Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8042 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8042 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20572/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ex lege’ a ROMA INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIAMILANO n. 685/2016 depositata il 05/02/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento T9503C100532/2013 (prot. n. 33038/2013) relativamente ad imposte dirette ed indirette per l’a.i. 2004, con aggravio di interessi e sanzioni.
I recuperi fondavano su PVC della GdF di Milano in data 11 dicembre 2012, nel corpo del quale, come da ricorso, si affermava che la contribuente, avendo intrattenuto rapporti commerciali con le cartiere RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, si era resa responsabile di aver “utilizzato fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti” ovvero “inesistenti quanto meno sotto il profilo soggettivo”, con conseguente indetraibilità delle fatture passive ai fini dell’IVA e indeducibilità dei corrispondenti costi ai fini delle II.DD.
La CTP di Milano, adita impugnatoriamente dalla contribuente, con sentenza n. 5562/25/14, annullava l’avviso, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la decadenza dell’Ufficio dall’azione accertatrice.
Proponeva appello l’Ufficio, accolto dalla CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione.
In via preliminare, in relazione alla richiesta di inammissibilità dell’appello, che secondo la contribuente, non sarebbe riferito all’annualità 2004 bensì al 2003, osserva che l’atto dell’Ufficio, ancorché riportante anche dati e argomentazioni riguardanti il 2003, consente di estrapolare il contenuto dell’accertamento 2004, come di seguito viene esposto.
Ritiene che l’Ufficio non sia incorso nella decadenza dei termini del potere di accertamento, considerato che ha usufruito dell’adottato raddoppio, alla luce di quanto ha disposto la Corte Costituzionale con la sentenza 25.7.2011, n. 247 .
Nel processo verbale di constatazione, da cui l’atto di accertamento trae origine, è agevole constatare l’esistenza dei presupposti dell’obbligo della denuncia penale di reati aventi natura fiscale, considerato che il controllo effettuato dalla Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria di Milano a carico della ricorrente è scaturito proprio da un’indagine penale.
Richiama, quindi, quanto affermato dalla GDF nel pvc:
‘Gli elementi in base ai quali si ritiene che la frode ‘carosello’ all’IVA comunitaria sia stata perpetrata da una storica e solida organizzazione che si è occupata della gestione delle società ‘cartiere’, del reclutamento dei prestanomi, della dispersione della documentazione contabile e di quant’altro possa essere stato utile allo scopo, sono quelli acquisiti nell’ambito delle indagini condotte da questo Nucleo nell’ambito del procedimento penale n. ‘.
Per quanto riguarda l’asserita irretroattività del DL n. 222/2006, convertito con modificazioni nella legge n. 248/2006, entrato in vigore il 4.7.2006, questo Collegio, in ossequio alla disposizione di cui all’art. 37, comma 26, del decreto stesso, giudica legittima l’applicazione alla fattispecie dell’istituto del raddoppio dei termini, in quanto alla data di entrata in vigore di detto decreto, erano ancora pendenti i termini di cui all’art. 43 del DPR n. 600/73 e dell’art. 57 del DPR n. 633/72.
Considerato che la CTP ha accolto il ricorso, ritenendo che la definizione della questione pregiudiziale della tardività della notifica dell’accertamento abbia avuto carattere assorbente della questione di merito, questo Collegio, in ordine a tale questione, rileva che, nell’ambito del meccanismo fraudolento sopra descritto, la ricorrente abbia svolto il ruolo di prima società comunitaria con il ruolo di filtro, oltre ad altre società comunitarie e nazionali coinvolte nel sistema di frode.
Tra i fornitori della RAGIONE_SOCIALE quindi, è stata individuata dalla GDF, quale società di comodo (c.d. cartiera), la RAGIONE_SOCIALE che:
-·ha occultato le scritture contabili;
non ha presentato la dichiarazione annuale ai fini II.DD. per l’anno 2004;
-per gli anni 2002 e 2003 non aveva personale alle proprie dipendenze ed ha indicato volumi di affari e ammontare degli acquisti di oltre 8 milioni nel 2002 e di oltre 52 milioni nel 2003, con un sostanziale equilibrio tra volumi d’affari e ammontare degli acquisti.
Rileva, inoltre, l’omessa presentazione della dichiarazione 2004 a fronte di fatture emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, altra società coinvolta nella frode, per oltre 13 milioni, la cessione dell’azienda da parte di RAGIONE_SOCIALE e il cambio di amministratore in prossimità della scadenza dei termini per la presentazione della stessa.
L’esame delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ha fatto emergere fatture di importi rilevanti a fronte di ingenti movimentazioni di beni in brevi intervalli, determinando, a volte, l’emissione di due documenti nella stessa giornata; l’inizio del trasporto, effettuato a cura della RAGIONE_SOCIALE, avveniva lo stesso giorno e alla stessa ora: il che presuppone la disponibilità di mezzi adeguati, mentre è stato accertato che la società non possedeva né mezzi di trasporto né dalla documentazione bancaria sono risultati pagamenti a società di noleggio, trasporto e facchinaggio.
L’analisi delle operazioni commerciali, effettuata dalla GdF e dalla stessa ampiamente riportata nel pvc, ha fatto emergere la presenza, tra le altre società, della RAGIONE_SOCIALE in qualità di cliente di cessioni di beni fatturate (e non dichiarate) da parte di soggetti economici privi di adeguate strutture commerciali e finanziarie (c.d. società cartiere) e, in particolare, tra i fornitori della controllata è da considerarsi soggetto giuridico di comodo, c.d. cartiera, la RAGIONE_SOCIALE
In mancanza della contabilità di detta società, che ha impedito una completa ricostruzione dei flussi documentali ricevuti ed emessi, si è addivenuti alla comprensione del sistema del sistema fraudolento di cui la RAGIONE_SOCIALE faceva parte, mediante l’analisi finanziaria dei conti correnti di istituti bancari.
In base agli incassi ed ai pagamenti sottoposti ad analisi, sono stati individuati i soggetti, fornitori e clienti della società “RAGIONE_SOCIALE“, tra cui la RAGIONE_SOCIALE
Inoltre, è emerso che la società “RAGIONE_SOCIALE” non aveva disponibilità finanziaria sui conti correnti bancari per effettuare le transazioni commerciali, per cui aspettava di ricevere i pagamenti delle società nazionali per eseguire il pagamento al fornitore comunitario; non risultano pagamenti di spese per servizi di gestione e funzionamento (pedaggi
autostradali, riparazione o locazione di mezzi, servizi di trasporto o di tenuta contabilità ecc.).
Per tali motivazioni, questo Collegio ritiene che la New Tape non era obiettivamente in grado di fornire materiale di alcun tipo alla ricorrente, rendendo fondata l’ipotesi che le fatture emesse a carico della siano relative ad operazioni inesistenti .
n ordine all’affermazione della ricorrente, in base alla quale la notifica sarebbe priva di un qualsiasi timbro di riconoscimento che attesti l’appartenenza ad un ufficio e di una firma leggibile, rileva che il nome del messo notificatore, dott. NOME COGNOME risulta chiaramente indicato nella relazione di notificazione e la firma, perfettamente leggibile, risulta apposta in calce alla stessa relazione.
In quanto alla eccepita nullità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto dal Capo Area Imprese RAGIONE_SOCIALE, rileva che lo stesso è stato delegato dal Direttore Provinciale, come indicato in atto, nella parte sottostante la sottoscrizione stessa.
Per quanto riguarda la richiesta di nullità dell’accertamento, perché notificato prima dello spirare del termine di 60 gg. dalla notifica del pvc, previsto dall’art. 12, comma 7, delta legge 27.7.2000, n. 212, rileva che ciò è stato causato da motivi di particolare urgenza, posto che la notifica, se non effettuata entro i termini, avrebbe fatto perdere all’Ufficio la possibilità di riprendere a tassazione componenti negativi evasi, di rilievo non indifferente.
A conforto della regolarità di tale operazione da parte dell’Ufficio, richiama l’orientamento della Suprema Corte che ha sostenuto che, per la particolarità delle indagini effettuate, culminanti con la constatazione di gravi violazioni di natura penale tributaria a carico della ricorrente, costituisc un valido motivo per il mancato rispetto dei termini previsti dalla sopra citata disposizione.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con otto motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
In data 9 dicembre 2024, il P.M. in persona del Dott. NOME COGNOME deposita conclusioni scritte, chiedendo ‘che la Corte di cassazione voglia accogliere il sesto motivo, rigettare i restanti e disporre il rinvio in ordine al motivo accolto alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia’.
In data 17 settembre 2024, i Difensori del contribuente deposito ampia ed articolato, mediante la quale ulteriormente illustrano , motivo per motivo, le ragioni di questi.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il P.M. in persona del Dott. NOME COGNOME si riporta alle conclusioni scritte; i difensori presenti rispettivamente della parte privata e pubblica concludono come da corrispondenti atti, che illustrano.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 53 d.lgs. n. 546/1992’.
1.1. La CTR ha errato nel ritenere ammissibile l’appello. ‘In realtà l’appello ‘si riferisce esclusivamente ad altro provvedimento impositivo riferito all’annualità di imposta 2003’. ‘Ciò risulta ‘per tabulas’ e per avvedersene è sufficiente leggere: a) l’esposizione in fatto del ricorso in appello proposto dall’Ufficio, ove si richiama esclusivamente l’avviso di accertamento notificato alla contribuente riferito all’anno d’imposta 2003 ; b) l’esposizione in diritto del ricorso in appello proposto dall’Ufficio in cui si richiama solo e soltanto l’avviso di accertamento per l’anno 2003 ‘; c) le ulteriori deduzioni svolte dall’Ufficio, ove si riportano finanche censure in diritto mai proposte dalla società ricorrente nell’ambito dei precedenti gradi di giudizio e con riferimento alle quali il Giudice Tributario di appello si è ugualmente, quanto inspiegabilmente ed erroneamente, pronunciato’. ‘La plateale ultroneità dei sopra trascritti capi comprova l’assoluta confusione in cui è incorso il Giudice d’appello ‘.
2. Il motivo è inammissibile.
Incorre in difetto di precisione, prima ancora che di autosufficienza, in quanto non trascrive (oltreché, per vero, l’atto introduttivo del giudizio e la sentenza di primo grado, segnatamente) l’atto d’appello agenziale, quantomeno in
riferimento alle parti atte a confutare la positiva valutazione della CTR secondo cui ‘l’atto dell’Ufficio’, sebbene riportasse ‘anche’ ‘anche’, valga sottolinearlo ‘dati e argomentazioni riguardanti il 2003’, comunque ‘consent di estrapolare il contenuto dell’accertamento 2004, come di seguito viene esposto’.
Né giust’appunto la successiva esposizione che principia con l’accoglimento della devoluzione dell’Ufficio di non essere ‘incorso nella decadenza dei termini del potere di accertamento’ (oltretutto confutando l’eccezione della contribuente, all’evidenza essa pure coerente con un appello di cui ulteriormente per tale via confermasi l’allineamento alla sentenza di primo grado, basata sull”asserita irretroattività del DL n. 222/2006′), per poi procedere, nel merito, ad analiticamente esporre le ragioni della fittizietà delle operazioni intrattenute dalla contribuente con i suoi pretesi fornitori, tra cui in particolare RAGIONE_SOCIALE -è in quanto tale parimenti confutata.
Fermo ciò, la coerenza dell’atto d’appello rispetto alla sentenza di primo grado emerge anche nella parte della sentenza impugnata dedicata allo ‘svolgimento del processo’.
Invero, secondo quanto riferisce la sentenza impugnata concordemente al ricorso per cassazione, annullato dalla CTP ‘l’avviso ‘de quo’, ritenendo fondato il ricorso nella parte in cui aveva dedotto la decadenza dell’azione accertatrice’, del tutto consequenzialmente la sentenza impugnata rileva che, ‘nell’atto di appello, l’Ufficio conferma la legittimità del proprio operato, essendosi avvalso del raddoppio dei termini per la notifica dell’atto di accertamento, alla luce di quanto ha disposto al riguardo la Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del25.7.2011. Posto che il merito della causa è stato ritenuto dal Primi Giudici assorbito nella definizione della questione pregiudiziale di mancato rispetto dei termini per la notifica dell’accertamento, sostiene la fittizietà d fatture ‘: ricostruzione dell’atto d’appello, questa, corroborata dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione (cfr. in part. p. 4),
in perfetto sviluppo logico delle ragioni di critica alla sentenza di primo grado.
Talché, in ogni caso, non emergono elementi da cui apprezzare la fondatezza della censura.
Secondo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. ‘.
2.1. I motivi dichiarati assorbiti dalla CTP sono stati riproposti dinanzi alla CTR. mediante appello incidentale, ‘ ma sugli stessi, tuttavia, la C.T.R. di Milano ha totalmente omesso di pronunciarsi, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. Trattasi, in particolare: – del secondo motivo di ricorso di primo grado, con il quale la contribuente ha eccepito la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, lett. a) Legge n. 218/1997 giacché l’Ufficio, onde legittimare l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice pur in presenza di accertamento con adesione perfezionatosi con riferimento allo stesso anno di imposta, ha richiamato acriticamente il processo verbale di constatazione elevato dalla Guardia di Finanza di Milano ma non i ‘nuovi elementi’; – del quinto motivo di ricorso di primo grado, con il quale la Next ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 D.Lgs. n. 472 del 1997 in quanto l’impugnato provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie non contiene alcuna autonoma motivazione in ordine alla sussistenza dei concreti elementi (anche in punto di colpevolezza del presunto trasgressore) previsti da tale disposizione’.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Anzitutto disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente
formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Cass. n. 28072 del 2021). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare -a pena di inammissibilità -che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni’ (Cass. n. 41205 del 2021).
In aggiunta a quanto precede, donde un’ulteriore autonoma ragione d’inammissibilità, per violazione questa volta dei principi di precisione ed autosufficienza, il motivo non rende in alcun modo conto, mediante idonei richiami documentali, viepiù da localizzarsi nei fascicoli di merito, dell’affermato ‘perfezionamento’ di ‘accertamento con adesione’ ‘con riferimento allo stesso anno di imposta’ ed ‘a fortiori’ dell’intersezione dello stesso con le riprese odiernamente vertite: ciò tanto più in quanto siffatto meramente affermato -ripetesi: nel motivo (p. 16) -‘perfezionamento’ cade
in contraddizione con l’esposizione di cui alla parte introduttiva del ricorso per cassazione, ove invece leggesi che ‘la Next ha quindi presentato istanza di accertamento con adesione senza tuttavia riuscire a definire la vertenza con l’Ufficio’ (così p. 3).
Sulla medesima china, il motivo -che alla lettera si riferisce ad un ‘impugnato provvedimento di irrogazione delle sanzioni’, nondimeno in sé privo di riscontro, alla luce di sentenza impugnata, ricorso e controricorso, come atto autonomo rispetto all’avviso d’accertamento, costituente, questo solo, oggetto di giudizio trascrive l’avviso stesso (o ‘in limine’ il ridetto ‘provvedimento’), in guisa da giustificare il recriminato difetto di ‘alcuna autonoma motivazione in ordine alla sussistenza dei concreti elementi’ previsti dall’art. 17 D.Lgs. n. 472 del 1997: ciò senza viepiù contare (donde comunque la manifesta infondatezza del motivo) che la CTR, avendo considerato ‘fondata l’ipotesi che le fatture emesse a carico della RAGIONE_SOCIALE per il 2004, relative ad operazioni inesistenti’, per non essere ‘la New Tape obiettivamente in grado di fornire materiale di alcun tipo alla ‘, ha implicitamente affermato la sussistenza, altresì, dei presupposti per la configurabilità delle -meramente conseguenti -sanzioni.
Terzo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 42 d.p.r. n. 600/1973 e 2697 c.c.’.
3.1. ‘ fronte di specifica contestazione della contribuente, gravava sull’Amministrazione l’onere di dimostrare, mediante il deposito in giudizio di tutti i relativi atti e documenti, non solo il legittimo esercizio del potere sostitutivo di firma da parte dell’effettivo sottoscrittore ma anche la sussistenza di apposita delega validamente conferita ‘. ‘La C.T.R. di Milano ha pertanto errato nel ritenere sussistente nella fattispecie una delega validamente conferita dal Capo dell’Ufficio al funzionario
sottoscrittore dell’atto impositivo sol perché tale delega sarebbe stata ‘indicata in atto’. Come detto, tale delega non è mai stata versata in atti nell’ambito dei precedenti gradi di giudizio’.
3.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
Inammissibile perché non trascrive la doglianza in punto di mancanza di valida sottoscrizione dell’avviso devoluta, oltreché alla CTP, segnatamente alla CTR: dopo, cioè, aver l’Ufficio depositato ‘gli ‘atti dispositivi su deleghe di firma’ in sede di giudizio di primo grado, allegandoli al proprio atto di costituzione in giudizio’ (p. 5 controric.).
Infondato perché l’affermazione della CTR nella sentenza impugnata secondo cui il ‘Capo Area Imprese di Medie Dimensioni’ ‘ stato delegato dal Direttore Provinciale, come indicato in atto,’, presuppone l’implicito accertamento dell’esistenza di valida delega, proprio alla luce della documentazione acquisita: accertamento non contestato dalla contribuente, che a detta documentazione d’altronde neppure accenna.
Quarto motivo: ‘Violazione e/ o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 43 d.p.r. n. 600/1973 e 57 d.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 37, commi 24 e ss. d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006, ed 1, comma 132 l. n. 208/2015’.
4.1. ‘elle more della pubblicazione della sentenza impugnata, è intervenuta L. n. 208/2015 (Legge di stabilità per l’anno 2016)’, di cui rileva in particolare l’art. 1, comma 132. ‘Già alcuni mesi prima, il legislatore (cfr., art. 2 del D.lgs. n. 128/2015) aveva modificato la normativa in materia di ‘raddoppio dei termini’, dettando una disciplina in tutto identica a quella che avrebbe ripetuto alcuni mesi più tardi con la ridetta Legge di stabilità, ma aggiungendo un periodo (”Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto’) che, nella nuova formulazione contenuta in
quest’ultima, non è stato riprodotto. Cosicché, è evidente come l’art. 1, comma 132 della Legge di stabilità per il 2016 abbia disciplinato ‘ex novo’ l’intera materia del ‘raddoppio dei termini’, avendo così di fatto abrogato l’intera disciplina precedente , ivi compresa la clausola ‘.
4.2. Il motivo è infondato.
La notifica dell’avviso di accertamento risale al 5 aprile 2013.
Insegna questa S.C. che, ‘in tema di termini di decadenza dell’accertamento tributario, previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, sugli atti impositivi notificati alla data del 2 settembre 2015 non incidono le modifiche apportate dapprima dai commi 1 e 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che hanno escluso l’operatività del raddoppio quando la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti, nonché quelle apportate dai commi 130 e 131 dell’art. 1 della l. n. 208 del 2015, che hanno determinato il venir meno della disciplina sul raddoppio, poiché la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015 fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla predetta data, mentre ai sensi dell’art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015 le modifiche recate dai commi 130 e 131 si applicano esclusivamente agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi’ (Cass. n. 25191 del 2024).
Inoltre, il motivo oblitera l’affermazione della CTR secondo cui l’attività accertativa origina proprio da svariati procedimenti penali, tutti puntigliosamente indicati: donde la comunicazione di notizia di reato, in cui si sostanzia la denuncia dell’A.F. atta a determinare il raddoppio dei termini di accertamento, ben lungi dall’essere stata pretermessa, è stata anzi ‘a monte’ positivamente riscontrata.
Quinto motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 43 d.p.r. n. 600/1973 e 57 d.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 37, commi 24 e ss. d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006’.
5.1. ‘iversamente da quanto statuito dalla C.T.R. Milano, l’Agenzia delle Entrate non ha enunciato né tanto meno dimostrato, in relazione all’annualità considerata (2004), l’avvenuta realizzazione di un fatto costituente uno dei reati previsti dal D. Lgs. n. 74/2000, delineato nei suoi tratti essenziali. Tali ipotesi di reato non risultano infatti dalla lettura del processo verbale di constatazione allegato alle controdeduzioni depositate in primo grado non soltanto perché lo stesso costituisce un’informativa sommaria, imprecisa e parziale ma anche e soprattutto in ragione del fatto che le indagini penali vengono ivi richiamate al solo fine di enunciare le modalità attraverso le quali sarebbero stati acquisiti gli elementi comprovanti l’ipotizzata ‘frode carosello’ rispetto alla quale, peraltro, risulta estranea la società RAGIONE_SOCIALE.
5.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile perché, in violazione del principio di autosufficienza, non riproduce, quantomeno con riferimento alle parti rilevanti, il PVC.
È infondato perché, come già accennato a proposito del motivo precedente, la CTR, nella sentenza impugnata. è chiarissima nel rilevare che il PVC compendia proprio gli elementi di prova rassegnati in svariati procedimenti penali, i quali rendono conto di ‘una storica e solida organizzazione che si è occupata della gestione delle società ‘cartiere’, del reclutamento dei prestanomi, della dispersione della documentazione contabile e di quant’altro possa essere stato utile allo scopo’, rilevando, subito in appresso, come tra i fornitori della contribuente figurasse RAGIONE_SOCIALE, comprovata cartiera.
Ne consegue -come correttamente ritenuto dalla CTR -la pacifica emersione degli elementi costitutivi di reati fiscali ed anzi di un’associazione per delinquere durevolmente e strutturalmente finalizzata alla commissione degli stessi, evidentemente in relazione a tutto il periodo di sua operatività, inglobante plurimi anni d’imposta.
Siffatto ‘modus opinandi’ della CTR si sottrae alle censure mossele, considerato che, come a più riprese chiarito dalla giurisprudenza di legittimità,
-‘la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento penale e nonostante l’eventuale estinzione del reato per archiviazione della denuncia, rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime del ‘doppio binario’ tra giudizio penale e procedimento tributario’ (Cass. n. 27250 del 2022);
-‘l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011’ (Cass. n. 24576 del 2022, in una fattispecie in cui la S.C. ha accolto in parte il ricorso del contribuente, escludendo la decadenza solo per IVA e IRES, atteso il raddoppio dei termini derivante dalla contestazione di alcuni dei menzionati reati, contenuta nell’avviso di accertamento, e non anche per l’IRAP, le cui violazioni non erano presidiate da sanzioni penali);
-‘unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in
discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario’ (Cass. n. 13481 del 2020).
Conseguentemente, ‘il raddoppio dei termini di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento tributario nei confronti di una società dotata di personalità giuridica non è impedito dall’intervenuta assoluzione in sede penale del suo legale rappresentante dall’accusa di aver commesso uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, ai fini del prolungamento dei detti termini, occorre considerare esclusivamente l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, non rilevando né l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 405 c.p.p., né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di ‘doppio binario’ tra giudizio penale e procedimento tributario’ (Cass. n. 28616 del 2018).
Inoltre, ‘i termini previsti dagli artt. 43 del d.P .R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. 248 del 2006, nella versione applicabile ‘ratione temporis’, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c.’ (Cass. n. 27629 del 2018).
A tali principi la CTR s’è pedissequamente attenuta.
Sesto motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 43 d.p.r. n. 600/1973, 57 d.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 37, commi 24 e ss. d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006 e 25 d. lgs. n. 446/1997’.
6.1. ‘Ad ogni buon conto , la disciplina sul ‘raddoppio dei termini’ non può trovare legittima applicazione con riferimento all’IRAP’.
6.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Invero, poiché a i fini della disciplina del raddoppio dei termini di accertamento assume rilevanza la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti, il raddoppio non opera con riferimento all’IRAP, posto che per tale imposta non sono previste sanzioni penali (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 20400 del 2024 e Cass. n. 4742 del 2020).
Settimo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 1 d. lgs. n. 74/2000, 2697 c.c., 8 d.l. n. 16/2012, convertito nella l. n. 44/2012, 109 t.u.i.r., 1, 14, 22 e 39 d.p.r. n. 600/1973, 25, 28, 39 e 55 d.p.r. n. 633/1972, 1, comma 2, 5, comma 4 e 9, comma 1 d. lgs. n. 471/1997, 19 e 32, comma 2 d. lgs. n. 466/1997’.
7.1. ‘La sentenza impugnata è da ritenersi erronea ed illegittima anche nella parte in cui sì afferma che l’odierna ricorrente si sarebbe resa responsabile dì aver utilizzato fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti ovvero inesistenti quanto meno sotto il profilo soggettivo’. ‘a CRAGIONE_SOCIALE di Milano ha proceduto inopinatamente all’inversione dell’onere della prova in danno della contribuente, omettendo qualsiasi valutazione circa la buona fede e l’assenza di colpa di quest’ultima, posto che; com’è noto, e come ampiamente rilevato dall’odierna ricorrente in sede di appello incidentale , il dovere di controllo da parte del
cessionario presuppone sempre che la frode sia conosciuta o conoscibile da quest’ultimo attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza’. ‘Invero, nel corpo della motivazione della sentenza impugnata non si rinviene alcuna affermazione nel senso di una provata adesione della contribuente ad un accordo simulatorio ‘inter alios’ ovvero di una connivenza e partecipazione della medesima al meccanismo fraudolento’.
7.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Corrisponde a principio ricevuto che, ‘in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili’ (Cass. n. 11873 del 2018).
La CTR ha perfettamente osservato tale principio, rilevando che ‘ la New Tape non era obiettivamente in grado di fornire materiale di alcun tipo alla ricorrente, rendendo fondata l’ipotesi che le fatture emesse a carico della siano relative ad operazioni inesistenti ‘. Ora, poiché New Tape era secondo la CTR, alla luce delle movimentazione bancarie, in difetto di contabilità della medesima -diretta fornitrice della contribuente, l’assoluta sua inidoneità a fornire e movimentare le merci oggetto delle fatture non avrebbe potuto essere ignorata dalla contribuente, tanto più che la cartiera ‘non aveva disponibilità finanziaria sui conti correnti bancari per effettuare le transazioni commerciali, per cui aspettava di ricevere i pagamenti delle società nazionali per eseguire il pagamento al fornitore comunitario non risultano
pagamenti di spese per servizi di gestione e funzionamento, solitamente sostenuti nell’esercizio di una norma attività d’impresa’. Pertanto, affatto logica è la conclusione evinta dalla CTR di fondatezza dell”ipotesi che le fatture emesse a carco della RAGIONE_SOCIALE per il 2004, relative ad operazioni inesistenti’, quantomeno soggettivamente.
Ed in tema, specificamente, di operazioni soggettivamente inesistenti, la giurisprudenza unionale e quella interna tratteggiano un coerente quadro d’insieme.
L’insegnamento della prima – a termini della quale l’Ammini -strazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto anche solo sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non la partecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte COGNOME, C -277/14; Corte COGNOME. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Cass. n. 15369 del 2020). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù
degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Cass. n. 13803 del 2014, ribadita da Cass. n. 13545 del 2018).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e David, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Cass. n. 14237 del 2017).
La contribuente -che di per sé, a fronte di una società fornitrice di cui neppure contesta la natura di mera cartiera, non prova finanche l’effettività delle operazioni, in guisa da escludere che si versi quantomeno in ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti -comunque, pur in riferimento all’ipotesi gradata di un’inesistenza solo soggettiva, non allega e non dimostra di aver offerto e documentato la prova contraria incombentele a termini dei principi testé illustrati.
8. Ottavo motivo: ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’.
8.1. ‘La sentenza impugnata è da ritenersi infine illegittima ed erronea poiché non ha considerato le risultanze fattuali offerte dalla contribuente nell’ambito dei precedenti gradi di giudizio circa l’esistenza e l’operatività delle società RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE – quest’ultima peraltro mai richiamata nella sentenza impugnata – con le quali la Next avrebbe concluso operazioni ritenute oggettivamente e/o soggettivamente inesistenti. In particolare: A) Con riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE: ‘Invero all’epoca dei fatti per cui è causa, la società RAGIONE_SOCIALE risultava essere: i) titolare di partita IVA ed iscritta negli appositi registri camerali (doc. 7); ii) pienamente operativa ed efficiente sotto il profilo economico-commerciale, come dimostrato dall’esistenza di: a) una sede (non solo legale ma anche operativa); b) dalla titolarità di conti correnti bancari; c) dal possesso di beni strumentali ed attrezzature aziendali; d) dalla corrente tenuta della contabilità; e) dalla diuturna stipula di contratti, ordinativi e conseguenti acquisti di merci; f) dallo stabile ricorso a collaboratori, ancorché in maniera non stabile o temporanea’ (cfr., pagg. 19 -20 appello incidentale) ‘.
8.2. Il motivo è inammissibile.
Esso non indica, neppure graficamente, alcun fatto storico viepiù decisivo di cui la CTR avrebbe omesso l’esame.
In realtà. si duole, al più, dell’omesso esame di argomentazioni difensive. Tuttavia, ‘l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l”omesso esame’ come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Cass. n. 2268 del 2022).
Il motivo è altresì e comunque manifestamente infondato.
Obnubila infatti avere la CTR dimostrato la natura di mera cartiera riferibile a New Tape sulla base di una nutrita serie di elementi fattuali univocamente conducenti e di per sé neppure confutati, men che meno mediante il richiamo di esiti istruttori idoneamente, a fini di precisione ed autosufficienza, trascritti e localizzati nei fascicoli di merito.
In definitiva, il ricorso va accolto quanto, esclusivamente, al sesto motivo, riguardante l’IRAP, rigettati tutti gli altri. Pertanto la sentenza impugnata va cassa ‘in parte qua’. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa S.C. è abilitata a decidere la causa nel merito, accogliendo il ricorso introduttivo del giudizio limitatamente all’impugnazione delle riprese riguardanti l’IRAP.
In ragione dell’esito complessivo del giudizio, le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti, con riferimento a tutti i gradi.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati tutti gli altri.
In relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio limitatamente all’impugnazione delle riprese riguardanti l’IRAP.
Compensa interamente tra le parti le spese di lite, con riferimento a tutti i gradi.
Così deciso a Roma, lì 15 gennaio 2025.