Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34369 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34369 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4904/2017 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4078/2016 depositata il 12/07/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Come si desume dalla lettura della sentenza impugnata, NOME COGNOME ricorreva avanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano nei confronti dell’avviso di accertamento emesso, avvalendosi del raddoppio del termine ex art. 57 terzo comma del DPR n. 633/1992, dall’RAGIONE_SOCIALE Brianza per l’anno d’imposta 2007, con il quale il reddito d’impresa individuale dichiarato in euro 140.120,00 – nell’attività svolta di
recupero per riciclaggio di cascami e rottami in regime di contabilità ordinaria -era stato elevato in rettifica ad euro 486.892,00 oltre accessori, in rapporto a fatture di acquisto provenienti da tale NOME COGNOME, per un importo complessivo di euro 346.692,00, considerate emesse per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti da soggetto sprovvisto di organizzazione imprenditoriale ed evasore totale, con conseguente indeducibilità e rideterminazione RAGIONE_SOCIALE imposte dovute.
Il contribuente denunciava: i) la nullità dell’atto impositivo per asserito difetto di relativo potere del funzionario sottoscrittore; ii) l’illegittimità dell’utilizzato raddoppio dei termini di accertamento, per suo uso strumentale; iii) la carenza di elementi indiziari idonei a giustificare l’accertamento; iv) l’infondatezza nel merito della pretesa esercitata; v) l’insussistenza dell’obbligo, per non essere all’epoca vigente il meccanismo di inversione contabile, di versare l’imposta connessa alle operazioni inesistenti imputatesi.
La Commissione di prossimità respingeva il ricorso.
L’appello del contribuente, che rinnovava le censure dedotte in primo grado, era rigettato dalla CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe indicata.
Avverso la predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con cinque motivi e resiste, con controricorso, l’Amministrazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione art. 42 d.P.R. 600/1973 e 2697 c.c.», per avere ritenuto valida, ai fini della sussistenza del potere di sottoscrizione in capo al firmatario dell’accertamento, la delega di firma depositata antecedente all’avviso di accertamento e la circostanza che il sottoscrittore delegato appartenesse alla carriera direttiva della P.A., senza che fosse specificata la durata di validità della delega medesima.
1.1. Il motivo è infondato.
Per giurisprudenza costante, la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (Cass. V, n. 8814/2019; n. 11013/2019; da ultimo Cass. n. 26114/2024).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione art. 43 del d.P.R. 600/1973 art. 54 del d.P.R. 60, nonché art. 21 comma 3° d.lgs. 128/20151 art. 1, comma 132 legge 208/2015», lamentando che la CTR abbia erroneamente escluso la decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo, ritenendo applicabile alla fattispecie in esame il regime transitorio di cui all’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128/2015 e dunque ritenendo che, ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento, la denuncia non dovesse necessariamente essere inviata entro i termini originari di decadenza. Tale interpretazione del compendio normativo in esame, afferma il ricorrente, incorrerebbe in dubbi di legittimità costituzionale.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione art. 43 DPR 600/1973 e 54 DPR 633/1972 e art. 331 c.p.p. Lamenta il ricorrente l’abuso dell’utilizzo dell’istituto del raddoppio dei termini, in quanto, sostiene, l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto elementi sufficienti per configurare una notizia di reato idonea a fare scattare, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., l’obbligo di denuncia,
tenuto conto che l’accertamento si basava esclusivamente su elementi presuntivi.
Il secondo e terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, sono parzialmente fondati, nei termini che seguono.
4.1. Va a tale riguardo ricordato che costituisce, ormai, ius receptum che «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario» (v. Cass. 28/04/2021 n. 11156; Cass. 02/07/2020, n. 13481).
4.2. Si è, anche, precisato che detti termini sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 (ed è il caso in esame), incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della L. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2, del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti
fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112, Cost. (Cass. 19/12/2019, n. 33793; 14/05/2018, n. 11620).
4.3. Infine, Cass. n. 36474 del 24/11/2021 ha statuito che «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dall’art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile “ratione temporis”, può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza. Infatti, per la Corte costituzionale (Corte cost., 25 luglio 2011, n. 247) i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una proroga di quelli ordinari, ma sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, cioè ove sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari, senza che all’Amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. I termini raddoppiati, quindi, non si innestano su quelli brevi, in base ad una scelta discrezionale degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000. Non può dunque farsi riferimento alla riapertura o alla proroga di termini scaduti, né alla reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, poiché i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono i diversi termini di accertamento. Pertanto, mentre i termini brevi di cui ai primi due commi dell’art. 57 d.P.R. 633/1972 operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale di reati, i termini raddoppiati di cui al terzo comma dell’art. 57 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali vi è l’obbligo di denuncia.
4.4. Inoltre, il comma 26 dell’art. 37 del d.l. 223 del 2006 non prevede una riapertura di termini di accertamento già scaduti, ma
risolve solo una questione di successione di leggi nel tempo, senza dettare una disciplina sostanziale. La norma prevede che «le disposizioni di cui ai commi….25 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma […] dell’art. 57 del d.P.R. 633/72». In tal modo, dunque, non viene retroattivamente riaperto un termine già scaduto, ma viene solo escluso che il raddoppio dei termini si applica alle violazioni tributarie per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto (4 luglio 2006), fosse già decorso il termine di accertamento previsto dalla normativa anteriore. Pertanto, il raddoppio del termine, costituendo un termine del tutto slegato dai termini ordinari di accertamento, perché opera in via automatica al verificarsi del presupposto della sussistenza di illeciti penali, anche per consentire al giudice tributario di utilizzare elementi istruttori RAGIONE_SOCIALE indagini penali nel frattempo espletate, può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza.
4.5. Nel caso in esame la sussistenza dell’obbligo dì denuncia penale ex art. 331 c.p.p., come si desume dalla ricostruzione operata dai giudici del merito, emergeva dagli elementi di fatto, contenuti nell’avviso di accertamento. Il giudice tributario, del resto, deve limitarsi a controllare, se è richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario- è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato (Cass., sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9958).
4.6. Tanto premesso, va evidenziato che, come più volte rilevato da questa Corte, «In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’Irap, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali» (Cass. n. 472/2020; n. 10483/2018; n. 20435/2017; n. 4775/2016; n. 26311/2017, n. 23629/2017).
4.7 . A quanto osservato consegue pertanto l’accoglimento dei motivi limitatamente alla ripresa avente ad oggetto l’Irap, con rigetto nel resto.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in merito alla censura, proposta dall’appellante, di uso strumentale, ai fini del raddoppio dei termini, della denuncia penale, che si assume essere stata redatta successivamente all’avviso di accertamento,
5.1. Il motivo è inammissibile, potendosi limitare, al riguardo, a dare seguito al principio di diritto secondo cui «Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo» (v. in tal senso, tra le molte, Cass. n. 29191 del 06/12/2017).
5.2. Il motivo è comunque infondato, in ragione di quanto già evidenziato, nel trattare i precedenti motivi di ricorso, in merito alla non necessità della presentazione di una denuncia penale, nella specie comunque presentata.
Con il quinto motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione art. 2769 e 2729 c.c.». Il ricorrente deduce che i giudici di appello avrebbero fondato il loro convincimento ribaltando in capo al contribuente l’onere probatorio.
6.1. A tale riguardo, va doverosamente osservato che «In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.» (ex multis, Cass. Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018)
6.2. Tanto premesso, il motivo non è fondato, non essendo rilevabile, nella decisione impugnata, la patologia denunciata dal ricorrente.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una ‘cartiera’ o una ‘società fantasma’, ciò essendo gravemente indiziario della oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n.
27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n. 4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737). Difatti, le operazioni contabili di regolare esecuzione della prestazione «costituiscono attributo indefettibile di qualsiasi operazione fraudolenta ben organizzata, che deve mascherare appunto sotto l’apparente veste di una regolarità formale la propria natura illecita, sicché essi sono, decisionalmente, del tutto inconferenti» (Cass., Sez. V, 14 dicembre 2016, n. 25698; conf. Cass., Sez. V, 13 aprile 2016, n. 7233; Cass., Sez. V, 11 dicembre 2013, n. 27720).
6.3. Parimenti va ribadito il principio -relativo alla valutazione dei fatti noti addotti dall’Ufficio (gli elementi indiziari) – secondo cui spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, i quali vanno valutati sia analiticamente (assegnando un adeguato peso ponderale a ciascun elemento), sia sinteticamente nella loro globalità, valutando se la combinazione di tali elementi sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 26802; Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19353; Cass., Sez. V, 31 maggio 2019, n. 14980; Cass., Sez. VI, 23 giugno 2017, n. 15777; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374; Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16719). Il giudizio sintetico o complessivo degli elementi addotti si nutre, pertanto, della valutazione dei singoli indizi -ove rilevanti (gravi e precisi) e concordanti rispetto all’oggetto della prova – al fine di cogliere il quadro complessivo che fonda la prova logica del fatto ignoto (Cass., Sez. V, 12 luglio 2022, nn. 22018 e 22003).
6.4. Nella specie, la CTR ha correttamente applicato i principi richiamati, evidenziando i plurimi elementi presuntivi sui quali ha fondato il proprio convincimento, e segnatamente osservando: che il soggetto che risulta avere emesso le fatture in questione era risultato non possedere beni strumentali di sorta per l’attività aziendale, e neppure una sede, o un’unità operativa o un deposito
individuale, oltre a non disporre in assoluto di automezzi per il trasporto dei rottami trattati, ancorché in apparenza venduti ad altri sette clienti e per un ammontare, nell’anno 2007, di euro 1.462.896,00; che era del tutto inusuale nella corrente pratica commerciale, circa importi di appena qualche entità, la metodica costantemente seguita dal COGNOME, e per nulla credibile, di regolare le transazioni in contanti, oltreché in superamento RAGIONE_SOCIALE soglie di legge; che alla luce di quella rilevante movimentazione di merce, il COGNOME non era titolare di una utenza telefonica dedicata alla ditta, accontentandosi di avvalersi di quella della propria residenza.
6.5. A fronte di tali conducenti elementi indiziari, la CTR ha ritenuto inefficace la presenza di concomitanti documenti di trasporto volti ad attestare il quantitativo di materiali via via ceduti, essendo insieme fortemente indiziaria in tutt’opposta direzione la tipologia RAGIONE_SOCIALE varie anomalie di contro emergenti, e comunque rilevando che in taluni casi neppure risultava indicato l’automezzo usato, mentre in altri sarebbe stato il medesimo cedente – circostanza singolare, vista la mancanza di mezzi propri – a darsi carico del trasporto, e se talora figurava l’intervento di un terzo quale vettore con un mezzo individuato, questo medesimo sarebbe però stato in altra occasione utilizzato dal COGNOME sempre in qualità di cedente, nel che, piuttosto che una ipotetica necessità occasionale, la CTR individuava una patente contraddizione. E ancora, hanno rilevato i giudici di appello, la globalità dei documenti di trasporto riportava la dicitura “peso da verificare a destino”, senza che però fosse offerto, a riprova, il supporto del relativo tagliando di pesatura elettronica presso il destinatario.
6.6 . Infine, i giudici territoriali hanno rilevato che l’onere incombente al contribuente non è stato adempiuto, osservando che a tal fine non è sufficiente il riportarsi ad una formale regolarità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, come non costituiscono attendibile
argomento a sua comprovazione computi matematici sulla scarsa profittabilità posseduta da transazioni commerciali.
6.7. Per il resto, il motivo attinge, inammissibilmente, la ricostruzione fattuale posta in essere dai giudici di appello.
In conclusione, rigettati il primo, quarto e quinto motivo di ricorso ed accolti il secondo e terzo per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso ed accoglie il secondo ed il terzo nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28/11/2024.