Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6864 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6864 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF-IRES-IVA 2007
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21319/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME
NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di ex-soci della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2793/36/2016, depositata il 12 maggio 2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Monza e Brianza notificava a COGNOME NOME e COGNOME COGNOME COGNOME, in qualità di ex-soci della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE (società cancellata dal registro delle impresa in data 11 gennaio 2011), avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2014, con il quale veniva disconosciuta, nei confronti della suddetta società, per l’anno d’imposta 2007, la deducibilità di componenti negativi di reddito per € 129.000,00 (nonché la detraibilità della connessa IVA per € 25.800,00), in quanto ritenute derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti poiché intercorse con la ditta RAGIONE_SOCIALE NOME, svolgente attività di agente di commercio nel settore pubblicitario risultata ‘cartiera’ .
Conseguentemente, il maggior reddito accertato nei confronti della società veniva imputato ex art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi), ai soci COGNOME Cristiano e COGNOME NOME, con separati avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2014 e
T9501BL01069/2014, riguardanti anch’essi l’anno d’imposta 2007.
Con separati ricorsi COGNOME NOME e COGNOME COGNOME Cristiano impugnavano l’avviso di accertamento societario e gli avvisi di accertamento personali dei soci dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, con sentenza n. 11004/29/2014, depositata il 9 dicembre 2014, previa riunione degli stessi li accoglieva, compensando le spese di lite.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 2793/36/2016, pronunciata l’8 febbraio 2016 e depositata in segreteria il 12 maggio 2016, accoglieva l’appello dell’Ufficio, rigettando gli originari ricorsi e condannando i contribuenti alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME COGNOME sulla base di quattro motivi (ricorso notificato con racc. a/r inviata il 15 settembre 2016).
L ‘Agenzia delle Entrate resiste con controricorso
Con decreto del 15 luglio 2014 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’udienza pubblica del 27 novembre 2024.
A detta udienza è comparso il procuratore dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rilevano, in particolare, che nel caso di specie non sarebbe stato applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento, in quanto la denuncia penale era stata pacificamente trasmessa dall’Amministrazione finanziaria soltanto in data 18 aprile 2014, e quindi quando i termini ordinari di decadenza dell’azione accertativa erano ormai decorsi, tenuto conto altresì del fatto che, in sede penale, il P.M. procedente aveva richiesto al G.I.P. l’archiviazione del procedimento, per mancanza degli elementi per s ostenere l’accusa in giudizio.
Il motivo è solo parzialmente fondato.
I n base all’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis al momento dell’accertamento (testo introdotto dall’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
Nel caso di specie, l’anno d’imposta di riferimento è il 2007, ed il termine per l’accertamento era quello quattro anni ex
art. 43, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis ; gli accertamenti avrebbero dovuto effettuarsi quindi entro il 31 dicembre 2012, ovvero entro il 31 dicembre 2016, in caso di raddoppio dei termini. Gli avvisi di accertamento in questione sono stati notificati nel corso del 2014 , ritenendosi applicabile, per l’appunto, il raddoppio dei termini.
Orbene, deve rilevarsi che, ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dalle disposizioni suindicate, l’unica condizione prevista è quella dell’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dall’adempimento di tale obbligo, e quindi indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo, come peraltro chiarito anche da Corte cost. 25 luglio 2011, n. 247 (Cass. 15 dicembre 2021, n. 40132; Cass. 2 luglio 2020, n. 13481; Cass. 28 giugno 2019, n. 17586). A maggior ragione, la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato.
Nel caso di specie, essendo configurabili il reato di cui all’art. 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (dichiarazione infedele), e all’art. 8 dello stesso d.lgs. n. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), ricorrevano quindi le condizioni per il raddoppio dei termini per l’accertamento. Né, peraltro, era necessaria la prova dell’avvenuta effettuazione della denuncia, in quanto poiché il raddoppio dei termini opera indipendentemente dalla denuncia -era onere della C.T.R. verificare, sulla base delle
risultanze dell’avviso di accertamento, se erano configurabili astrattamente dei reati, e quindi se sussisteva l’obbligo di denuncia.
Peraltro, gli avvisi di accertamento in oggetto sono stati notificati prima dell’entrata in vigore dell’art. 2 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, e dell’art. 1, comma 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno previsto la necessità, ai fini del raddoppio dei termini, della presentazione della denuncia penale entro i termini ordinari per l’accertamento.
Sul punto, questa Corte ha già chiarito che «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/1973 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 248/2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge n. 208/2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128/2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218/1997, già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi
costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost.» (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass. 14 maggio 2018, n. 11620).
Invero, secondo l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128/ 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 notificati alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015.
Ne consegue, pertanto, che, nel caso di specie, poiché l’avviso di accertamento è stato notificato prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128/2015, ad esso poteva applicarsi il principio del raddoppio dei termini, pur essendo stata la denuncia penale presentata oltre i termini ordinari per l’accertamento (in tal senso, da ultimo, Cass. 17 luglio 2023, n. 20605).
Ciò chiarito, è necessario però accogliere il motivo di ricorso nella parte in cui censura la sentenza impugnata per aver indistintamente applicato la disciplina del raddoppio dei termini sia rispetto all’avviso di accertamento riguardante l’imposta IRES e sia per quello riguardante l’IRAP.
In materia di IRAP, infatti, come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito in modo ormai consolidato, il c.d. “raddoppio dei termini”, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (cfr., da ultimo Cass. 9 agosto 2023, n. 24244; Cass. 2 agosto 2023, n. 23492; Cass. 17 luglio 2023, n. 20605; Cass. 3 maggio 2018, 10483).
In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto esclusivamente con riguardo alla censura dell’illegittima applicazione del c.d. raddoppio dei termini in materia IRAP.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto che la notifica del questionario funzionale all’accertamento era stata notificata correttamente presso la residenza dei soci della società RAGIONE_SOCIALE trattandosi di società estinta sin dall’11 gennaio 2011 a seguito di cancellazione dal registro delle imprese.
Il motivo è infondato.
Il questionario inviato dall’Ufficio è stato infatti notificato a COGNOME NOME, in qualità di socio e già legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, ed il COGNOME vi ha dato seguito.
Orbene, giova rammentare che, dopo la riforma del diritto societario, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle
imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (cfr. Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070; v. anche Cass. 30 luglio 2020, n. 16362)
Deve quindi ritenersi valida la notifica dell’avviso di accertamento effettuata a mani dei soci della società di persone dopo la sua estinzione a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, giacché – analogamente a quanto previsto dal l’art. 65, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per il caso di morte del debitore e di notifica effettuata impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso, con effetti valevoli nei confronti degli eredi – essa trova fondamento nel fenomeno successorio che si realizza con riferimento alle situazioni debitorie gravanti sul dante causa, con ciò realizzandosi comunque lo scopo della citata disciplina, che è quello di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa azionata nei confronti della società (cfr. Cass. 9 gennaio 2024, n. 753; 12 ottobre 2018, n. 25487).
Se, quindi, appare corretta la notificazione dell’avviso di accertamento societario agli ex-soci illimitatamente responsabili, a maggior ragione deve ritenersi corretta la notificazione all’ex -socio, già legale rappresentante, del questionario presupposto, e ad entrambi gli ex-soci
dell’avviso di accertamento, trattandosi di soggetti responsabili delle obbligazioni sociali ai sensi dell’art. 2312, comma 2, c.c., e quali successori della stessa società ex art. 2495 c.c., e come tali legittimati passivi a ricevere l’accertamento per i redditi societari, relativamente ad un periodo d’imposta precedente, in cu ila società era ancora esistente.
A maggior ragione, poi, i soci suddetti sono legittimati a ricevere gli avvisi di accertamento emessi direttamente nei loro confronti, in forza del principio di trasparenza di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 917/1986.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti eccepiscono violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto che spettasse ai contribuenti l’onere di fornire la prova circa la veridicità ed effettività delle operazioni sottese alle fatture contestate, così, sostanzialmente, invertendo i criteri di ripartizione dell’onere della prova.
Anche tale motivo è infondato.
La sentenza impugnata, invero, ha dato conto della prova fornita dall’Ufficio circa la natura di ‘cartiera’ della ditta fornitrice RAGIONE_SOCIALE Fumagalli NOME, e dell’insufficiente e lacunosa documentazione prodotta dai ricorrenti, in merito alla effettiva esecuzione delle prestazioni e dei servizi indicate nelle relative fatture: elementi, questi, che, valutati nel loro insieme, costituiscono prova presuntiva
(presunzione semplice) circa l’effettiva inesistenza delle operazioni cui i costi recuperati a tassazione di riferiscono.
Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (da ultimo, Cass. 10 aprile 2024, n. 9723; Cass. 18 ottobre 2021, n. 28628).
Non è configurabile nella specie, pertanto, alcuna inversione dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova, avendo l’Ufficio dimostrato, con elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti l’inesistenza delle operazioni di cui alle fatture contestate, e non avendo i contribuenti fornito prove idonee a superare tale presunzione.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, i ricorrenti eccepiscono la nullità degli avvisi di accertamento, per violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto non sussistente la violazione del principio del c.d. contraddittorio preventivo previsto dal citato art. 12 l. n. 212/2000, e la conseguente illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati , in quanto l’omessa redazione di un
processo verle di chiusura delle operazioni di controllo aveva impedito ai ricorrenti di beneficiare del termine da difesa di 60 giorni previsto a garanzia del contraddittorio ante actum .
Anche tale motivo è infondato.
Ed invero, nel caso di specie non è stata operata alcuna verifica fiscale ex art. 52 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, o ex art. 33 d.P.R. n. 600/1973 (e quindi con accesi, ispezioni o verifiche), ma si è effettuato un accertamento c.d. ‘a tavolino’, sulla base del controllo della dichiarazione dei redditi del contribuente; non sono quindi applicabili, nella specie, le garanzie previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 (Cass. 1° giugno 2022, n. 17818).
Consegue l’accoglimento parziale del primo motivo di ricorso, nei termini di cui in premessa, ed il rigetto della restante parte del primo motivo, e degli altri motivi di ricorso.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con riferimento alla parte del primo motivo accolta, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; rigetta nel resto.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla parte del primo motivo accolta, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024.