Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14300 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
Oggetto: Tributi
Accertamenti bancari
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 3608 del ruolo generale dell’anno 20 20, proposto
Da
Avv.to NOME COGNOME, difeso da sé medesimo, domiciliato presso il proprio studio in Roma, INDIRIZZO (indirizzo PEC: EMAIL);
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che le rappresenta e difende;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 3747/07/2019, depositata in data 20.06.2019, non notificata;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 3747/07/2019, depositata in data 20.06.2019 , rigettava l’appello di NOME COGNOME nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , avverso le sentenze n. 20069/06/2017, n. 20070/06/2017, n. 20071/06/2017, n. 20072/2017 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato i ricorsi presentati dal suddetto contribuente, esercente l’attività professionale di avvocato, avverso quattro avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio , a seguito di indagini finanziarie, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 7 del d.P.R. n. 600/73 e 51, comma 2, n. 7 del d.P.R. n. 633/72, previo p.v.c. della G.d.F., Nucleo di Polizia Tributaria di Roma, formato in contraddittorio, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo , per gli anni dal 2007 al 2010, maggiori ricavi ai fini Irpef, addizionali comunali e regionali e Iva, in relazione a movimentazioni (accreditamenti) risultate ingiustificate su conti correnti bancari ritenuti riconducibili al contribuente nonché a costi indebitamente dedotti.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha affermato che: 1) andava rigettata l’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento per inapplicabilità dell’istituto del raddoppio del termine ex art. 1, comma 132, della legge n. 208/2015, in quanto per gli avvisi di accertamento notificati – come nella specie – prima del 1° gennaio 2016, restavano in vigore le precedenti
disposizioni come modificate dal d.lgs. n. 128 del 2015; in particolare, in applicazione dell a disciplina transitoria di cui all’ art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128/2015, nel caso di notifica del p.v.c. prima dell’entrata in vigore del detto d.lgs. (2 settembre 2015) e di notifica degli atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, il termine per l’accertamento era raddoppiato anche qualora la notizia di reato fosse intervenuta oltre l’ordinario termine di decadenza; nella specie, trovava applicazione il raddoppio del termine, essendo stato il p.v.c. della G.d.F. notificato il 21 luglio 2015, gli avvisi di accertamento notificati il 20.12.2015 ed essendo stata, peraltro, trasmessa la notizia di reato in data 17.7.2015 negli ordinari termini dell’accertamento tenuto presente l’omessa presentazione della dichiarazione Iva per tutte le annualità in questione (ovvero entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata); 2) nel merito era infondata l’eccezione riguardante l’illegittimità per omessa/insufficiente istruttoria documentale, in quanto – premesso che ai sensi degli artt. 32 e 51 cit. era prevista in relazione alle movimentazioni risultate ingiustificate (nella specie versamenti) una presunzione legale relativa a favore dell’Ufficio con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente in ordine all’avvenuta inclusione delle dette operazioni nelle dichiarazioni o alla non afferenza delle stesse ad operazioni imponibili -nella specie, ‘ la documentazione cui faceva riferimento il contribuente altro non era che quella trasmessa dagli Istituti bancari a seguito della richiesta della Guardia di Finanza, documentazione tutta riferibile al contribuente ed alle operazioni dallo stesso poste in essere come da estratti conti che contenevano gli elementi necessari per garantire il diritto di difesa del ricorrente ‘; peraltro, l’accertamento era scaturito da un p.v.c. della GdF formatosi in contraddittorio con il contribuente (ed allegato al ricorso).
Avverso la suddetta sentenza, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Va preliminarmente osservato che, in memoria, il ricorrente ha fatto riferimento ad una sopravvenuta sentenza di assoluzione ( ‘ perché il fatto non sussiste ‘ ) per gli stessi fatti oggetto del giudizio tributario in esame, richiamando al riguardo una giurisprudenza della Corte EDU (sentenza del 22 ottobre 2024, relativa al caso RAGIONE_SOCIALE v. Moldavia) senza però allegarla né tantomeno indicarne gli estremi.
2. Con il primo motivo si denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., la violazione degli artt. 1, comma 132, della legge n. 208/2015, dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128/2015, degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74/2000 e degli artt. 24 e 53 Cost.; 2) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c .p.c., la violazione degli artt. 111 Cost., 112 c.p.c., e 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR rigettato l’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento ritenendo applicabile l’istituto del raddoppio del termine in applicazione dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128/2015 sebbene detta disposizione fosse stata implicitamente abrogata dalla legge n. 208/2015 (legge finanziaria 2016) in forza della quale, per i periodi di imposta precedenti il 2016, non era operativo il raddoppio dei termini di accertamento nei casi – come nella specie – in cui la denuncia per i reati di cui al d.lgs. n. 74/2000 fosse stata presentata oltre le scadenze ordinarie; al riguardo, ad avviso del ricorrente, consentire un decorso ex novo del predetto termine , dopo l’intervenuta decadenza, equivarrebbe a sottoporre il contribuente ad un procedimento sanzionatorio in violazione dell’art. 24 Cost.; peraltro, la CTR avrebbe omesso di rilevare che, per le annualità 2008 e 2010, non vi era alcun obbligo di denuncia, per insussistenza dei presuppost i di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e lett. b) del d.lgs. n. 74/2000, con conseguente inapplicabilità del raddoppio dei termini di accertamento per tali periodi di imposta; la sentenza impugnata avrebbe, inoltre, ‘ omesso di considerare e motivare ‘ sulle specifiche censure del contribuente in ordine all’origine non fiscalmente rilevante d elle movimentazioni bancarie ascritte a maggiori ricavi trattandosi di prestiti o di importi per vincite di gioco o comunque
di somme versate su conti correnti intestati a soggetti diversi dal contribuente senza alcun collegamento con l’attività professionale di avvocato del contribuente; la CTR avrebbe omesso anche di motivare in ordine alla mancata escussione in sede di verifica di diversi ulteriori soggetti che, laddove in tale sede ascoltati, avrebbero potuto ‘giustificare’ una cospicua parte dei versamenti/accreditamenti contestati.
2.1. In primo luogo, il mezzo si espone ad un complessivo profilo di inammissibilità contenendo un’indistinta unificazione e sovrapposizione delle ragioni di ricorso per cassazione riconducibili al vizio di violazione di legge e all’ error in procedendo (sotto il profilo dell’omessa pronuncia e /o motivazione apparente). Occorre ribadire, infatti, l’orientamento secondo il quale nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016; n. 20690 del 2023).
2.2. In ogni caso il motivo è, in parte, comunque inammissibile, in parte, infondato.
2.3. Quanto alla dedotta violazione delle norme in tema di raddoppio del termine di accertamento, vanno di seguito richiamati gli interventi legislativi in materia.
2.4. L’art. 37, comma 24, d.l. n. 223 del 2006, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. L’art. 37, comma 25, del medesimo d.l. n. 223 del 2006, introduce analoga disposizione in materia di I.V.A., previa modifica dell’art. 57, d.P.R. n. 633 del 1972.
2.5. I termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’Iva, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla L. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di ‘seri indizi di reato’ che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass. 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto. Tanto deriva non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c. (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass. sez. 6-5, n. 33793 del 2019; Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21698).
2.6. Inoltre, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accer tamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati , incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della L. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. 14 maggio 2018, n. 11620; Cass. sez. 6-5, n. 33793 del 2019).
2.7. Infatti, secondo l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015: «sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015».
2.8. Dalla giurisprudenza citata si evince un favor del legislatore per il raddoppio dei termini in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa), in ossequio ai principi costituzionali di cui all’art. 53 Cost. (capacità contributiva) e 112 Cost. (obbligo di esercitare l’azione penale e interesse della collettività al perseguimento dei reati) tutte le volte in cui tale raddoppio del termine non incida concretamente su diritti fondamentali del contribuente, quali il diritto di difesa (Cass., sez. V, n. 15922 del 2021; Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21698; Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 15001; Cass., Sez. VI-V, 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass., 5 novembre 2019, n. 28356; Cass., Sez. VI, 14 maggio 2018, n. 11620; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2016, n. 26037; da ultimo, Cass., sez. 5, n. 23662 del 2023; Sez. 5, n. 16966 del 2024).
2.9. Al riguardo, l’art. 2, comma 3, cit. va interpretato in maniera costituzionalmente orientata alla luce della suddetta ratio nonché alla luce di una interpretazione piana e lineare della norma, la quale consente – senza alcun distinguo quanto al momento in cui sia sorto l’obbligo della denuncia – il raddoppio del termine ove l’avviso di accertamento sia stato comunque notificat o entro la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2015 (ossia il 2 settembre 2015) ovvero le violazioni punibili siano state constatate in processi verbali
notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015.
2.10. Pertanto, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 cit. per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 (entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata) – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3 comma 2, del d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23662 del 2023; Sez. 5, n. 16966 del 2024).
2.11. Nella sentenza impugnata la CTR, in applicazione dei suddetti principi, ha correttamente ritenuto, in applicazione del precedente regime transitorio di cui all’art. 2, comma 3 del d.lgs. n. 128 del 2015, operante il raddoppio dei termini con riguardo agli avvisi di accertamento per le annualità 2007-2010, essendo stato – come accertato in punto di fatto dal giudice di appello (pag. 6 della sentenza) – il relativo p.v.c. della Gdf notificato in data 21.7.2015 (quindi prima del 2 settembre 2015) e gli atti impositivi notificati in data 20.12.2015 (entro il 31 dicembre 2015); peraltro, la CTR ha precisato che, nella specie, la notizia di reato era stata trasmessa in data 17.7.2015 nei termini ordinari
dell’accertamento in quanto, essendo stata per gli anni in questione, omessa la dichiarazione (Iva), il termine per la notifica degli avvisi previsto a pena di decadenza era il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la stessa avrebbe dovuto essere presentata.
2.12. Quanto alla (sub) censura relativa alla dedotta insussistenza per gli accertamenti relativi alle annualità 2008 e 2010 dei presupposti di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e lett. b) del d.lgs. n. 74/2000, con conseguente inoperatività dell’istituto del raddoppio del termine, essa si scontra con l’accertamento in punto di fatto operato dal giudice di appello di avvenuta presentazione, per tutte le annualità oggetto di verifica (2007-2010), della denuncia penale (per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000) : si legge in sentenza che ‘… per l’anno d’imposta 2009 il ricorrente ha omesso la dichiarazione IVA (la dichiarazione Iva è stata omessa per tutti gli anni dal 2007 al 2012). Quindi, a maggior ragione, la notizia di reato, trasmessa in data 17.7.2015 risulta trasmessa nei termini ordinari dell’accertamento.. .’ .
2.13. E’ poi infondata la (sub) censura di omessa motivazione della CTR sulla dedotta non rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie contestate (trattandosi di prestiti o importi per vincite al gioco o, comunque, di somme versate su conti correnti bancari intestati a soggetti diversi dal contribuente senza alcun collegamento con l’attività professionale svolta da quest’ultimo) e mancata escussione, in sede di verifica, di diversi ulteriori soggetti che avrebbero potuto giustificare una cospicua parte dei versamenti/accreditamenti contestati.
2.14. Premesso che, per giurisprudenza di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758, Sez. 5, Ordinanza n. 6044 del 2024), nella specie, la CTR
ha ritenuto – con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità e conformemente ai principi in materia di accertamenti bancari (Cass. sez. 5, n. 22675 del 2024; Cass., 26 aprile 2024, n. 11169; Cass., 24 luglio 2023, n. 22047; Cass., 30 giugno 2020, m. 13112; Cass., 3 maggio 2018, n. 10480) – sostanzialmente non superata dal contribuente la presunzione legale (relativa) di maggiori ricavi ex artt. 32 e 51 cit. atteso che ‘ la documentazione cui faceva riferimento il contribuente altro non era che quella trasmessa dagli Istituti bancari a seguito della richiesta della Guardia di Finanza, documentazione tutta riferibile al contribuente ed alle operazioni dallo stesso poste in essere come da estratti conti che contenevano gli elementi necessari per garantire il diritto di difesa del ricorrente ‘ ; quindi la CTR ha ritenuto che la documentazione indicata ( a contrario) dal contribuente – coincidente con quella trasmessa dagli istituti bancari – fosse tutta riconducibile a quest’ultim o (anche se concernente accreditamenti/versamenti su conti correnti intestati a soggetti diversi dal contribuente medesimo, quali la figlia dello stesso e il sig. NOME COGNOME sul quale il primo era delegato ad operare, v. p.v.c. allegato al ricorso) ed afferente ad operazioni imponibili poste in essere dallo stesso; peraltro, la CTR ha evidenziato come l’accertamento fosse scaturito da un p.v.c. della GdF formato in contraddittorio con il contribuente medesimo; trattasi di motivazione conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost.; né il giudice del merito deve dare conto di ogni allegazione, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti non espressamente esaminati (Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. 6-1, 17 maggio 2013, n. 12123). In questo contesto, generica e inconferente è l’eccezione, proposta in memoria, concernente la rilevanza del comma 5bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/92 (al riguardo, sull’applicabilità della norma ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, v. Cass. n. 20816/24 e, comunque, sulla persistente
applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria, v. Cass. n. 2746/24). 3. Con il secondo motivo si denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 112 c.p.c., 36 del d.lgs. n. 546/92; 2) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 53 Cost. per avere la CTR confermato la ripresa fiscale senza escludere – alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 – i prelevamenti ritenuti dall’Ufficio non giustificati.
3.1. In disparte il richiamo in rubrica indistintamente di vizi eterogenei ( error in procedendo , violazione di legge e vizio di motivazione), il motivo è inammissibile in quanto non attinente al decisum avendo la CTR confermato la legittimità degli avvisi impugnati con i quali l’Ufficio – a seguito di p.v.c. formato in contraddittorio con il contribuente – aveva ripreso a tassazione, in relazione alle annualità verificate, soltanto i versamenti/ accreditamenti non giustificati (escludendo i prelevamenti risultati non giustificati, in ossequio alla sentenza n. 228 del 2014, v. pag 3 della sentenza impugnata).
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 53, e 111 Cost., 112 c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla eccezione di violazione del diritto di difesa relativamente agli accertamenti per gli anni 2009 e 2010 non avendo l’Amministrazione fornito la documentazione contabile, relativa a tali annualità, su cui si basava il p.v.c. nonostante il contribuente avesse presentato richiesta di accesso documentale, ex art. 1 della legge n. 241/1990, alla G.d.F. verbalizzante il p.v.c. medesimo, con preclusione del diritto di quest’ultimo di fornire una diversa ricostruzione dei fatti contestati , il tutto con una illegittima e immotivata negazione della concessione di una CTU contabile richiesta sin dal primo grado di giudizio.
4.1.Il motivo è infondato.
4.2. Invero, nella sentenza impugnata, la CTR -esplicitando le ragioni sottese alla decisione né tantomeno incorrendo in un vizio di omessa pronuncia – ha affermato che, in relazione a tutte le annualità verificate, la presunzione legale (relativa) ex artt. 32 e 51 cit era stata legittimamente fondata sugli estratti conti -‘ che contenevano gli elementi necessari per garantire il diritto di difesa del contribuente ‘ – trasmessi dagli Istituti bancari su richiesta della GdF e che l’accertamento era stato espletato nel contraddittorio con il contribuente, senza che quest’ultimo avesse dimostrato la non afferenza delle operazioni contestate (accreditamenti) ad operazioni imponibili; ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, posto che il citato art. 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facoltà, non di obbligo, dell’amministrazione tributaria » (Cass. n. 25752/2022; Cass. 26 aprile 2017, n. 10249; conf. Cass. 29 marzo 2002, n. 4601).
4.3. Infine, quanto alla subcensura concernente l’illegittima e immotivata negazione di espletamento di ctu contabile, giova ribadirne l’inammissibilità, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348ter , comma 5, c.p.c. (da ultimo, Cass. n. 25281 del 2023).
5.In conclusione, il ricorso va rigettato.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 18.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025.