Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32266 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32266 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24092/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIOROMA n.2027/2016 depositata il 12/04/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ricorre avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio, che ha confermato la sentenza della C.T.P. di Roma di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento, con cui erano state rideterminate le somme dovute a titolo di IRES, IRAP ed IVA, per l’anno di imposta 2005.
La sentenza della C.T.R. ritiene che le disposizioni di cui agli artt. 43 d.P.R. 600/1973 e 57 d.P.R. 633/1972 non postulino, diversamente da quanto ritenuto dal contribuente, che la condotta delittuosa sia stata vagliata in sede penale o che sia iniziato il relativo procedimento, essendo invece esclusivamente previsto che il fatto accertato sia tale da comportare l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, competendo -secondo la pronuncia della Corte costituzionale n. 247/2011- al giudice tributario solo l’obbligo di vagliare, con giudizio di prognosi postuma, la ricorrenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, per verificare se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità. La sentenza dà, altresì, atto che, nel caso di specie, al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento sussistevano elementi idonei per la proposizione della denuncia penale, tanto è vero che si è instaurato il procedimento penale, seppur conclusosi con sentenza di assoluzione.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, formula due motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 3) e 4) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 d.P.R. 600/1973 e 57 d.P.R. 633/1972, nonché dell’art. 116 cod. proc. civ.. Sostiene che la sentenza erra laddove afferma che dagli atti di causa si potesse desumere la sussistenza di elementi idonei a rendere concreto l’obbligo di denuncia, stante la tardiva produzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del P.V.C., meramente richiamato -e non riprodottonell’avviso di accertamento. Invero, il giudice di primo grado aveva accolto l’eccezione di tardività della produzione, mentre l’Ufficio, da un lato, non aveva formulato appello incidentale sul punto, dall’altro non aveva prodotto ex novo il processo verbale in secondo grado, con la conseguenza che il P.V.C., doveva considerarsi non prodotto in giudizio, non potendo, pertanto essere utilizzato dalla C.T.R., ai fini della decisione. Ricorda che l’avviso di accertamento è stato notificato alla società contribuente il 26.11.2012 e che essendo contestato il periodo di imposta dell’annualità 2005, l’avviso di accertamento era stato illegittimamente emesso, non potendo trovare applicazione la disciplina sul raddoppio del termine. Invero, essendo obbligo del giudice tributario vagliare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, essendo l’avviso di accertamento emanato sulla base della verifica effettuata dalla G.d.f. ed essendo il P.V.C. da ritenersi non depositato in giudizio, la C.T.R. non avrebbe potuto ritenere sussistenti i presupposti della denuncia, dovendo, per converso, dichiarare l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato, in quanto tardivamente emesso e notificato. Rileva che l’avere desunto l’obbligo di denuncia dal
P.V.C., viola il criterio del prudente apprezzamento di cui all’art. 116 cod. proc. civ., posto che il processo verbale di constatazione non poteva assurgere a valore di prova.
Con il secondo motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1 nn. 4) e 5) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., nonché la contraddittorietà della motivazione. Rappresenta che dai fatti oggetto di accertamento sono scaturiti due procedimenti penali, l’uno per il reato di cui agli artt. 4 e 10 l. 74/2000, conclusosi con l’accoglimento della richiesta di archiviazione, l’altro relativo al reato di cui all’art. 2, comma 1 l. 74/2000, definito con pronuncia di assoluzione con la formula ‘perché il fatto non sussiste’. Sostiene che ciò avrebbe dovuto indurre la C.T.R. a ritenere l’insussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia. La dichiarata insussistenza del fatto presuppone, infatti, l’assenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, così come il decreto di archiviazione.
Il primo motivo è fondato nei limitati termini che seguono.
4.1 Va preliminarmente ribadito che ‘Nel processo tributario i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 25 del d.lgs. n. 546 del 1992, e non possono essere ritirati dalle parti, che possono solo acquisire copia autentica dei documenti e degli atti ivi contenuti; ne consegue che la documentazione depositata tardivamente nel giudizio di primo grado è utilizzabile in appello, ove acquisita al fascicolo processuale, purché depositata entro il termine perentorio di cui all’art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992. (Sez. 5, Ordinanza n. 26115 del 17/11/2020; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30537 del 19/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 6914 del 25/03/2011; così anche più recentemente: Sez. 5 – , Sentenza
n. 9635 del 10/04/2024). E ciò perché ‘nel processo tributario, che si distingue dal processo civile ordinario di cognizione, i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo di ufficio, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, sino alla sentenza passata in giudicato e, quindi, le parti non hanno facoltà, come nel giudizio civile, di ritirare i rispettivi fascicoli di parte in sede di precisazione delle conclusioni, ai sensi degli artt. 168 e 169 cod. proc. civ.. Piuttosto, l’art. 25 citato dispone che «I fascicoli di parte restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo» e le parti possono soltanto ottenere copia autentica degli atti e dei documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio, ma non la restituzione dei fascicoli in originale, se non dopo il passaggio in giudicato della sentenza (….) Questa Corte ha, al riguardo, affermato il principio secondo cui il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle forme previste dall’art. 87 disp. att. cod. proc. civ. (o, nel processo tributario, dell’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 9 1992); tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – anche se le modalità della produzione non corrispondono a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass., sez. 5, 15/10/2010, n. 21309; Cass., sez. 5, 24/02/2015, n. 3661; Cass., sez. 5, 30/11/2016, n. 24398; Cass., sez. 6-5, 19/12/2017, n. 30537; Cass, sez. 5, 7/03/2018, n. 5429; Cass., sez. 6-5, 25/06/2018, n. 16652). Ciò comporta che i documenti tardivamente depositati nel giudizio di primo grado devono essere esaminati
nel giudizio di appello, ove acquisiti al fascicolo processuale, dovendosi ritenere comunque prodotti in grado di appello ed esaminabili da tale giudice purché depositati entro il termine perentorio sancito dall’art. 32, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile anche al giudizio di appello, come ribadito anche da Cass. n. 5429 del 7 marzo 2018’ (così Sez. 5, Ordinanza n. 26115 del 17/11/2020, supra richiamata)
Ne consegue che la documentazione depositata tardivamente dall’Ufficio, nel corso del procedimento di primo grado, proprio in ragione di quanto previsto dall’art. 25 del d.lgs. n. 546 del 1992, è entrata automaticamente nel procedimento di appello e ben poteva essere utilizzata dai giudici di appello ai fini della decisione.
4.2 Se, dunque, la C.T.R. poteva prendere in esame il P.V.C., valutando la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, allora cade la censura di tardività dell’emissione e della notifica dell’avviso di accertamento, posto che il raddoppio del termine di cui agli artt. 43 d.P.R. 600/1973 e 57 d.P.R. 633/1972, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif., in l. n. 248 del 2006, è condizionato solo alla sussistenza seri di indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale -anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza- valutazione questa compiuta dalla sentenza impugnata, proprio attraverso l’esame degli ‘atti di causa’.
4.3 Ciò premesso, nondimeno, poiché dall’atto di appello riprodotto nel ricorso introduttivo emerge che, effettivamente, la contestazione relativa alla rideterminazione dell’IRAP era fatta oggetto di doglianza e posto che ‘In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da
sanzioni penali’ (da ultimo: Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10483 del 03/05/2018), il motivo va accolto limitatamente all’accertamento relativo a detta imposta, rimettendosi al giudice del rinvio il relativo accertamento.
Il secondo motivo non è fondato.
5.1 Secondo il consolidato orientamento di questa Sezione, infatti, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale indipendentemente dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo, e sinanco -come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011 dall’effettiva presentazione della denuncia, atteso il regime del doppio binario tra giudizio penale e giudizio tributario (Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018; Sez. 5, Sentenza n. 27250 del 15/09/2022; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11620 del 14/05/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9322 del 11/04/2017; Sez. 5 – , Sentenza n. 26037 del 16/12/2016); cfr. anche, incidentalmente sul punto: Sez. 5 – , Sentenza n. 26037 del 16/12/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11620 del 14/05/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019.
Cosicché allorquando il contribuente eccepisca il superamento dei termini di accertamento da parte del fisco, egli è tenuto a contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia senza poter mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Sez. 5, Ordinanza n. 13481 del 02/07/2020).
5.2 Nessun rilievo assumono, pertanto, le considerazioni svolte da parte ricorrente in ordine alla contraddittorietà della motivazione nella parte in cui non si limita a constatare che l’insussistenza dell’obbligo di denuncia è dimostrato dall’esito dei procedimenti penali, l’uno, conclusosi con l’archiviazione, e l’altro, con un’assoluzione perché il fatto non sussiste. E ciò, perché, come chiarito dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 247/2001, il giudice tributario deve compiere una valutazione ‘ora per allora’ circa la ricorrenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, il che rende del tutto inconferente rispetto a quella valutazione l’effettivo esito del giudizio.
5.3 L’accoglimento del primo motivo, limitatamente alla valutazione della tempestività dell’accertamento della maggior imposta IRAP, comporta la cassazione della sentenza impugnata sul punto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese di lite di questo grado di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma il 14 novembre 2024