, in considerazione della rilevanza penale dei fatti accertati;
-nel merito la ripresa era fondata, in quanto l’insussistenza dell’operazione di acquisto del macchinario agricolo si desume va dalla ‘ ricostruzione di quanto effettivamente prodotto dalla ditta fornitrice ‘ dalle ‘ vicende della documentazione di trasporto acquisita che indicano come comune effettiva destinataria del macchinario altra impresa in provincia di Caserta ‘ ;
i contribuenti impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod.
proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che nella specie si applicasse il raddoppio dei termini previsti per l’accertamento relativo al l’anno d’imposta 2005 , visto che nulla era stato trasmesso all’autorità giudiziaria penale e che non era mai stato instaurato un procedimento penale per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, ma solo per il reato di cui all’art. 640 -bis c.p., conclusosi con sentenza di non doversi procedere perché il reato era estinto per prescrizione; aggiunge che le disposizioni normative sul raddoppio dei termini di accertamento non possono riaprire periodi d’imposta per i quali, alla data dell’accertamento del fatto, siano già decorsi i termini ordinari; precisa, poi, che l’eventuale raddoppio dei termini per l’accertamento nei confronti della società non può comportare il raddoppio dei termini anche nei confronti dei soci per l’accertamento del loro reddito personale, in quanto la responsabilità penale è personale; deduce, infine, che la disciplina sul raddoppio dei termini di accertamento non può applicarsi per l’IRAP, non riguardando il d.lgs. n. 74 del 2000 la predetta imposta;
il motivo è infondato con riferimento alle imposte sui redditi e all’IVA ;
occorre premettere che, in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43, del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;
come già affermato da questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione
applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza» , come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016);
nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza », applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice;
tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.);
è estraneo, pertanto, al perimetro del presente giudizio lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128,
che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari; la prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento, relativo all’anno 200 5, è intervenuta in data 28.12.2012;
– quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);
– ciò premesso, secondo la disciplina applicabile alla fattispecie concreta, il raddoppio dei termini deriva, pertanto, dal mero riscontro di fatti comportanti “l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.’, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o, di condanna (Cass. 30/05/2016, n. 11171);
la Corte costituzionale (sentenza n. 247/2011) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» ;
– la CTR ha fatto corretta applicazione delle norme come interpretate da questa Corte, per quanto riguarda le imposte sui redditi e l’IVA, con riferimento all’avviso di accertamento per l’anno 2005, avendo constatato che si trattava di ‘fattispecie a palese rilevanza penale’; inoltre, essendo stata contestata un’operazione soggettivamente inesistente, risultava astrattamente configurabile uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, come era stato indicato nell’avviso di accertamento impugnato emesso nei confronti della società (p. 15 del ricorso per cassazione), a prescindere poi dall’effettiva
presentazione della denuncia per uno dei reati previsto dal d.lgs. n. 74 cit. e dall’esito dell a stessa;
va disattesa anche la doglianza sulla inapplicabilità della disciplina del raddoppio dei termini nei confronti dei soci, posto che, in forza del principio dell’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei soci delle stesse ai sensi dell’art. 5 TUIR, il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari determina il raddoppio dei termini per l’accertamento anche con riferimento al reddito imputato ‘per trasparenza’ ai soci (Cass. n. 15999 del 7/06/2024);
il motivo è, invece, fondato con riferimento all’IRAP , dovendosi rilevare che «In tema di accertamento, il c.d. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali» ( ex multis , Cass. n. 10483 del 03/05/2018);
-nella specie è pacifico che l’avviso di accertamento (emesso nel 2012 per l’anno d’imposta 200 5 è stato emesso oltre il termine decadenziale “ordinario”, con conseguente intervenuta decadenza del potere accertativo con riferimento all’IRAP;
con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 10 Cost., della giurisprudenza UE e dei principi comunitari in materia di IVA, in particolare degli artt. 2, 9, 14, 62, 63, 167, 168 e 178 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28.11.2006, relativa al sistema comune dell’IVA, nonché degli artt. 19 e 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per vizio di omessa pronuncia e mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in merito all’affidamento
assolutamente incolpevole della società ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata sulla censura, formulata nel ricorso introduttivo e ribadita nell’appello incidentale, riguardante il diritto della società contribuente alla detrazione dell’IVA, in considerazione del suo affidamento incolpevole, anche nell’ipotesi di dimostrata inesistenza soggettiva dell’operazione, avendo la contribuente già acquistato alcuni anni prima un macchinario analogo dallo stesso fornitore;
-con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per mancanza di dati ‘individualizzanti’ (concernenti, in particolare, le condizioni in cui si sono svolti i rapporti commerciali tra le parti), per non avere i giudici di appello considerato le condizioni in cui si sono svolti i rapporti tra la società contribuente e la RAGIONE_SOCIALE;
con il quarto motivo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per vizio di omessa pronuncia e mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in merito alla omessa pronuncia sulla violazione degli artt. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 1478 cod. civ. (vendita di cosa altrui), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata in ordine alla censura che era irrilevante la circostanza secondo la quale il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE non fosse in grado di provare l’acquisto del macchinario poi venduto alla contribuente, non avendo egli negato di avere venduto detto bene alla contribuente e non essendo la proprietà del bene venduto un requisito essenziale della compravendita;
con il quinto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la CTR considerato che nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili i componenti negativi di reddito afferenti ai beni effettivamente scambiati;
il secondo, il terzo e il quarto motivo, che vanno esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati, con assorbimento del quinto motivo;
sul punto va ribadito che, nel caso di operazione soggettivamente inesistente l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426);
poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge,
tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490);
-con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);
– anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della
contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022);
il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022);
nella specie, il giudice del gravame non ha seguito i principi sopra indicati, essendosi limitato a richiamare non meglio specificate risultanze del PVC, che riguarderebbero ‘la ricostruzione di quanto effettivamente prodotto dalla ditta fornitrice e delle vicende della documentazione di trasporto acquisita che indicano comune comunque effettiva destinataria del macchinario altra impresa in provincia di Caserta’ , non facendo comprendere quali fossero gli elementi che impedivano il riconoscimento del diritto alla detrazione;
-in conclusione, vanno accolti il primo motivo di ricorso, limitatamente all’IRAP, il secondo, il terzo e il quarto motivo, assorbito il quinto motivo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame e alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, limitatamente all’IRAP, e lo rigetta per il resto; accoglie altresì il secondo, il terzo e il quarto motivo, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per la regolazione delle spese del
presente giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 24 ottobre 2024.