Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11091 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11091 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 964/2016 R.G. proposto da :
NOME COGNOME con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia -Sezione Staccata di Brescia n. 3778/2015 depositata il 04/09/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’Ufficio notificava a NOME COGNOME atto con il quale contestava allo stesso le disponibilità finanziarie (azioni della società RAGIONE_SOCIALE detenute nella Repubblica Federale di Germania e non dichiarate nel quadro RW della dichiarazioni dei redditi per l’anno di imposta 2005, irrogando le relative sanzioni.
Avverso lo stesso proponeva ricorso il contribuente, lamentando: l’illegittimità applicazione retroattiva del raddoppio dei termini per l’accertamento di cui all’art. 12, comma 2-ter, del D.L. 78/2009,
che non poteva trovare applicazione se non per i periodi di imposta successivi al 2009, anno di entrata in vigore dello stesso; l’ avvenuta regolarizzazione della propria posizione mediante presentazione di una dichiarazione integrativa in data 27/12/2010 al fine di sanare l’omessa presentazione del quadro RW.
La CTP di Brescia, con sentenza n. 82/15/2013, accoglieva il ricorso ritenendo fondate entrambe le avverse censure.
La CTR di Milano, Sezione staccata di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Ufficio ritenendo, da un lato, che l’art. 12 del D.L. 78/2009 fosse applicabile anche ai periodi d’imposta anteriori alla sua entrata in vigore e, dall’altro, che l’omissione non fosse stata validamente sanata con la presentazione della dichiarazione integrativa.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a cinque motivi e resiste l’Amministrazione Finanziaria con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 12 c. 2 ter del d.l. 78/2009», lamentando l’illegittima applicazione retroattiva della norma indicata in rubrica.
1.1. Il motivo è infondato, nei termini che seguono.
1.2. Nella specifica materia si è, ormai, consolidato l’orientamento di questa Corte (cfr., tra le prime, Cass. n. 29632 del 14/11/2019; da ultimo v. Cass, n. 33965 del 5/12/2023) per il quale «La presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice
civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva.
1.3. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 12, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2».
1.4. Nella fattispecie, il raddoppio dei termini per la notifica dell’avviso di accertamento è dunque applicabile alle violazioni in oggetto, accertate anche ai sensi del d.l. n. 167/90, disciplina richiamata nell’ accertamento impugnato.
Infatti, una volta accertato che i commi 2 bis e 2 ter, avendo natura procedimentale, valgono anche per gli anni anteriori, laddove per tali anni non è applicabile la presunzione legale di evasione fissata dal comma 2 dell’art. 12 decreto-legge n. 79/09, ne consegue che per tali anni anteriori si applica la disciplina previgente e dunque all’epoca vigente, ossia l’art. 6 decreto legge n. 167/90 (v. al riguardo Cass. n. 30742/2018; Cass. n. 29632/2019). Tale considerazione supera ogni questione di attrito con i principi costituzionali, o con principi desumibili dalla Cedu,
astrattamente invocati dal ricorrente per la – non ritenuta – ipotesi di riconoscimento dell’efficacia retroattiva della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2 cit.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 commi 8/8bis dpr 322/1998». Lamenta il ricorrente l’erroneità della decisione nella parte in cui Collegio di secondo grado ha affermato l’irrilevanza della dichiarazione integrativa in relazione alla sanzione.
2.1. Il motivo è infondato, richiamandosi il costante orientamento di questa Corte, manifestato nel principio di diritto con cui si è affermato che «In tema di dichiarazione integrativa a seguito di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, l’emendabilità della dichiarazione, come regolata dal comma 8 dell’art. 2 del d.p.r. 22 luglio 1998 n. 322 nel testo ratione temporis vigente , non esclude l’applicazione delle sanzioni, ferma restando l’operatività del ravvedimento di cui all’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472» (Cass. n. 25554/2022).
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la «Violazione del principio comunitario di proporzionalità tra sanzione e violazione, in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e art. 7 CEDU». Il contribuente lamenta la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, sancito, a livello comunitario, dalle richiamate disposizioni.
3.1. La censura che, sotto il profilo della specificità, soffre di evidente carenza descrittiva, in quanto si fonda su affermazioni in fatto, ossia che il contribuente fosse pacificamente in buona fede e che l’ammontare della sanzione sarebbe sproporzionata alla violazione commessa, senza che a tali indimostrati assunti si accompagni alcuna argomentazione idonea a supportarli, non è
comunque pertinente in relazione alla giurisprudenza euro-unitaria in materia di proporzionalità della sanzione.
3.2. Giova richiamare, a tale riguardo, che con recente arresto (Corte Giustizia, 27/01/2022, Commissione europea /Regno di Spagna, Causa C-788/19), la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che la normativa spagnola sul monitoraggio fiscale recasse un pregiudizio sproporzionato alla libera circolazione dei capitali, presidiata dell’articolo 63 TFUE e dell’articolo 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, nella misura in cui punisce l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero con una sanzione proporzionale del 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, sanzione che può essere cumulata con sanzioni forfettarie, il cui importo non è commisurato alle sanzioni previste per infrazioni simili in un contesto puramente nazionale e per il cui importo complessivo non è previsto un limite massimo.
3.3. Tali caratteri non sono in alcun modo ravvisabili nella disciplina italiana, ratione temporis applicabile, che prevedeva, per la violazione degli obblighi relativi al monitoraggio fiscale, una sanzione dal 5 al 25 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati, sanzione peraltro, nel caso di specie, applicata nella misura minima.
Con il quarto strumento di impugnazione il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 5 bis d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 10 co. 3 L. 212/2000», lamentando che la Commissione territoriale abbia escluso la natura formale dell’errore e non abbia, dunque, ritenuto sussistente l’esimente di cui alla invocata disposizione.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Va a tale riguardo riaffermato il principio di diritto per cui la violazione consistente nell’omessa dichiarazione annuale per
investimenti e attività di natura finanziaria all’estero, prevista dall’art. 4, comma 2, d.l. n. 167 del 1990 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 227 del 1990), sanzionata dal successivo art. 5, comma 5 (nella formulazione temporalmente vigente), risponde all’esclusiva finalità di assicurare, tramite l’obbligo di dichiarazione, appunto, il monitoraggio dei trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva (in tal senso, tra le altre, Cass. 19/01/2018, n. 1311, consolidata da Cass. 03/12/2020, n. 27662).
4.3. Nel caso in esame, quindi, la CTR ha correttamente colto la ratio della norma nell’univoca accezione precisata da questa Corte, ravvisando la rilevanza della violazione per omessa presentazione del quadro RW in ragione del carattere non formale della violazione. La normativa in esame è volta ad assicurare il monitoraggio delle operazioni da e per l’estero, per l’alto rischio di sottrazione di imponibile che esse comportano, sicché la mancanza di dichiarazione può incidere negativamente sull’attività di pianificazione dei controlli dell’Amministrazione finanziaria, e non va certo derubricata a mera omissione formale, neutra dal punto di vista del danno erariale.
Con il quinto motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la «Omessa pronuncia in merito alla causa di non punibilità di cui all’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 472/1997».
5.1. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
5.2. È inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., senza individuare il fatto storico di cui la CTR avrebbe pretesamente omesso l’esame.
5.3. Quand’anche, poi, si avesse a ritenere che in realtà la denuncia sia volta a far constare un’omessa pronuncia, rilevante, tuttavia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc., come
parrebbe lasciar intendere la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., comunque l’eventuale fondatezza della censura non gioverebbe al ricorrente, dovendo questa Corte pronunciarsi sulle questioni il cui esame è stato omesso dal Giudice di appello, alla luce del principio consolidato (v., tra le altre di recente, Cass. 16/06/2023 n. 17416) per cui «Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non
richiede ulteriori accertamenti di fatto».
5.4. Nel caso di specie, la censura sollevata è, infatti, infondata.
Va data continuità, a tale riguardo, all’orientamento sezionale (Cass. 13/06/2018, n. 15452; nello stesso senso: Cass. 19/02/2020, n. 4169 -che cita Cass. n. 10314/2019; 24/06/2015, n. 13076; 24/2/2014, n. 4394; 12/2/2014, n. 3113; 28/11/2007, n. 24670; 28/01/2021, n. 1893) secondo cui «In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: (1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; (2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; (3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; (4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; (5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; (6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; (7)
l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; (8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; (9) il contrasto tra opinioni dottrinali; (10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente».
5.5. Quanto al criterio giuridico attraverso cui traguardare gli indici rivelatori (fattuali), questa Corte ha puntualizzato che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.» (Cass. 01/02/2019, n. 3108, in connessione con Cass. 1893/2021, cit.); è stato altresì chiarito (da Cass. n. 4169/2020, cit.) che per incertezza normativa obiettiva deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui, in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che
distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza, pur ricollegandovi i medesimi effetti.
5.6. Nel caso di specie è decisiva la considerazione che, secondo la già richiamata costante giurisprudenza di questa Corte, la locuzione normativa, nitida sul piano lessicale, risponde all’esigenza del monitoraggio dei trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 02/04/2025.