Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23146 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23146 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29293/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dall’amministratore unico NOMECOGNOME nonché NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliati in CERIGNOLA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
(EMAIL)
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, sez. dist. FOGGIA n. 1891/2016 depositata il 14/07/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. dist. Foggia, con la sentenza n. 1891/2016 depositata in data 14/07/2016, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e dai soci COGNOME NOME e COGNOME Angelo contro la sentenza n. 2249/2015, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Foggia aveva respinto il ricorso contro sette distinti avvisi di accertamento emessi nei confronti della società contribuente e dei due soci , in relazione agli anni d’imposta 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010.
In particolare, la CTR ha rilevato che:
sono fondate le censure relative alla violazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 53, commi 1 e 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di raddoppio dei termini. A tal fine il giudice di seconde cure ha richiamato le modifiche apportate dall’art. 37 , comma 24, d.l. n. 223 del 2006 convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006 (che ha introdotto la previsione relativa al raddoppio dei termini per l’accertamento in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.), le modifiche apportate dal d.lgs. n. 128 del 2015 (che faceva dipendere l’applicazione della disciplina sul raddoppio alla presentazione della denuncia entro i termini ordinari,
cioè entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della denuncia o al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata), la disciplina transitoria contenuta nell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2016 (che faceva salvi gli avvisi notificati alla data del 2 settembre 2015) e, infine, le novità introdotte dalla legge di stabilità del 2016 (n. 208 del 2016), priva di una disciplina transitoria, con la conseguenza che si doveva ritenere implicitamente abrogato l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 cit. Ha quindi ritenuto fondata la doglianza dei contribuenti sull’inapplicabilità al caso di specie della disciplina del raddoppio dei termini;
b) è fondata la doglianza degli appellanti relativa alla mancata produzione della denuncia ex art. 331 c.p.p.: i giudici di prime cure hanno omesso di pronunciarsi su tale censura, al fine di verificare l’eventuale uso strumentale della denuncia penale per accedere al raddoppio dei termini, tanto più che nel caso di specie -a fronte di contestazioni relative ai periodi d’imposta 2006 e 2007 e di una verifica iniziata in data 26/11/2014 -deve ritenersi maturata la prescrizione per le ipotesi di reato previ ste nell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000;
c) la disciplina sul raddoppio dei termini non può trovare applicazione per l’IRAP, che non è un’imposta sul reddito e non rientra, quindi, nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 74 del 2000;
d) in merito all’uso di fatture per operazioni inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE negli anni 2006, 2007 e 2008 non è stato portato a conoscenza dei contribuenti il PVC emesso nei confronti della stessa RAGIONE_SOCIALE, che non è stato neppure prodotto in giudizio. Di conseguenza il giudice di prime cure, ritenendo, comunque, provati i fatti indicati nel PVC emesso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ha violato l’art. 7 legge n. 212 del 2000 e 42 d.P.R. n. 600 del 1973 ;
e) sussiste la violazione dell’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 200 0, in quanto l’avviso di accertamento relativo all’anno 2009 è stato notificato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio del verbale. Gli avvisi di accertamento sono stati, infatti, emanati in data 23/12/2014, dopo soli otto giorni dalla chiusura e consegna del PVC da parte della Guardia di Finanza, avvenuta in data 15/12/2014, e sono stati notificati a mezzo posta il 05/01/2015, dopo soli ventuno giorni. Nel caso di specie non sono corrette le valutazioni del giudice di prime cure in merito alle ragioni di urgenza, dal momento che l’ipotesi di reato ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 riguardava gli anni 2006, 2007 e 2008, ma non l’anno d’imposta 2009. Non è, poi, fonda ta la giustificazione incentrata sull’imminente scadenza dei termini di accertamento. Difatti, dal PVC della Guardia di Finanza, risulta che la verifica iniziata in data 26/11/2014 abbia preso spunto da un’altra verifica condotta in precedenza a carico di RAGIONE_SOCIALE conclusa in data 02/08/2012. Nell’avviso di accertamento si afferma che, in data 03/08/2012, la Guardia di Finanza ha trasmesso a carico della RAGIONE_SOCIALE apposita informativa di reato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia per gli artt. 8 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000. Nel PVC si legge, poi, che solo in data 09/12/2014 la verifica fiscale a carico di RAGIONE_SOCIALE è stata estesa anche all’anno 2009. Risulta, quindi, che già dal 03/08/2012 erano noti i presunti reati commessi da RAGIONE_SOCIALE Tuttavia, solo in data 26/11/2014 (dopo oltre due anni e a meno di sessanta giorni dalla scadenza del termine del 31/12/2014) è iniziata la verifica fiscale a suo carico per gli anni 2006, 2007 e 2008, estesa solo in d ata 09/12/2014 anche all’anno 2009 (oggetto di trattazione). Inoltre, né dal PVC, né dall’avviso di accertamento risulta che l’attività di verifica e di accertamento sia stata
minimamente ostacolata dalla società contribuente, che ha assunto un atteggiamento collaborativo;
sono fondati i rilievi in ordine alla violazione degli artt. 39 e 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 92 e 110 t.u.i.r. Sul punto la CTR -evidenziato che l’amministrazione non aveva controdedotto alcunché, limitandosi a riproporre quanto già conten uto nell’avviso di accertamento – ha rilevato, c on particolare riferimento all’art. 92, comma 7, d.P.R. n. 917 del 1986, che, per l’anno d’imposta 2009, l’ufficio ha rettificato il reddito, riducendo da Euro 147.114,85 il valore dichiarato delle esistenze iniziali al 01/01/2009 (pari a Euro 714.000), in violazione della disposizione normativa da ultimo citata, che impone la continuità tra i valori delle rimanenze finali di un determinato esercizio (2008) e le esistenze iniziali dell’esercizio successivo (2009). In ogni caso, l’annullamento degli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008 (in cui sarebbero state usate le fatture per costi inesistenti) travolge automaticamente gli accertamenti relativi agli anni 2009 e 2010.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con sette motivi.
GIRAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso e hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare occorre dare atto dell’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso, sollevata dalla parte controricorrente, rilevando che si tratta di una mera riproposizione delle argomentazioni già sottoposte al vaglio dei giudici di secondo grado. Tale eccezione è infondata, dal momento che non è la riproposizione di argomentazioni già prospettate nei precedenti gradi di giudizio a determinare l’inammissibilità dei motivi
di ricorso in cassazione (cfr. Cass. n. 32954 del 2018). Tanto più che la proposizione di questioni nuove integrerebbe, di per sé, una ragione di inammissibilità delle censure svolte con i singoli motivi di ricorso proposti ex art. 360 cod. proc. civ.
1.1. Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 nella versione di cui all’art. 37, comma 24, d.l. n. 223 del 2006 convertito dalla legge n. 248 del 2006, nonché degli artt. 11 e 15 preleggi e la falsa applicazione degli artt. 2 d.lgs. n. 128 del 2015 e 132 legge n. 208 del 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.2. Con tale motivo la ricorrente rileva che la decisione della CTR è errata nella parte in cui ha ritenuto applicabile l’art. 1, comma 132, legge n. 208 del 2015 al caso di specie, senza tenere conto del fatto che -secondo le regole generali della successione della legge nel tempo -la disposizione in esame era entrata in vigore successivamente all’emissione degli avvisi di accertamento impugnati. Di conseguenza, la previsione contenuta nell’art. 1, comma 132, cit. poteva trovare applicazione solo con riferimento agli avvisi di accertamento ante 2016 che non fossero stati ancora notificati. Nel caso di specie, ai fini della corretta emissione degli avvisi di accertamento era necessaria solamente l’esistenza dell’obbligo di presentazione della denuncia e non la materiale pres entazione di quest’ultima.
1.3. Il motivo di ricorso è fondato, ad eccezione di quanto precisato con riferimento all’IRAP nell’esame del secondo motivo di ricorso ( v. infra , sub 2.2).
Dagli atti di causa risulta che, in esito al PVC del 15/12/2014, l’amministrazione finanziaria ha, dapprima, notificato (in data 05/01/2015) tre distinti avvisi di accertamento, sia nei confronti
della società che dei due soci , relativi all’anno d’imposta 2009 . Successivamente, in data 23/02/2015, ha notificato altri quattro avvisi di accertamento nei confronti della società per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2010.
Ciò premesso, in relazione ai rapporti tra i termini di accertamento previsti negli artt. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 si possono distinguere tre diverse normative (con la conseguente necessità di regolare il relativo regime intertemporale):
nella versione vigente nei periodi d’imposta interessati (compresi tra il 2006 e il 2010) tanto l’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 che l’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 facevano riferimento alla violazione che comportasse l’ obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000;
l’art. 2 d.lgs. n. 128 del 2015 interviene sia sull’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 che sull’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, prevedendo che il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria prevista nei commi 1 e 2 degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 d.P.R. n. 633 del 1973. L’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 prevede, poi, che: « Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. »
Ora, considerato che la stessa sentenza impugnata dà atto che gli avvisi impugnati sono stati notificati in data 05/01/2015 e in data
23/02/2015, è evidente che tali avvisi, da un lato, sono stati notificati nel vigore di una disposizione che riconosceva il raddoppio dei termini in presenza dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. e, dall’altro lato, che anche la disposizione di cui all’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 -entrata in vigore il 02/09/2015, in data successiva a quella della notifica degli avvisi -détta un’apposita norma transitoria in cui fa salvi gli effetti degli avvisi notificati (regolarmente) nel vigore di una diversa disposizione normativa che si è andati a modificare proprio con la disciplina del 2015;
c) le previsioni del terzo comma dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 sono abrogate per effetto della riformulazione delle disposizioni appena richiamate ad opera dell’art. 1, commi 130 e 131, legge 28/12/2015, n. 208, con la conseguente eliminazione della disciplina relativa al raddoppio dei termini.
Il comma 132 dell’art. 1 legge n. 208 del 2015 prevede che: « Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura
penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decretolegge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni. »
1.4 . L’errore in cui è incorsa la CTR è stato quello di sovrapporre l’abrogazione implicita con l’irretroattività della norma. In altre, parole, dalla lettura degli artt. 2 d.lgs. n. 128 2015 e 1 legge n. 208 del 2015 è evidente che in merito ai medesimi periodi di imposta si assista a un fenomeno di successione di leggi nel tempo: nel vigore del d.lgs. n. 128 del 2015 non è sufficiente, ai fini del raddoppio dei termini, l’ obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., ma è necessario che quest’ultima sia present ata prima dello spirare dei termini per l’accertamento previsti nell’art. 43, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e nell’art. 57, commi 1 e 2, d.P.R. n. 633 del 1972; diversamente, con la legge n. 208 del 2015 non è previsto più il raddoppio dei termini in presenza di una violazione che comporti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. Nondimeno, l’art. 1, comma 132, legge n. 208 del 2015, nel dettare la disciplina per gli avvisi relativi ai periodi d’imposta anteriori al 2016 non può che regolare senza contravvenire al principio di irretroattività -che gli avvisi non ancora emessi alla data della sua entrata in vigore.
Tale conclusione è, del resto, conforme a quanto precisato da questa Corte, secondo la quale, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art.
57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass., 10/01/2025, n. 666).
Peraltro, con riferimento alla prescrizione è stato precisato da questa Corte che in tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a presc indere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di ‘doppio binario’ tra g iudizio penale e procedimento tributario (Cass., 11/04/2017, n. 9322).
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 nella versione di cui all’art. 37, comma 24, d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006 e degli artt. 24-25 d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza è errata nella parte in cui ha escluso l’applicabilità all’IRAP della disciplina sul raddoppio dei termini. Ai sensi degli artt. 24 e 25 d.lgs. n. 446 del 1997 le attività
di controllo, rettifica e accertamento in tema di IRAP sono disciplinate dalle norme in materia di imposte sui redditi, con la conseguenza che, anche nell’ipotesi del tributo appena menzionato, trova applicazione la disciplina sul raddoppio dei termini.
2.2. Il motivo è infondato. Come recentemente ribadito da questa Corte, in tema di accertamento, il cd. raddoppio dei termini, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non si applica all’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., 10/01/2025, n. 600).
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973 e la falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000 e la violazione dell’art. 2699 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. Con tale motivo la ricorrente censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistere il vizio di motivazione degli accertamenti impugnati, in quanto fondati sul PVC che riguardava un terzo soggetto (RAGIONE_SOCIALE) non allegato e non prodotto in giudizio. Evidenzia, infatti, come le risultanze di tale PVC fossero state richiamate e sintetizzate nel verbale a carico delle controparti. Richiama, a tal fine, l’ultimo periodo dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 197 3, sottolineando che l’atto richiamato deve essere allegato salvo che non ne sia riprodotto il contenuto. Richiama, quindi, i fg. 10-11 e 1616 del PVC del 15/12/2012. Peraltro, nella parte in cui sono riportati i contenuti del PVC relativo a RAGIONE_SOCIALE sono stati riportati fatti obiettivi, come la carenza di strutture, personale, mezzi ecc… e sono state fatte attestazioni fidefacienti che fanno prova fino a querela di falso, in ordine all’accertamento di quei fatti. In ogni caso si tratta di
fatti che hanno costituito lo spunto per un’autonoma e diversa attività di verifica nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
3.2. Il motivo è fondato: secondo questa Corte, infatti, in tema di avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha l’obbligo di allegare all’atto impositivo i documenti richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale (Cass., 30/12/2024, n. 34906).
Con il quarto motivo è stato denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
4.1. La ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha annullato -per il mancato rispetto del termine di sessanta giorni – gli avvisi di accertamento relativi all’anno 2009 , sebbene siano stati notificati in data 23/02/2015, cioè sessantasette giorni dopo la consegna del PVC, avvenuta in data 15/12/2014. Tale dichiarazione è riportata sul frontespizio di tutti i ricorsi in primo grado. È invece irrilevante che gli avvisi siano stati emanati prima del termine, non essendovi state osservazioni al PVC.
4.2. Il quarto motivo, relativo agli avvisi di accertamento riferiti all’anno d’imposta 2009 è inammissibile sotto plurimi profili, a partire dalla mancata trascrizione delle notificazioni relative a tali avvisi di accertamento. La parte ricorrente sostiene, infatti, che « per dichiarazione della stessa società avversaria tutti gli avvisi le sono stati notificati il 23.02.15, cioè 67 gg. dopo la consegna del verbale (15.12.14).»
Diversamente, nella sentenza impugnata si legge che: « gli avvisi di accertamento emessi per l’anno 2009 a carico della società RAGIONE_SOCIALE ed ai due soci, sono stati emanati il 23.12.2014 (data atto), dopo soli otto giorni alla chiusura e consegna del PVC da parte della
Guardia di Finanza, avvenute il 15/12/2014 e notificati a mezzo posta il 5/1/2015, dopo soli 21 giorni.»
Allo stesso modo nella parte iniziale della motivazione viene distinto tra tre avvisi notificati in data 05/01/2015 e altri quattro avvisi notificati in data 23/02/2015.
Alla luce della discrepanza tra quanto si legge nella sentenza impugnata e quanto affermato nel motivo di ricorso, il rilievo circa la mancata riproduzione delle notificazioni non assurge a un mero formalismo, ma scaturisce dall’incompleta illustrazione del motivo di ricorso, tale da non consentire a questa Corte di valutarne la fondatezza.
4.3. Inoltre, considerato che le notifiche sono state eseguite dalla stessa amministrazione finanziaria -che detiene, quindi, anche la documentazione attestante la data relativa alla loro esecuzione -è irrilevante l’eventuale errore materiale eventualmente compiuto dal contribuente nell’intestazione del ricorso. Il principio di non contestazione ex art. 115, comma 2, cod. proc. civ. riguarda i fatti allegati da una parte e non contestati dall’altra parte, ma non può certamente condurre a ritenere come affermati i fatti platealmente riconducibili a un errore materiale della parte, riconoscibile, come tale, dalla stessa controparte processuale.
4.4. Allo stesso modo non può considerarsi come fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame rilevante quale vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. il fatto che si pretenda come riconosciuto dalla controparte in conseguenza di una lettura setto riale e atomistica degli atti, che dia rilievo (solamente) all’errore materiale (riconoscibile) in cui sia incorsa una parte, senza tenere conto dalla valutazione complessiva degli atti e delle risultanze processuali.
5 . Con il quinto motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
5.1. Con tale motivo la ricorrente rileva come sia errata la considerazione della CTR, secondo la quale la Guardia di Finanza abbia esteso alle controparti la verifica solo due anni successivamente alla verifica sul terzo. Si tratta non solo di una considerazione intrusiva nella discrezionalità dell’amministrazione finanziaria, ma anche illogica, dal momento che alle verifiche dovevano essere sottoposti tutti i soggetti destinatari delle fatture emesse dalla cartiera, con la conseguenza che la circostanza che per una di esse l’accertamento si sia avvicinato ai termin i di decadenza è puramente suggestiva e inidonea a evidenziare la negligenza dell’amministrazione finanziaria.
5.2. Il motivo -che riguarda gli accertamenti relativi agli anni d’imposta 2009 e 2010 presenta evidenti profili di inammissibilità in punto di specificità: la censura , incentrandosi sull’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, evoca un vizio motivazionale non riscontrabile nella sentenza impugnata, di cui la ricorrente denuncia, più che uno dei vizi indicati nell’art. 360 cod. proc. civ., la mera non condivisione delle conclusioni raggiunte dalla CTR.
Con il sesto motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6.1. Tale motivo di ricorso riguarda gli accertamenti notificati in data 05/01/2014 . La parte ricorrente rileva che la violazione del termine di sessanta giorni è viziante solo qualora il contribuente enunci, in concreto, le regioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio, ove attivato e tali ragioni non risultino pretestuose. Rileva, quindi, come secondo la giurisprudenza
di questa Corte (Cass., n. 14287 del 2014) le reiterate e gravi condotte penali tributarie del contribuente integrino ragioni implicite, idonee a giustificare la notifica dell’avviso prima della scadenza . Rileva che l’ufficio nel 2009 aveva recuperato – come variazione in diminuzione -l’importo di Euro 310.000 delle rimanenze finali del cantiere di Zapponeta, in relazione al quale negli anni precedenti erano state emesse f.o.i.: se quei lavori erano inesistenti negli anni di ultimazione, lo erano anche negli anni successivi in cui se ne annotavano gli importi tra le rimanenze. Di conseguenza, è errato quanto affermato nella sentenza impugnata per cui non esistesse per gli anni diversi dal 2006, 2007 e 2008, la causa esimente dall’osservanza del termine dilatorio di sessanta giorni, costituita dalla presenza di gravi e reiterate violazioni penali, che seppure non integrate dai fatti contestati negli anni 2009 e 2010, ne costituivano, però, l’ineludibile fondamento.
6.2. Il motivo è infondato: la parte ricorrente illustra il motivo, facendo riferimento agli accertamenti in capo ai soci, che si dichiarano notificati il 5.1.14. A parte l’errore materiale in cui è incorsa la ricorrente -dal momento che la data corrette è il 05/01/2015 -è, comunque, evidente che gli avvisi di accertamento relativi all’anno 2009 s ono stati notificati senza rispettare il termine dilatorio di sessanta giorni, considerato che il PVC risale al 15/12/2015. Ne consegue la nullità degli atti impositivi per i quali non è stato rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni, senza che possa assumere alcun rilievo l’eventuale prova di resistenza (Cass., 15/01/2019, n. 701).
7. Con il settimo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia ed extrapetizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
7.1. Con tale motivo di ricorso la ricorrente evidenzia, sotto il profilo dell’omessa pronuncia, che la sentenza impugnata, in relazione al profilo inerente alla violazione degli artt. 92 e 110 t.u.i.r. si limita a ripetere il contenuto del ricorso in primo grado, senza rispondere alle eccezioni e spiegazioni fornite dall’ufficio nelle controdeduzioni.
7.2. Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. Sotto il primo profilo occorre evidenziare che la parte ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che afferma come l’amministrazione finanziaria si sia limitata, in realtà, a reiterare quanto già affermato in sede di avviso di accertamento. Di conseguenza, il motivo è anche infondato, dal momento che non ricorre il vizio di omessa pronuncia contestato dalla parte ricorrente che censura, in realtà, una soluzione meramente non condivisa. Non ricorre neppure il vizio di extrapetizione, perché i motivi di appello riguardavano tutti gli avvisi, anche se poi alcuni sono stati affrontati in modo più specifico dagli appellanti. Peraltro, la sentenza impugnata precisa che l’annullamento degli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006, 2007, 2008 (anni in cui sarebbero state usate le fatture per costi inesistenti) travolge automaticamente anche gli accertamenti operati per gli anni d’imposta 2009 e 2010. Sul punto è la stessa parte ricorrente a evidenziare -nella seconda pagina del ricorso in cassazione -che per il 2009 e il 2010 gli accertamenti non vertevano sull’utilizzo di f.o.i., ma sull’osservazione che queste, negli anni di emissione non solo avevano determinato costi considerati per la determinazione del reddito a fini IRPEG ed IRAP e per la detrazione dell’IVA, ma avevano concorso al calcolo delle rimanenze, con riflessi anche sugli anni successivi: l’Ufficio quindi riduceva le esistenze iniziali 2009 di € 147.114,85 e quelle 2010 di € 52.801,87.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato devono essere accolti il primo e il terzo motivo di ricorso, mentre devono essere rigettati gli altri motivi.
8.1. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26/06/2025.